La lettera di Giuseppe

Uno studente napoletano ha scritto una lettera ai giornali chiedendo perché sui media si parla di scuola soltanto quando c’è un atto delinquenziale di mezzo. YouTube e telefonini, secondo questo ragazzo che si chiama Giuseppe, non sono le due facce dell’universo giovanile, ma due elementi che spettacolarizzano la parte peggiore di una minoranza di giovani.
Ha ragione Giuseppe nel chiedere che le generalizzazioni vengano evitate, anche se in tal senso sono dubbioso dato che esse sono la linfa purulenta della nostra informazione.
Spero che abbia ragione anche nel rivendicare a nome di una generazione il giusto profitto per ciò che di buono la scuola produce: non ho i mezzi per giudicare, ma non posso nascondere un certo scetticismo. La scuola è fatta di studenti e molti di loro sono impigriti dalla comunicazione a distanza, ingrassati dall’ozio mentale e prigionieri della noia. Qualche decennio fa si comunicava guardandosi in faccia, la casa era nelle proteste delle mamme “un albergo”, e se proprio non c’era nulla da fare si sudava per strada dietro a un pallone. C’erano meno tv e più carta stampata sotto forma di libri, fumetti, figurine. I giocattoli non invecchiavano facilmente e anche da scassati servivano per essere smontati, analizzati, sezionati sul tappeto della nostra stanzetta. Si andava a scuola con un altro spirito.
La lettera di Giuseppe si conclude con un bellissimo verbo: sognare. E questo mi dà fiducia.

Con la palla al piede

Ieri strillavano i giornali: l’Inter eliminata perde la testa. Il riferimento è alla partita col Valencia per la Champions e alla rissa finale.
Fin qui tutto male. Ma c’è di peggio. Con una dichiarazione surreale il presidente Moratti rasserena: “Non prenderemo provvedimenti contro i giocatori”. Malissimo.
Non mi interessano la dinamica della scazzottata, il rimpallo di accuse da asilo nido (“Ha iniziato lui!”, “No lui!”), la moviola e l’indagine della Uefa. Ho urgente bisogno che qualcuno ricordi a questi miliardari mutandati che sono pagati per dare il miglior spettacolo possibile. Con e senza palla tra i piedi. Dopo che gli stadi sono diventati quasi più a rischio delle caserme irakene ci vorrebbe un giudice vero (con toga e codice penale alla mano) per stangare i calciatori che violano le regole del vivere civile. Se prendo a pugni una persona in mezzo alla strada, nel migliore dei casi finisco in commissariato. Per i giocatori c’è un’altra giustizia, manco fossero coperti da immunità parlamentare. Quanto a Moratti non c’è che da attendere che rientri sul pianeta Terra.

Cuffaro e la coppola

Questa sinistra ce la sta mettendo tutta per mettermi in imbarazzo. L’ultima goccia nel vaso traboccante della mia pazienza è caduta ieri, quando su internet è stato diffuso uno spot del governatore della Sicilia Totò Cuffaro. Nel filmato, realizzato dall’emittente agrigentina Teleacras, il presidente della Regione scherza con una coppola in testa sul rapporto conflittuale col governo Prodi. E s’inventa un’ingenua battuta su una dichiarazione di guerra agli Stati Uniti “così gli americani occupano la Sicilia e fanno loro tutto quello che ci manca”.
Apriti cielo!
Da sinistra pioggia di critiche su tutto: la coppola, il dialetto, la “chimera indipendentista del bandito Giuliano”.
Chi mi conosce e chi frequenta questo blog sa quanta credibilità politica attribuisca, in piena libertà, al centrodestra italiano. Ma stavolta – anche stavolta, porca miseria! – sono costretto a mettermi le mani in tasca per evitare di darmele in faccia.
Guardate il video e ditemi, per favore, come un’opposizione seria e soprattutto sensata può mai sollevare argomenti simili. La coppola è ormai un accessorio che la moda esporta nel mondo, ci sono marchi registrati, si fanno mostre e sfilate con le coppole. Il dialetto è, nel peggiore dei casi, il simbolo di un’appartenenza culturale. La chimera indipendentista del bandito Giuliano poi… Cari politici del centrosinistra, se proprio non siete in grado di tenere a freno la lingua, prendetevi un addetto stampa dotato di cervello che filtri le vostre corbellerie!
Cuffaro non è un santo, ha i suoi problemi politici e soprattutto giudiziari.
Chi lo attacca con questi argomenti ha altri problemi. Di mestiere e livello culturale.

Letto, approvato e sottoscritto

Il balzello dei costi aggiuntivi per le ricariche telefoniche dovrebbe essere spazzato via dal decreto Bersani. In realtà sembra che alcune compagnie telefoniche si siano mosse, aumma aumma, per far rientrare in cassa questi soldi tramite qualche trucco. Tra clausole di contratto in corpo 0,1 e vincoli cartacei che sembrano d’acciaio i signori delle telecomunicazioni si mostrano alquanto antipatici. Antipatici, proprio così. Questi profeti della telefonoconomy occupano, nella mia personalissima hit parade della repellenza, il secondo posto dopo gli assicuratori e precedono i responsabili di centri di assistenza e riparazione di roba elettronica. Se ci fate caso è tutta gente che manovra soldi e responsabilità non controllabili. C’è sempre un cavillo o qualcosa che non sappiamo tra noi e loro. Non arriva mai la benedetta occasione nella quale riusciamo ad avere ragione. Provate a chiedere conto del servizio che vi hanno erogato: tra risposte stizzite, dedali di call center o invisibili norme “lette approvate e sottoscritte” vi manderanno a fare in culo. E voi ci dovrete andare.

Elogio di Pippo

Nella tana di montagna nella quale mi sono ritirato per una settimana c’era un’antenna parabolica scassata che mi ha elargito qualche frame di Raiuno. Per giorni ho attribuito a questa rarefazione di segnale una strana impressione: mi sembrava che il Festival di Sanremo quest’anno funzionasse!
Così ieri pomeriggio, appena rientrato in Italia, mi sono ritrovato – per la prima volta in una ventina d’anni – davanti alla tv per verificare la fondatezza di quell’impressione.
Avevo capito bene, il Festival quest’anno ha fatto il suo mestiere, quello di regalare canzoni italiane, di far discutere dei testi, di raccontarci di piccole polemiche e grandi sogni, di fare spettacolo insomma. E io, dopo il mio fallace vaticinio di due mesi fa, dovevo fare pubblica ammenda.
Detto fatto.
Pippo Baudo è un gran professionista, solido e tenace come solo chi ha radici ben salde sulle assi di un palcoscenico sa essere. E gli si perdona anche la spudorata furbizia di proporsi in diretta come esternatore nudo e puro, apolitico e apartitico. Baudo sa bene che il suo ruolo non è più quello di semplice presentatore. Da condottiero unico dell’ammiraglia della Rai che ha navigato con grande difficoltà nel mare di Sanremo conta più di un segretario di partito: un suo ammiccamento catodico sposta simpatie e voti, un suo starnuto in diretta fa correre al fazzoletto milioni di telespettatori. E’ la legge della popolarità. Il Festival non ha destino senza l’abile manipolazione di Pippo che, come tutti gli eroi, è un misto di coraggio e ruffianeria. Il resto – i Del Nocini, i politicuzzi, i Landolfini, gli Al Banucci – sono fragili pioli di una scala buona per finire in legna da ardere, il prossimo inverno. Se verrà.

In vacanza

Sono stati mesi molto faticosi, cari amici. Per questo e per qualche altro motivo di carattere personale ci vuole una bella vacanza. Ci sentiamo il 4 marzo.
Comportatevi bene, mi raccomando.

Gery

Opposizione contro se stessi

Scusate, parliamo ancora di politica e – rinvigorisco le scuse – di politica italiana. Prodi ha dettato le sue dodici condizioni per riprovare a governare il Paese. Sono un politologo da Bar Sport, però sono un elettore. Chi vota, in una scuola e non ancora in una caserma per fortuna, ha i suoi privilegi. Prendiamoceli allora questi privilegi. Abbiamo assistito allo spettacolo vergognoso di una sinistra che non riesce a liberarsi da una componente massimalista che ha partorito troppe serpi nel momento di tradurre in fatti una concezione politica. Ora da elettore incazzato non voglio altro che i programmi per i quali ho votato vengano messi in atto senza che il primo senatore ballerino di turno (eletto inconsapevolmente anche da me) si sogni di rompere le scatole. Non ho nulla contro le manifestazioni di piazza, anzi. Ma quando la piazza prende il sopravvento sul Parlamento mi preoccupo. Soprattutto se il menu contro cui ci si ribella è bell’e scritto da tempo immemore. Non voglio un governo di sinistra a tutti i costi e mi dà un certo senso di nausea la ricerca di alleati nella parte avversa per far quadrare i conti. Se si può realizzare un programma di governo che preveda tutte quelle cose per cui non ho avuto esitazione nella mia cabina elettorale cartonata, bene così. Altrimenti via, tutti a casa a cercare un nuovo lavoro. Probabilmente c’è chi è nato per fare opposizione. Anche contro se stesso.

Vi siete parlati?

Partiamo, come al solito, dal basso. Il governo Prodi è caduto perché sono venuti a mancare alcuni voti (pochissimi per via del ristretto margine di maggioranza al Senato) della sua stessa coalizione. La storia la conoscete, ma se volete farvi un’idea cliccate qui. L’idea di fondo, o se volete bassa, è che se uno fa una società con delle persone vuol dire che tutti quanti, il presidente, i soci e i loro rappresentanti, hanno un obiettivo comune. Io apro un bar con un paio di amici che hanno i miei stessi obiettivi: se all’improvviso scopro che uno di loro è membro di un’associazione anti-alcolici e un altro è apostolo di una setta contro la caffeina mi incazzo e mando tutto all’aria, e ci rimetto l’investimento iniziale. Ecco, tutto ciò, con un’inondante dose di aggravanti, è avvenuto nei primi mesi del governo Prodi. Personaggi che sono stati mandati in Parlamento con i rispettabili voti di tutti noi hanno deciso, all’improvviso, di nuotare in mare aperto infischiandosene di chi aveva fornito loro costume e salvagente, di chi aveva pagato il soggiorno. Non è una questione secondaria: se io – come tutti voi, nel comprensibile caleidoscopio di colori politici – eleggo qualcuno, pretendo che costui si guadagni il pane facendo esattamente ciò per cui l’ho votato. Non mi interessano la sua fantasia, né i suoi bagliori umorali: non l’ ho scelto per questo. Inoltre il suo bagaglio è il programma del coalizione in cui milita e non può essere inquinato da misere contingenze di partito. Si è parlato, ieri e non solo, di ragioni di pace. La pace, cari onorevoli, non fa parte di un programma di governo, è un’altitudine di civiltà che sorvola i colori dei gruppi parlamentari. Se una base statunitense a Vicenza stimola le polluzioni a molti di noi, non si può dimenticare che l’ideologia non vuole stipendio. Mi vanno bene i volontari, meno i professionisti del pacifismo. Sono un nonviolento, ho una profonda repellenza per le armi e l’unico sogno americano in cui posso imbattermi lo trovo nel pentagramma. Però non sono scemo, se decido che qualcuno debba rappresentarmi nel massimo consesso della Repubblica (con uno stipendio mensile di decine di migliaia di euro) vigilo affinché questi faccia il suo lavoro con fedeltà. E in questo momento sono davanti allo sportello dell’ufficio reclami. Quando qualcuno si prenderà la briga di ricevermi avrò solo una domanda da far pervenire ai signori della coalizione dell’Unione: prima delle elezioni vi siete parlati?

Con calma

Qualche giorno fa si è celebrata la lentezza: 24 ore dedicate allo slow life e, riferiscono le cronache, è stato un successo. Il rallentamento dei ritmi di vita è argomento che mette d’accordo medici, filosofi, preti e peccatori. Il gusto ha i suoi tempi e il trionfo ingiustificato del cronometro sulla clessidra lascia i segni. Dal cibo al sesso, dal lavoro al piacere, viviamo a mezzo respiro e tutto servizio.
C’era un vecchio giochino, che il grande Giorgio Gaber ha poi sublimato in una canzone, nel quale si incasellavano i valori a destra piuttosto che a sinistra e viceversa. La lentezza è di sinistra, come lo slow food, la domenica mattina in piazza, il panino con salame e provola. Ma potrebbe essere anche di destra, come il brunch, l’aperitivo al superpub, la chiacchiera in riva al mare. Di certo la lentezza è un valore aggiunto di noi meridionali. Quando ci chiedono di fare una cosa, non rispondiamo mai subito e direttamente. Se dobbiamo dire un “sì”, spesso ci scappa un “ora vediamo”. Che vuol dire sì, ma con calma.
Ps. Anche questo post è a tema. Arriva con un paio di giorni di ritardo

Previti e squali

Cesare Previti è stato affidato ai servizi sociali: presterà opera al Centro Italiano di Solidarietà di Castel Gandolfo. Il sacerdote che si è visto recapitare ‘sto bel pacco ha dichiarato: “Non so ancora che fargli fare”. Pensiero corrente vuole che l’ex ministro della Difesa condannato in modo definitivo per la vicenda Imi-Sir si vada proponendo come consulente legale. Credo che una specializzazione vada sempre assecondata, ma nello specifico eviterei di affidargli qualsiasi compito che preveda per statuto, cultura, semplice assonanza un rimando alla parola “legale”. Anche per dare un segnale a lui e ai suoi accoliti che hanno tentato in ogni modo di aggirare la legge con il più tracotante dei metodi: farsi una norma ad hoc. Amici del Centro Italiano di Solidarietà vi prego, tenete a mente che soltanto nei cartoni animati gli squali diventano vegetariani.