Non può essere vero

C’è un tipo di persone che avvelena la nostra vita. Sono quelle che, specie negli ambienti di lavoro, smontano ogni vostra idea, intenzione. Sono i pompieri dell’entusiasmo, i custodi di una sola ragione, la loro. Di solito vi tramortiscono con una frase: “Non può essere vero”.
Potete esporre la teoria più logica, raccontare l’evento più ammaliante, loro saranno sempre lì, appollaiati sul loro trespolo da avvoltoi a ribadirvi che ciò che avete creduto interessante è una solenne cazzata.
Pensateci.
Generalmente occupano un posto superiore al vostro (nell’azienda o per censo) e si nutrono esclusivamente di questo: la facoltà di discettare su ogni argomento senza aver obbligo di argomentare. “Non può essere vero e basta”.
Non sono persone cattive. Semplicemente sono povere dentro. Leggono i quotidiani per necessità, non vanno al cinema, frequentano gente che conta, si presentano come intenditori di cibi classici, hanno tutti i volumi di Bruno Vespa, restano indifferenti alla musica, diffidano delle trasmissioni via satellite, considerano internet una parola tronca. Sono persone furbe di una furbizia mal riposta. Se non trovano una ragione per avere ragione si inventeranno una ragione per non avere torto, dall’alto del loro scranno. Lo scranno è fondamentale, se non lo avessero vivrebbero sotto una coltre di pernacchie. Siccome ce l’hanno potrebbero essere sepolti solo da post come questo. Ma – dicevamo – sono furbi e post come questo non li leggeranno mai. E se qualcuno gliene riferirà il contenuto, lo risponderanno candidamente: “Non può essere vero”.

E nascondici nel male, amen

Ora che il famoso documentario sui preti pedofili è stato tolto dal monopolio di quel solito manipolo di pippaioli internettiani ed è stato trasmesso in tv (ad Anno Zero) si può capire meglio l’imbarazzo della Chiesa.
L’istituzione che alberga in Vaticano rifiuta la democrazia della notizia, ulula al complotto se le si sposta una virgola dalle sue pergamene, difende – ed è francamente orribile – i suoi orchi.
Il decreto che impone una linea di sommersione (e di corruzione) per tutti quei casi in cui preti hanno abusato di bambini/e appare come una delle vergogne più vergognose di cui si debba avere vergogna. Qui non si tratta di giudicare il caso singolo, ma di censurare un sistema che, a buon diritto, il giornalista della Bbc ha definito mafioso.
La Chiesa, nei suoi imperscrutabili apparati centrali, sapeva tutto in tempo reale. Tollerava, nascondeva e guardava dall’altra parte. Ci sono casi registrati in ogni parte del pianeta. C’è un parroco malvivente che ha abusato, da solo, di 134 bambini! Traduco la cifra in lettere, forse vi fa più effetto: centotrentaquattro, parola dolorosamente lunga.
La regola scritta prevedeva che il pedofilo fosse, al limite, trasferito. Non deferito. Mai denunciato.
Che sistema è quello in cui i crimini si nascondono? E’ un sistema malato e crudele, sfido chiunque a provare il contrario.
Ci siamo indignati, in Italia, a sentirci raccontare i misfatti di esponenti politici che rubavano dalle nostre tasche. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo alla fine della Prima Repubblica. Siamo scesi in piazza per chiedere giustizia civile, economica e sociale, per la tutela dei diritti umani, per il poco lavoro e per le troppe tasse, per i Dico, i Pacs, gli Lsu, i Co.co.co, per bimbi rapiti o uccisi, per stragi senza colpevoli e per morti senza nome. Siamo esperti di ingiustizie e ci vantiamo di esser sempre professionisti di qualcosa che non dà fama favorevole: dell’antimafia, della protesta orchestrata, della raccolta di firme.
Siamo maestri in materia di Relativismo del reato. Possiamo evitare questa volta di perderci nei meandri di una fede che non c’entra niente e mostrarci intransigenti verso chi pretende di raccontarci l’aldilà credendo già di viverci?

La noia elettorale

Ineluttabile come il battesimo del figlio di un lontano cugino, il commento all’ennesima tornata elettorale si porta appresso una sfilza di luoghi comuni e qualche sbadiglio. I risultati restano sullo sfondo perché sappiamo quanto pesano i sussulti delle Amministrative nella storia politica italiana. Vince uno che non sta al governo e grida al governo: “Dimettetevi!” Vince chi sta già al governo e grida a quello che ci stava prima: “Perché non ti dimettevi l’anno scorso?”. In ogni caso nessuno si è mai ritirato, ha solo esercitato l’ugola per far ritirare l’altro.
Per fare qualche nome, Berlusconi che adesso ulula vittoria e conseguente vendetta per i risultati ottenuti ieri al Nord, non si è sognato di alzarsi dal trono quando lo occupava lui nemmeno per andare a far pipì nelle occasioni in cui le Amministrative gli erano state sfavorevoli.
Lo so di essere noioso. Mentre batto queste parole sul mio computer di fortuna (soffocato da una connessione asfittica) mi rendo conto della quota di “già detto, già sentito”…
Lasciatemi scrivere solo qualche riga di analisi. Per esperienza sappiamo che il cosiddetto voto di protesta è un fenomeno ricorrente: pensate alla Lega al Nord, e all’Mpa al Sud. Le politiche fiscali, nel dettaglio, hanno un peso, i comizi non ne hanno nessuno. Un sistema elettorale che sguinzaglia, come accade in Calabria, un candidato ogni 150 abitanti non lo accetterebbero neanche nel Monopoli.
Finito. Da domani parliamo d’altro.

Per i pensionati

Paul Newman, il grande Paul Newman ha annunciato il suo ritiro dal cinema perché, a 82 anni, si considera vecchio. Il suo ragionamento non è tanto legato all’anzianità in sé quanto al fatto che Newman non si sente più in grado di lavorare come attore al livello che vorrebbe. La qualità innanzitutto. La nostra società tritapensioni (e, se solo potesse, tritapensionati) ha fatto dell’età un mero requisito fisico, sorvolando sul rendimento. Ci sono leggi che sembrano essere fatte per popolare il Paese di zombie del Tfr, di giovani che lavorano per forza e vecchi che vorrebbero lavorare. Unici parametri, i contributi, gli anni “versati” quelli “riscattati”. Mai che ci fosse uno che parla dell’opera prestata. Ci vorrebbe una legge di un solo articolo che annulla tutti i precedenti: “Tu lavorerai fin quando potrai, fin quando ne avrai voglia, fin quando sarai soddisfatto del tuo operato. Vaffanculo al resto”.

Giornalisti minacciati

Ci sono notizie che si nascondono, come si dice, nelle pieghe della cronaca. Quella di un giornalista minacciato da Cosa Nostra e costretto a vivere sotto tutela è una notizia nella notizia. Perché riguarda l’ambito in cui nascono le notizie, uno dei punti nodali di una democrazia. La libertà di stampa, garanzia costituzionale che purtroppo si è fatta stereotipo in Italia, non è una regola condominiale. In tutto il mondo c’è chi ha fatto della penna una spada e chi per la penna ci ha rimesso le penne. Dal Medio Oriente alla Russia, dalle lande africane al continente americano c’è sempre un reporter più bravo degli altri, che dà fastidio più degli altri. Se il mestiere di raccontare ha un difetto è proprio quello di doverlo fare senza se e senza ma, costi quel che costi. Altrimenti, come ho avuto modo di provare nella mia ventennale esperienza, uno finisce per fare un altro lavoro: il velinaro, lo sciacquino del direttore, il portatore di verità ben piegate, l’intervistatore da divano, il corsivista su dettatura.
In Sicilia c’è un elenco di giornalisti che non hanno potuto ultimare il proprio compito perché qualcun’altro ha deciso che non andava bene e basta. Conosco Lirio Abbate, oggi cronista dell’Ansa, da un bel po’ di tempo e so che per lui quest’esperienza non è un debutto. Sono certo che continuerà a fare il suo mestiere con l’impegno e la serena dedizione di sempre. Voglio credere che gli sarà restituita presto la libertà di movimento che appartiene ai cittadini del mondo. E che ad altri questa libertà venga negata in modo esemplare.

Preti pedofili

Fa discutere il caso del video della Bbc sui preti pedofili che Santoro vorrebbe trasmettere in Italia e che viene osteggiato dal presidente della commissione di vigilanza Landolfi perché ritenuto arma di “un plotone di esecuzione contro la Chiesa”. In questo video, diffuso via internet già da tempo, si assiste – con tanto di sottotitoli in italiano – alla confessione ragionata di alcuni preti e si ipotizzano le responsabilità del Vaticano sulla gestione (scandalosa) dello scandalo. La Bbc non è TeleCaspiterina e il giornalismo, quello vero, non si arena sulle verità di facciata. Ho visto il servizio grazie al blog del mio amico Lesandro’s qualche giorno fa e sono rimasto stupito dalla sordità del sistema dell’informazione italiana. In Italia un portale come Libero lo ha messo online senza dover chiedere permesso a nessuno. Mi sembra singolare che si debbano usare guanti di piombo (altro che velluto!) quando una vicenda truce tocca i porporati, quasi che esistesse una zona franca, un idilliaco terreno erboso sul quale si possono compiere le peggiori nefandezze senza che si alzi un alito di vento. Siamo di fronte a un reato acclarato, a confessioni e conseguenze tangibili di quei fatti, a un problema sociale. Immaginate un Paese in cui le ammissioni di Mario Chiesa restino sepolte nelle melme del Craxismo, in cui le denunce di Libero Grassi siano relegate a una breve in cronaca, in cui inchieste scomode dal Watergate a Wanna Marchi non vedano la luce. Ecco quello è il Paese dei Landolfini, un luogo da evitare come il Congo del romanzo di Cricthon e anche molto prima. Quelli che tuonano per una “vendetta contro il family day” potrebbero smaltire la loro petomania contro lo stesso Santoro per un motivo molto più sensato: come fa un giornalista scoopista e intransigente ad arrivare con tanto ritardo?

Provocazioni

In Belgio una candidata (forse) al Senato promette sesso orale (forse) a tutti quelli che la voteranno. E’ una campagna elettorale surreale sponsorizzata da un movimento di protesta, il Nee, che ha spesso usato la provocazione per colpire la politica stantia. Quella di Tania Dervaux è comunque una trovata furba per finire sui giornali di mezzo mondo senza fatica. Il sesso e le nudità sono argomenti che non necessitano di trattamenti editoriali, di traduzioni. Bastano una foto e una didascalia ed è fatta. Se ne può ridere.
In Italia, qualche anno fa, i radicali portarono in parlamento una pornostar. Il senso della provocazione, se di provocazione si trattò, non fu mai chiaro. Di certo non ci fu nulla da ridere.

Il governo strabico

Intervengo su un argomento che, per mere questioni di cronaca (nera), rischia di passare in secondo piano: lo strabismo del governo Prodi. A ricordarmi l’argomento ci ha pensato lo stimato blogger Lesandro’s che nel suo antro internettiano ricorda come la questione dei Dico sia cruciale per l’unità di un esecutivo. In parole povere il ministro Mastella fa la parte del libero protagonista adducendo questioni di ordine morale o, ancora peggio, di sesso.
Letterariamente ministro è chi si fa carico di compiere un’azione, di portare a compimento un progetto per ordine o per conto altrui. C’è in Italia un’odiosa dimenticanza nei confronti della base elettorale. Insomma noi votiamo per un programma, poi alcuni degli esecutori di questo programma decidono di fare quel che cazzo vogliono nel nome di convincimenti etici, religiosi, atavici o condominiali. Non è la prima volta che discutiamo di questi argomenti. Ma il problema resta uno, solo e unico: a me non me ne frega un tubo di quale sia il raptus che spinge Mastellone a fare muro contro qualcosa, l’importante è che lo faccia nell’ambito del manifesto di un’alleanza politica che ho votato. Perché lui sarà padrone di fare quelllo che crede (e di risponderne) solo quando non sarà più al mio servizio di cittadino elettore. Fino ad allora risponderà a me e a quegli altri malati di mente che li hanno votati.

Si ride nella città più cool

Nella città più cool d’Italia succedono cose molto divertenti. Del resto, come il governatore Cuffaro ammetteva ieri, Palermo è una città sempre più viva. E cosa c’è di più immediato, di più esilarante di una barzelletta?
Cominciamo con una di quelle vecchie, magari la sapete: assunti 118 tra autisti di ambulanze e portantini che non hanno mai visto un malato.
E’ datata, ma funziona sempre.
Un’altra, di un anno fa: assunti una settantina di lavoratori socialmente utili per contare i tombini della città.
Si ride, eh.
Ecco qua la più recente: assunti 110 autisti di autobus ma non hanno la patente.
Questa è tosta!
Siamo in periodo elettorale e mi verrebbe voglia di scrivere una serie di piccole biografie sui protagonisti di queste barzellette. Sono personaggi troppo forti: sollevatori di cocktail a scrocco, macellai professionisti della lingua italiana, lottatori di sumo sulle assi del Teatro Massimo, pesi massimi dell’ingordigia e pesi piuma della cultura. Non posso aggiungere altro. Fatevi un’idea e sbirciate nelle loro biografie su internet, troverete frasi tipo “ha rappresentato con determinazione le istanze dei cittadini”: il migliore assessore alle Clientele insomma.

Very, very cool!

Taormina – Cogne, sola andata

L’avvocato Carlo Taormina dà ancora una prova magistrale di chiacchierismo a oltranza, sport del quale è campione mondiale. Lo fa con le sue considerazioni a margine della sentenza d’appello per il delitto di Cogne. A parte rivelarci di aver continuato a investigare anche dopo l’interruzione del sodalizio legale con Annamaria Franzoni, torna con pervicacia su un tema a lui caro: la possibilità di rivelare, lui (primo motore immobile di ogni verità rivelata e non), chi è il colpevole dell’assassinio del piccolo Samuele.
Se il professore Taormina sta gestendo investigazioni personali sul mistero che da sei anni attanaglia l’Italia sarebbe utile sapere in nome di quale ideale lo sta facendo. Chi è il committente morale di tale attività d’indagine? Di certo non è la famiglia Franzoni, nei confronti della quale l’avvocato usa adesso parole di fuoco. Di certo non è il povero bambino ucciso perché altrimenti il legale dovrebbe dire subito quello che sa nel nome di una serie di valori che partono dalla Giustizia e arrivano alla Pietà. Di certo non è un magistrato, dal momento che Taormina schiuma da tutti gli orifizi appena ne incontra uno. Chi sarà mai allora? Funari? Vespa? Lucarelli? Fantomas?
Non è la prima volta che il principe del foro di cui sopra dichiara di sapere chi è stato. Già prima del divorzio dal clan Franzoni aveva preannunciato a reti unificate la svolta. Siamo ancora che aspettiamo. Se non si trattasse di terribili incubi verrebbe da dire: Taormina, facci sognare.