Tutti gli anonimi del Presidente

Vi racconto una breve storia e cerco di darvi qualche spiegazione. Ieri su questo blog si è scatenata una polemica che nulla aveva a che fare con l’argomento del giorno. Tutto è cominciato nella mezza mattinata quando ho avuto l’incauta idea di andare a visitare il sito di un importante esponente politico del centrodestra che, per convenzione, chiameremo il Presidente. Ho letto un post che mi sembrava interessante e – errore madornale! – ho osato dire (anzi scrivere) la mia, con tanto di nome e cognome. La pattuglia degli anonimi fedelissimi di questo onorevole mi ha dato subito dell’arrogante, del presuntuoso e mi ha accusato di fare pistolotti sul politichese. Passi.
In più si è scatenato un attacco al mio blog che mi ha costretto ad eliminare gran parte dei messaggi perché ingiuriosi (li ho comunque conservati, per quel che valgono). Questo è accaduto e lo scrivo solo per dare una risposta a quelli che ieri chiedevano cosa stesse succedendo.
A margine, c’è spazio per una minima riflessione sull’evanescenza di certi galoppini, di cui – sono certo – neanche il Presidente sarebbe fiero. Il dibattito politico è una cosa seria. Se c’è il dissenso e si può argomentare senza il timore di prendersi uno sputo in faccia, il dibattito diventa interessante. Se invece senti le gole che raschiano quando tu non hai nemmeno finito di dire, è bene defilarsi.
Ps.
Non sono di centrodestra, ma ho spesso difeso le ragioni di esponenti del centrodestra o criticato idee e opere del centrosinistra. Ecco qualche esempio: http://gerypa.blogspot.com/2007/06/sodomia-e-pensionati.html http://gerypa.blogspot.com/2007/06/m-come-macroeconomia-e-mortadella.html http://gerypa.blogspot.com/2007/05/al-mancato-sindaco-di-palermo.html http://gerypa.blogspot.com/2007/05/il-governo-strabico.html http://gerypa.blogspot.com/2007/04/facciamo-che.html http://gerypa.blogspot.com/2007/04/satira-e-buon-senso.html http://gerypa.blogspot.com/2007/03/cuffaro-e-la-coppola.html http://gerypa.blogspot.com/2007/02/opposizione-contro-se-stessi.html http://gerypa.blogspot.com/2007/02/vi-siete-parlati.html http://gerypa.blogspot.com/2007/02/la-controfigura-di-diliberto.html

Il pianista suonato

Cronache dalla tournee di quel pianista suonato che oggi ricopre, a sua stessa insaputa, il ruolo di leader dell’opposizione.
A chi gli chiedeva conto e ragione di quella parola (“stronzate”) con cui aveva descritto opere e opinioni di Romano Prodi, ha risposto: “E’ il linguaggio dei giovani”. Prima morale: in politica, secondo Berlusconi, ognuno sceglie il linguaggio che più gli piace, dei giovani, dei vecchi, dei punkabbestia, dei letterati in vita fino al 1945, dei pastori sardi, dei pentiti di mafia, degli unti dal Signore. Ognuno ha le sue preferenze…
Il pianista suonato ha anche rivelato di corteggiare con successo alcuni senatori del centrosinistra “che sono sul punto di dire basta a questo governo”. Seconda morale: come ben sappiamo, nel corteggiamento clandestino il Cavaliere sguazza con immenso piacere fino a quando sua moglie non è costretta a intervenire a mezzo stampa. Signora Veronica, dipendiamo da lei.
Infine il sommo musicista senza note ha discusso sulla leadership del centrodestra. “Un uomo si pesa per quello che ha fatto nella vita – ha detto – confrontiamo quello che ho fatto io e quello che hanno fatto gli altri…». Terza morale: ogni uomo vive nell’effetto delle sue azioni. Ma la fedina penale conta?

La scuola di Carmen Villani

Il ragazzino che ha offeso gratuitamente il compagno di scuola chiamandolo gay può essere definito deficiente. E l’insegnante che ha osato fargli scrivere cento volte “sono un deficiente” non è una criminale, ma una che fa onestamente il suo mestiere, utilizzando un mezzo pedagogico assolutamente lecito. Lo dice il Tribunale di Palermo che ha assolto la professoressa per la quale un pm aveva chiesto una pena di due mesi.
In questa storia ci sono tutti gli elementi per riflettere sulla scuola, sul rapporto genitori-figli, sulla cosiddetta morale comune e chissà su cos’altro. C’è innanzitutto quell’offesa, gay, frutto dell’intolleranza più bieca, quella che viene dall’ignoranza. Ci sono i genitori del ragazzo che hanno pensato bene di attaccare l’insegnante anziché prendere a sberle il figliolo. C’è una scuola che è sempre più tomba e meno culla di idee. C’è un sistema giudiziario allo sfascio che si prende la briga di dedicare uomini e tempo a menate inverosimili.
Troppi elementi su cui riflettere.
Per tirarmi su forse mi rivedo “La supplente va in città” con Carmen Villani.

Sodomia e pensionati

Sulle pensioni si sta consumando una tipica commedia in stile politichese. Tra annunci (“Abbiamo trovato i soldi!”), auspici (“Siamo in vista dell’accordo!”), sorprese (“Dove minchia è finito l’accordo?”) e sentimento (Prodi, cuore e fiducia) tutto finisce dove inizia. Bisogna cercare di stangare i pensionati e ancor peggio i “pensionandi”, perché si è scoperto che sono loro la vera cassaforte del Paese.
Ho già vent’anni di contribuzione e sento una strana pressione da dietro. Ho la certezza che aumenterà col tempo, così come diminuirà il contenuto del mio salvadanaio.
Perché c’è la necessità politica (quindi non certo collettiva) di sodomizzare economicamente gli anziani che non siano ex parlamentari, ex burocrati, ex politici in genere, ex imprenditori sopravvissuti a Tangentopoli? Perché non si comincia a risparmiare a Montecitorio? Perché non si conduce la lotta all’evasione con le armi pesanti?
Spero che gli sceneggiatori di questa commedia di quart’ordine introducano almeno una risposta nei loro intrecci banditeschi.

La miseria e la compassione


Se andate in giro di notte per una città italiana vi accorgerete di non accorgervi più di certi cambiamenti. Io me ne sono accorto l’altra sera.
Devo andare a cenare fuori con un amico. Lungo la strada mi fermo al primo semaforo: due immigrati si dedicano in contemporanea alla mia auto, uno come lavavetri, l’altro affibbiandomi un deodorante da appendere allo specchietto retrovisore. Stessa scena – con variante fazzolettini di carta – per altri cinque incroci. Ho il vetro pulitissimo, faccio io stesso profumo di mela verde eppure sembra che abbia sempre bisogno di qualcosa: gli immigrati sono gentili, io cerco di essere fermamente gentile nel dire no.
Arrivato davanti alla pizzeria, cerco parcheggio. Un ragazzino indigeno mi aggancia al volo e mi indica un posto. “Due euro”, spara appena metto piede a terra. L’amico che mi aspettava mi viene incontro, intuisce il genere di reazione che sto per avere e allunga una moneta. “Facciamoci una serata tranquilla”, mi esorta.
Al tavolo, prima del menu, arriva un cingalese che vende rose. Ne posa una sulla tovaglia a quadrettoni e aspetta. Noi continuiamo a parlare, lui resta lì in piedi. “Siamo due uomini, non si vede?”, gli dico dopo un paio di minuti. Se ne va perplesso.
Gli dà il cambio una ragazza cinese che si presenta con una vetrina di minuscoli elettrodomestici appesa al collo. E’ la più discreta. Al nostro diniego, abbozza un inchino e traghetta oltre.
Tra la pizza e il dolce passano altri due giovani immigrati con rose e accendini. Ognuno per conto proprio, uno remissivo e lamentoso, l’altro decisamente più spavaldo. Ci alziamo e paghiamo il conto. Mentre usciamo sta rientrando il cingalese dell’inizio cena: ci scansa con un sorrisino.
Davanti alla macchina troviamo un ragazzino che non è quello di prima. Fa il turno di guardia successivo e vuole la sua parte. “Abbiamo già pagato all’arrivo”, sibilo io. Il mio amico allunga un’altra moneta. “Chiudiamo la serata in modo tranquillo”, mi dice congedandosi.
Il rientro a casa è scandito dalle medesime tappe dell’andata. Semaforo, lavavetri. Semaforo, fazzolettini. Semaforo, lavavetri… Cambiano gli uomini, resta il servizio non richiesto.
La folla di venditori abusivi, parcheggiatori da estorsione (mai immigrati!), questuanti da tavolo, vetrine ambulanti, rose rosse di miseria nera, si espande senza ordine. Nel caos metropolitano perdiamo di vista anche la compassione che un tempo ci suscitavano un accattone, un barbone, una giovane tossica schitarrante. E, quel che è peggio, ci vergogniamo sempre meno quando manifestiamo fastidio.

L’Italia degli invisibili (al fisco)

Da pagatore di tasse professionista quale sono mi desta indignazione la notizia dell’analisi fatta dall’Agenzia delle entrate sull’evasione fiscale in Italia. La cifra oltrepassa i 270 miliardi di euro all’anno e corrisponde a circa un quinto del Pil. Secondo un’elaborazione economica, a causa dei malfattori che nascondono il malloppo, il peso fiscale sugli onesti oltrepassa il cinquanta per cento. Perché devono pagare per quelli che non pagano. Obbediente alla logica da Bar dello Sport – quella a me più congeniale – non posso che provare ribrezzo per chi evade il fisco costringendomi a svenarmi per lui. Nella selva del si sa ma non si dice svettano le categorie dei liberi professionisti, degli imprenditori, dei commercianti ma anche dei falsi disoccupati, che gestiscono i propri affari con la stessa disinvoltura di un rapinatore di banche. Il concetto che dovrebbe passare al di sopra di ogni schieramento è infatti questo: chi evade ruba. Un altro concetto basilare mi sembra il seguente: chi evade non è necessariamente una persona importante. Grazie a una certa classe politica ci siamo infatti assuefatti all’idea che l’identikit del perfetto evasore sia quello di una persona di ceto alto, di buon talento (anche criminale), con un discreto numero di impiegati sottopagati, un paio di conti in Svizzera e almeno una villa in un’isola dei Caraibi. In realtà il sottobosco della truffa, almeno nella realtà che mi circonda, comprende lavoratori stagionali, disoccupati ufficiali, gente che non vuole un lavoro in regola, occupanti abusivi di case non proprie, tuttofare da strada. La miseria, quella vera, si annida nelle famiglie degli impiegati: due figli e una moglie da sfamare, muto o affitto, bollette, uno stipendio da poche centinaia di euro al mese. Senza parlare dei pensionati.

Il tema non è di moda né appassiona, lo so. Perché i soggetti in questione non hanno mezzi per potersi fare sentire e i loro voti contano poco. E’ l’Italia degli invisibili, un Paese sommerso. Dai debiti.

Una pernacchia per Selva

Non sono riuscito a vedere per intero lo spezzone dello Speciale de La7 in cui il senatore di An Gustavo Selva ammette con candore di aver finto un malore e approfittato di un’autoambulanza per dribblare il traffico di Roma pur di arrivare in tempo per una trasmissione televisiva. L’imbarazzo per un uomo di 81 anni, che millanta di aver usato un trucco “da vecchio cronista”, è stato tale che mi è bastato leggere le cronache delle sue annunciate dimissioni per provare vergogna – in un solo colpo – al posto suo, della sua famiglia, dei suoi elettori, del suo partito, dell’ordine dei giornalisti, del Senato della Repubblica, della città di Roma e delle persone civili tutte.
C’è poco da dire quando la tracotanza si miscela con l’incoscienza, se resta fiato è solo per una solenne pernacchia. E a poco vale l’interrogazione annunciata dallo stesso Selva in cui si chiede per giunta conto di un ritardo del presunto soccorso. La pernacchia per un finto navigato come lui è l’unico linguaggio universale per fargli sapere quanto è sgradevole la sua presenza tra i rappresentanti di quello che una volta si chiamava popolo. Un esperanto riabilitato per un politico da non riabilitare.

M come macroeconomia… e mortadella

Quel divertentissimo istituto della fantascienza che è l’Istat ci comunica che il Pil italiano è cresciuto nel primo trimestre 2007 dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. Tuttavia c’è l’avvertenza che sono state riviste “al rialzo le stime preliminari di una crescita dello 0,2%… rispetto al quarto trimestre 2006 si tratta comunque di un brusco rallentamento, visto che negli ultimi tre mesi dell’anno il Pil era cresciuto dell’1,1%… a livello tendenziale l’Istat ha invece confermato una crescita del 2,3%”.
Se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, tirate un sospiro di sollievo: il peggio è passato. Sappiamo, o dovremmo sapere, che il Pil è la misura della ricchezza prodotta in un Paese. Cioè una cosa concreta, come l’ora che guardiamo sul nostro orologio o la taglia sull’etichetta della camicia che indossiamo. Una misura, praticamente un numero reale che esprime il valore del rapporto tra una grandezza e un’altra.
Il trappolone scatta quando l’orticello in cui ci addentriamo è quello della cosiddetta macroeconomia, cioè un sistema che si occupa per definizione di variabili, di effetti complessivi. Solo quando facciamo i primi passi ci accorgiamo di essere finiti in un deserto immenso e pericoloso, altro che orticello!
Se il Pil cresce, siamo più ricchi. Ma variabilmente e complessivamente. Se il Pil cresce, ma tradisce il livello tendenziale, vuol dire che saremo meno ricchi di quanto la fantascienza aveva previsto. Non è infrequente poi che l’Istat (che, ricordiamolo, sta per Istituto Studi Teorici Applicati al Tutto) si azzuffi col governo quando gli capita di prevedere un futuro che al premier di turno non piace. Questo complica le cose perché capire se un etto di mortadella nel 2010 ci costerà 500 euro non è più una questione di fantasia, ma anche di politica. La tentazione del qualunquismo è reale come l’ostinazione della massaia: abolire gli enti di previsione e fondare osservatori sulla politica dei prezzi, sulle tasse, sui beni. Sarebbe più semplice emanare un bollettino semestrale che dice: stando così le cose abbiamo tanto in cassa, i creditori che hanno pagato sono questi, i malfattori sono i seguenti. E lasciare il “livello tendenziale” e le “stime preliminari” agli eredi di Giulio Verne.

Quando c’era lui

Mi dicevo: parlottano in mattinata, poi si prendono un bell’aperitivo e le coscienze si sciolgono. Ho aspettato fino all’ora di pranzo. Ma niente, questi del G8 di stilare documenti a senso compiuto non ne vogliono proprio sapere. Sul clima, Bush si è ribellato a chi gli chiedeva qualcosa di concreto e si è espresso con una frase da quinta elementare: prima gli altri, umpf! Senza tener conto che chiedere qualcosa di concreto a Bush senza mostrargli un missile terra-aria o almeno la foto panoramica di Guantanamo significa dare aria ai denti.
Sullo scudo spaziale il presidente Usa ha sfoggiato la migliore dialettica berlusconiana: fino a stamattina la Russia deviava dalla rotta democratica, dopo mezzogiorno non era più una minaccia. Potenza del cocktail Martini.
A Bush non piace nessuno dei suoi compagnetti, sta trascorrendo una vacanza orribile. La Merkel, oltre che bruttina, è pure una fissata coi risultati e ha cercato di strappare fino a pochi minuti fa un impegno sul clima. Ma lui, George W, si annoia a morte, e non vuole, non vuole, non vuole fare i compiti! Gli manca tanto il suo amico Silvio. Quando c’era lui, tra foto con le corna e tastate di culi alle cameriere, almeno ci si divertiva.

Non può essere vero

C’è un tipo di persone che avvelena la nostra vita. Sono quelle che, specie negli ambienti di lavoro, smontano ogni vostra idea, intenzione. Sono i pompieri dell’entusiasmo, i custodi di una sola ragione, la loro. Di solito vi tramortiscono con una frase: “Non può essere vero”.
Potete esporre la teoria più logica, raccontare l’evento più ammaliante, loro saranno sempre lì, appollaiati sul loro trespolo da avvoltoi a ribadirvi che ciò che avete creduto interessante è una solenne cazzata.
Pensateci.
Generalmente occupano un posto superiore al vostro (nell’azienda o per censo) e si nutrono esclusivamente di questo: la facoltà di discettare su ogni argomento senza aver obbligo di argomentare. “Non può essere vero e basta”.
Non sono persone cattive. Semplicemente sono povere dentro. Leggono i quotidiani per necessità, non vanno al cinema, frequentano gente che conta, si presentano come intenditori di cibi classici, hanno tutti i volumi di Bruno Vespa, restano indifferenti alla musica, diffidano delle trasmissioni via satellite, considerano internet una parola tronca. Sono persone furbe di una furbizia mal riposta. Se non trovano una ragione per avere ragione si inventeranno una ragione per non avere torto, dall’alto del loro scranno. Lo scranno è fondamentale, se non lo avessero vivrebbero sotto una coltre di pernacchie. Siccome ce l’hanno potrebbero essere sepolti solo da post come questo. Ma – dicevamo – sono furbi e post come questo non li leggeranno mai. E se qualcuno gliene riferirà il contenuto, lo risponderanno candidamente: “Non può essere vero”.