Si ride nella città più cool

Nella città più cool d’Italia succedono cose molto divertenti. Del resto, come il governatore Cuffaro ammetteva ieri, Palermo è una città sempre più viva. E cosa c’è di più immediato, di più esilarante di una barzelletta?
Cominciamo con una di quelle vecchie, magari la sapete: assunti 118 tra autisti di ambulanze e portantini che non hanno mai visto un malato.
E’ datata, ma funziona sempre.
Un’altra, di un anno fa: assunti una settantina di lavoratori socialmente utili per contare i tombini della città.
Si ride, eh.
Ecco qua la più recente: assunti 110 autisti di autobus ma non hanno la patente.
Questa è tosta!
Siamo in periodo elettorale e mi verrebbe voglia di scrivere una serie di piccole biografie sui protagonisti di queste barzellette. Sono personaggi troppo forti: sollevatori di cocktail a scrocco, macellai professionisti della lingua italiana, lottatori di sumo sulle assi del Teatro Massimo, pesi massimi dell’ingordigia e pesi piuma della cultura. Non posso aggiungere altro. Fatevi un’idea e sbirciate nelle loro biografie su internet, troverete frasi tipo “ha rappresentato con determinazione le istanze dei cittadini”: il migliore assessore alle Clientele insomma.

Very, very cool!

Taormina – Cogne, sola andata

L’avvocato Carlo Taormina dà ancora una prova magistrale di chiacchierismo a oltranza, sport del quale è campione mondiale. Lo fa con le sue considerazioni a margine della sentenza d’appello per il delitto di Cogne. A parte rivelarci di aver continuato a investigare anche dopo l’interruzione del sodalizio legale con Annamaria Franzoni, torna con pervicacia su un tema a lui caro: la possibilità di rivelare, lui (primo motore immobile di ogni verità rivelata e non), chi è il colpevole dell’assassinio del piccolo Samuele.
Se il professore Taormina sta gestendo investigazioni personali sul mistero che da sei anni attanaglia l’Italia sarebbe utile sapere in nome di quale ideale lo sta facendo. Chi è il committente morale di tale attività d’indagine? Di certo non è la famiglia Franzoni, nei confronti della quale l’avvocato usa adesso parole di fuoco. Di certo non è il povero bambino ucciso perché altrimenti il legale dovrebbe dire subito quello che sa nel nome di una serie di valori che partono dalla Giustizia e arrivano alla Pietà. Di certo non è un magistrato, dal momento che Taormina schiuma da tutti gli orifizi appena ne incontra uno. Chi sarà mai allora? Funari? Vespa? Lucarelli? Fantomas?
Non è la prima volta che il principe del foro di cui sopra dichiara di sapere chi è stato. Già prima del divorzio dal clan Franzoni aveva preannunciato a reti unificate la svolta. Siamo ancora che aspettiamo. Se non si trattasse di terribili incubi verrebbe da dire: Taormina, facci sognare.

Panze piene e bocche vuote

Dopo abbuffate e code non si parla che dei postumi di abbuffate e code. Provate a discutere con amici e colleghi oggi, cercatene almeno uno che non si regga la panza. Neanche il solito diversivo della tv (leggasi concertone) ha funzionato: l’idea è ormai logora e la scaletta musicale sempre meno entusiasmante.
Eppure c’è qualcosa che dovremmo tenere a mente di questo Primo maggio: il fatto che è stato dedicato ai morti sul lavoro, a tutte quelle persone che si sono immolate per uno stipendio da fame. C’è in questo Paese chi ha sacrificato i propri diritti pur di campare una famiglia, chi ha accettato ruoli ingrati perché non aveva scelta, chi è rimasto a bocca asciutta per sfamare altre bocche. C’è qualcuno che oggi non si tiene la panza.

Lavoratori

Lavoro e lavoratori. Ecco una breve rassegna di opinioni in merito.

Neri a metà. Berlusconi: “In Italia ci sono 1.700.000 disoccupati, anche se in realtà il 60% di loro ha un lavoro in nero”.
La noia del sabato sera. Charles Baudelaire: “Tutto sommato lavorare è meno noioso che divertirsi”.
Parola di magro. Piero Fassino: “Occorre flessibilità, non precarietà”.
Il nulla fai da te. Léo Campion: “Il lavoro è l’occupazione di chi non ha nulla da fare”.
Una tantum. Elsa Morante: “Il lavoro non è per gli uomini, è per i ciucciarielli. Anche una fatica magari può dar gusto qualche volta, purché non sia un lavoro”.
Amici e sàlvati. Clarence Seward Darrow: “Io sono amico dell’operaio e preferisco essergli amico che essere un operaio”.
Piazza (troppo) grande. Cuffaro dopo l’ennesima stabilizzazione di precari: “La Regione non è succube delle piazze”.
Nudi alla meta. Thomas Alva Edison: “Le grandi occasioni vengono perse dalla maggior parte della gente perché sono vestite in tuta e somigliano al lavoro”.
Cogito ergo sgrunt! Henry Ford: “Pensare è il lavoro più arduo che ci sia: è probabilmente questo il motivo per cui così pochi ci si dedicano”.
Per i più temerari. Oscar Wilde: “Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo”.
L’immagine è di Jpergrafando.

Mezza colpevole

Anna Maria Franzoni è mezza colpevole. Questa signora non troppo simpatica, innanzitutto per il reato orribile di cui è accusata (e per il quale è stata condannata in primo e secondo grado), poi per una certa confidenza col sistema mediatico, infine per certe sue caratteristiche personali su cui sorvolo, ha insomma ammazzato solo per un po’ suo figlio Samuele. I giuristi ci dicono che il dimezzamento della condanna di primo grado è dovuto al riconoscimento delle attenuanti generiche. Le esigenze delle nostre discussioni familiari, del nostro buon senso, del nostro perbenismo (e vabbé!) restano insoddisfatte: fatto sta che a molti di noi si annodano le budella. Ma come? Una donna accusata di aver assassinato il figlio se la cava con uno sconto di pena? Se ha fatto quello che ha fatto che senso ha fare la tara alle colpe? Nel crimine più orrendo tra i crimini orrendi la coscienza popolare cerca un appiglio a cui aggrapparsi per difendere le proprie tesi, innocentiste o colpevoliste che siano. Non cerca giustizia sommaria, ma l’unica soluzione che non insegue è quella pilatesca.
In un processo indiziario come quello di Cogne servivano punti fermi, giuridici, comprensibili anche a chi non ha una laurea in Giurisprudenza. C’erano le prove? Condanna. Non c’erano le prove? Assoluzione. So che è un discorso complesso da imbastire, ma non è vietato (ancora) esprimere perplessità su un sistema che produce aborti sociali. Perché il delitto di Cogne, come ogni caso giudiziario eletto a paradigma giudiziario, ha un pesante risvolto nel sentire comune. Abbiamo la ventura di abitare in un Paese che non conosce certezze neanche dinanzi alle pronunce definitive dei giudici. Lo stesso Paese che non conosce certezze quando c’è da comminare una pena per criminali acclarati. Abbiamo vissuto per troppo tempo di mezze verità, i mezzi colpevoli ci lasciano attoniti.

Il totem Camilleri

Smaltendo una catasta di riviste arretrate mi imbatto in un’intervista a Gianrico Carofiglio pubblicata su un Panorama del febbraio scorso. Mentre leggo so già dove si andrà a finire, ho il callo per certe cose. Macino riga su riga fin quando non arrivo dove temevo che l’intervistatore avrebbe portato lettore, autore e compagnia bella: il paragone con Andrea Camilleri.
Oggi non c’è giallista, (siciliano, pugliese, lombardo, tirolese…) che non sia stato messo di fronte a questo ingombrante termine di paragone. La questione è irritante per molti: innanzitutto per il maestro Camilleri che ogni giorno si vede proporre come alter-ego letterari ora un autore di successo ora un perfetto sconosciuto; poi per il pubblico che legge le pagine culturali con la speranza che siano scritte e redatte da gente con un briciolo di fantasia; infine per gli autori che non ne possono più di essere schiaffati contro un totem.
Io la penso così: il fenomeno Camilleri è talmente ampio e peculiare da non poter esser preso a modello.
Eppure l’Italia è piena di anti-Camilleri dell’ultima ora, di anti-Montalbano inconsapevoli, di sobborghi di Vigata, almeno nelle recensioni oziose di chi non vuole leggere, capire e purtroppo spiegare. Potrei farvi un elenco sterminato di scrittori vecchi e nuovi che hanno subito questo trattamento ingiusto.
Ripeto: Camilleri è un inventore, un grande manipolatore di parole, un narratore geniale. Non gli si possono attribuire figli e figliastri ad ogni libro che viene pubblicato. Inoltre nella scuola del giallo italiano non conosco un solo folle che si sia sognato di copiare o di prendere a modello i suoi personaggi.
Scrivi gialli? Sei siciliano? Allora come minimo vuoi emulare Camilleri.
Scrivi gialli? Non sei siciliano? Allora come minimo vuoi diventare un anti-Camilleri. Ecco due esempi in spagnolo che mi riguardano: http://www.diarioadn.com/cultura/detail.php?id=23521 e http://w3.bcn.es/V01/Serveis/Noticies/V01NoticiesLlistatNoticiesCtl/0,2138,1653_1802_2_212356164,00.html?accio=detall&home=HomeBCN&nomtipusMCM=Noticia .
Abbiate pietà.

Il Cavaliere e il suo cavallo

Berlusconi ci ha abituati a certi suoi scarti umorali, quasi fosse il cavallo anziché il Cavaliere. Ieri, davanti all’evidenza postuma di un comportamento universalmente illiberale, ha ammesso che forse, forse con Biagi, Santoro e Luttazzi calcò la mano. Dopo quello che passerà alla minima storia di un Paese con la memoria corta come l’editto di Sofia siamo nel pieno autorevisionismo, un effetto collaterale consono a chi è abituato a farsi le leggi su misura. Per tutti quelli che invece campano di memoria, coerenza e abbordabili verità basta parlare di comprensibile retromarcia che se condita da una spruzzata di autocritica sarebbe un bel gesto, anche se tardivo. Nel caso di Berlusconi è stato invece solo un misunderstanding originato da una sua atavica cura per le sorti del servizio pubblico. I tre personaggi in questione (B, S. & L.) non mi stanno nemmeno troppo simpatici, ma questo è un discorso personale legato a regolari dettami di gusto. Se si fosse messa ai voti una legge per cacciarli questa non sarebbe passata nemmeno nel Consiglio comunale di Arcore. Eppure il Cavaliere è riuscito a farsi censore, nume tutelare, garante, guida e testa di cuoio. Ha salvato il Paese da chi faceva un “uso criminoso” della tv di Stato. Il suo Stato di memorie corte e code lunghe.

La memoria che non ci serve

Google lancia un nuovo servizio, si chiama Web History e non è altro che una forma di intrusione legalizzata nella nostra vita. In pratica, gratuitamente, sarà possibile conservare traccia delle nostre ricerche nel web quindi dei fatti nostri in modo da poterci rinfrescare la mente tra qualche anno (decennio) quando la nostra memoria sarà affidata esclusivamente a qualche grammo di silicio e a un paio di oligarchi del Sistema Gobale di Relazioni.
Finora lo spionaggio dell’attività internettiana era stato affidato a files più o meno intercettabili che ogni motore di ricerca, sito o portale ci rifilava quando credevamo di aver fatto una semplice visita virtuale. Consultavamo o cercavamo, leggevamo o ci imbattevamo… il Sistema ci piazzava quel “biscottino” nel nostro hard disk e decrittava quel che nemmeno sapevamo di noi stessi. Adesso ce lo fanno passare per un servizio aggiuntivo, quasi che si debba ringraziare per ciò che uno, fino a ieri, pensava fosse una boiata. E’ come se la Telecom ci offrisse la possibilità di riascoltare e catalogare le intercettazioni abusivamente carpite in anni di nefasto monopolio criminale (non lo dico io, ma la magistratura). Mi piace pensare a una società globale, ne ho più volte scritto anche con toni polemici nei confronti di chi la ignora o tende a parlarne senza accettarne le responsabilità. Ma – per dirla papale papale – la presa per il culo mi dà un po’ fastidio. Web History è un colpo di spugna sulla superficie infangata della privacy violata che non può trovare saponi efficaci. Non c’è bisogno di un nuovo servizio strombazzato sui media per conoscere quello che faccio da questo pc: chi non deve saperlo lo sa già. Chiedere una legittimazione è chiedere è un atto di masochismo. E io sono un tipo un po’ retro.

L’eroe Diego Armando

La storia dell’umanità ha sempre avuto bisogno di eroi. E ogni epoca ha avuto gli eroi che meritava o si aspettava. L’eroe è una figura che vive di ciò che ha fatto e ancor più di ciò che avrebbe potuto fare se il destino non le avesse strappato le carte dalle mani mentre giocava la partita più importante. Gli eroi comunque finiscono male, altrimenti sarebbero semplici fenomeni (che, anche loro, appaiono e scompaiono ma non con l’obbligo della tragedia finale).
Maradona è uno di quelli che abbiamo imparato a chiamare, con un ossimoro ben digerito, eroi tragici. Il povero che si fa largo grazie al suo talento, il simbolo che viene consacrato al ruolo di trascinatore di folle, il profeta di una parola che non conosce ma che sa ben tenere tra i piedi, il Robin Hood che ha un bottino di emozioni da regalare a chi le può soltanto spiare. Non c’è paragone che tenga per dipingere una parabola così ben congegnata da un destino sempre aggiornato, al passo coi tempi. Per lui il Grande Impresario ha scelto il palco più grande che ci sia nell’epoca in cui viviamo: uno stadio, un campo di calcio, un pallone. Fosse stato un musicista o uno scrittore Maradona non avrebbe avuto il privilegio di poter godere di un’idolatria che si destina ai trapassati. Sarebbe stato celebrato per i suoi dribbling del solfeggio o del periodare probabilmente solo post mortem. E’ così che funziona nei campi dell’arte classica. Invece Diego Armando si ritrova a essere inseguito da una fama che lo onora e lo distrugge al tempo stesso. Chissà se mai, da ragazzo, gli sarà passato per la testa quel pensiero che coglie noi, normalissimi signor nessuno, quando sogniamo di aver fortuna: capiti quel che capiti non mi farò distruggere dal denaro. Ha scelto un’arte in cui la resistenza alle cattive tentazioni è l’handicap nascosto. Il suo ultimo numero è cercare di far finta di superarlo.

Facciamo che…

Facciamo che vivo in una città dove il 13 e 14 maggio prossimi si vota per il sindaco e relativi complici. Facciamo che i due candidati principali si chiamano Cammarando e Orlata, il primo va a destra, il secondo a manca. Facciamo che questi due signori hanno scoperto una cosa che si chiama internet e che credono di raggranellare consensi anche attraverso strumenti tecnologici a loro (e ai loro entourage) ignoti. Facciamo che Cammarando si fa costruire un sito bello e colorato, con varie sezioni, un video che intasa la vostra connessione senza chiedere il permesso e addirittura un blog. Facciamo che Orlata si fa un sito più spartano, ma in cinque lingue, c’è spazio per le donazioni, ci sono preziosissimi pdf da scaricare con (udite udite!) il programma elettorale e per ogni passo interattivo viene richiesta la registrazione con nome, cognome e indirizzo e-mail.
Facciamo che questi siti siano un fallimento comunicativo o quantomeno che le decine (centinaia?) di contatti siano di galoppini, sostenitori, questuanti, ruffiani, qualche guastatore e un paio di curiosi: insomma per chi ha pratica di queste cose sono contatti di valore zero.
Facciamo che Cammarando e Orlata non abbiano capito che la comunità online è la più ostile ai ragionamenti pelosi, perché vuole vedere subito, perché controlla tendenziosamente, perché ha un sistema di passaparola che ti promuove o ti boccia nel giro di un minuto e mezzo su scala planetaria. Facciamo che Cammarando e Orlata non sanno niente delle città virtuali che vivono sopra e sotto quelle reali. Facciamo che si ritirino dal web e tornino ai palchetti della politica.

Ps. Non volevo illustrare con una foto questo post, dato l’argomento delicato (e anche un po’ deprimente). Poi ho rivisto la foto vincitrice del Pulitzer 2007 di Oded Balilty (Associated Press) e non ho resistito. Per quei pochi che non lo sapessero raffigura una ragazza israeliana che affronta poliziotti israeliani diretti a sgombrare le case degli ebrei ad Amona, un avamposto abusivo nei pressi di Ramallah. Non è uno scatto meraviglioso?