Nell’accatastarsi di delusioni per le sorti della Sicilia, dopo la richiesta di arresti domiciliari per Salvatore Cuffaro e Saverio Romano (tra gli indagati in un’inchiesta su presunti appalti truccati) una speranza, forse l’unica, ci deve illuminare. Che l’indagine della Procura di Palermo sia solida e inscalfibile. Perché se mai dovesse emergere qualche crepa nell’impianto accusatorio, persino una virgola fuori posto (siamo il Paese del Re Cavillo), il disastro sarebbe enorme. Lo scrivo, sia pure con rispetto per gli indagati giacché il garantismo non è un abito da mezza stagione, consapevole che siamo a una svolta. Non più braccio di ferro tra politica e procure, ma prova di resistenza nella maratona per una verità e una giustizia ineludibili.

Qualcuno, come il parlamentare Romano, ha parlato di “processo mediatico”: un luogo comune caro a molti inquisiti eccellenti nei decenni passati che però oggi ha poco attaglio con la realtà. È con la riforma del ministro della Giustizia Carlo Nordio, infatti, che la “discovery delle indagini” (per usare una frase del comunicato stampa della Procura) diventa un passaggio prevedibile: non più fuga, ma accompagnamento di notizie.

Quanto alla “fiducia nella magistratura” espressa da tutti gli indagati, mi piace riprendere un passaggio di Butterfly Blues, uno spettacolo che scrissi qualche anno fa.

Ogni volta che un politico o qualcuno che ha a che fare con la politica finisce nei guai con la giustizia, generalmente si trincera dietro una frase che, sin dai tempi dello tsunami di Mani Pulite, suona come un mantra: ho fiducia nella magistratura. Tutti, lestofanti o galantuomini, riccastri o poveracci, colti intellettuali o colti sul fatto, la prima cosa che fanno quando un giudice li vuole rinchiudere in galera è aggrapparsi alla più trita delle menzogne: ho fiducia nella magistratura. Perché è chiaro che mentono. Chi può mai avere fiducia in qualcosa che in quel momento minaccia la tua libertà personale, la tua intera esistenza?
Però si usa così, poiché nel meraviglioso mondo che vede nell’altro la persona ideale su cui scaricare una colpa, è meglio distinguere di che “altro” si tratta. La magistratura, specie se esercita a buon diritto un potere urente, si rispetta ostentatamente, pro forma. A meno che non sei un ministro che vede la legge come una felpa: bella solo se è anche comoda. Ma questo è un altro discorso.
In generale le cose vanno in quel modo: marmellata, dita dentro il barattolo, allarme che suona, polizia, inchiesta, arresto, ho fiducia nella magistratura.
Avete mai sentito uno dire “ho fiducia nella politica”? O “ho fiducia nell’ordine dei giornalisti”? O “ho fiducia negli idraulici”? Eppure sono tutti ambiti che influiscono sulla nostra vita: soprattutto gli idraulici.
La fiducia nella magistratura come mantra, quindi non la fiducia vera che invece è influenzata dalla nostra condizione personale, dal numero degli scheletri nell’armadio, da un’oggettiva valutazione delle cose, è un sintomo di letargia civile e sociale.
Dormivamo mentre gli imbroglioni presi con le mani nel sacco invece di chinare il capo, ci guardavano con sfida negli occhi gridando: ho fiducia nella magistratura.
Dormivamo mentre un’intera classe politica banchettava sul desco di una nazione e, asciugandosi la bocca col tovagliolo di pizzo, borbottava: ho fiducia nella magistratura.
Dormivamo mentre chi riscriveva a suo favore le regole in un Paese in cui l’unica norma che si rispetta sempre è quella della pasta con salsa e melenzane, dichiarava a disco rotto: ho fiducia nella magistratura.    

Di Gery Palazzotto

Uno che scrive. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

1 commento su ““Ho fiducia nella magistratura””
  1. Magari la cosa è sfuggita proprio a me, ma in nessuno degli articoli in materia si riesce ad arguire a quale epoca si riferiscano i reati contestati, se contestuale o successiva a Cuffaro governatore.
    Può darsi che effettivamente il dato non sia in possesso ai giornalisti, ma il “copia e incolla” pare ormai aver preso definitivamente il posto del discernimento personale del redattore (che è davvero il primo servizio che andrebbe reso al lettore).

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