Da Aljucén ad Alcuéscar
Da Alcuéscar a Càceres
La proprietaria della posada nella quale ho trovato ristoro, o sarebbe meglio dire rifugio, mi dice porgendomi una bottiglia d’acqua: “Caldo eh”. Sorrido come un rincoglionito dopo non so più quanti chilometri sotto il sole cocente di cui sapete. Lei continua: “Dovresti vedere d’inverno il freddo che fa”. La parola “freddo” accende in me un’insana pulsione. Lei continua: “Estremadura ti dice qualcosa? Estrema e dura”.
E lì ho il senso compiuto della follia della mia missione in questo lembo di Spagna dove gli alberi ci sono ma non fanno ombra, dove il verde è rigoglioso ma convive con un caldo asfissiante.
Ho spezzato una tappa impossibile (con questo clima) che doveva portarmi a Càceres, quasi 38 chilometri, e ho scelto di fermarmi a Valdesalor, un paesino il cui fresco fa perno sulla piscina comunale. Due euro di ingresso e sei nel paradiso di un inferno di mosche e terra arsa. La piscina comunale è soprattutto l’unico posto in cui, nel raggio di una decina di chilometri, trovi da bere e mangiare. E qui va detto che gli spagnoli, soprattutto quelli dell’Estremadura, hanno orari ferrei. La cucina apre alle 14 per il pranzo e alle 21 per la cena, prima non hai dove andare, ti rimbalzano anche se ti vedono stecchito. Insomma ceno dopo un’attesa di cerveza, gelata e abbondante. Poi in qualche modo mi adatto all’imperturbablità degli abitanti di queste lande che, anche con 40 gradi, mangiano serenamente un plato combinado di lomo (maiale), uova e patate fritte (come solo gli spagnoli sanno cucinarle, patate e uova). Il maiale lo evito, ma questo è argomento che abbiamo già affrontato.
L’immersione in una Spagna profonda e poco nota al turismo internazionale è un’occasione per discutere con una popolazione (parola desueta in un clima internazionale dove i popoli e le popolazioni sono sempre meno comunità e sempre più inscatolamento politico) che è ben cosciente delle potenzialità inespresse del proprio territorio. Oggi un giovane imprenditore, sempre davanti a una birra, mi spiegava in modo accorato le difficoltà nel trovare personale per le sue aziende turistiche. Come in Italia, in Spagna hanno una sorta di reddito di cittadinanza e la maggior parte delle persone sceglie di guadagnare senza far nulla. Mi ha colpito una sua frase: se non lavori ti disabitui al lavoro.
Ogni paese ha i disastri che si merita. E proprio oggi non è una frase a caso.
9 – continua
Forse hanno scoperto il non-valore del superfluo…
Per me l’orario ideale per leggere i tuoi reports di viaggio è le 6,45 sorseggiando il mio primo caffè. Un primo passaggio di Speed Reading mi fa capire la proposta del giorno (passato..) ( che non è il piatto proposto dal ristorante turistico!).
Poi pausa e in mattinata rilettura profonda.
Quella dell’ Estremadura sarà stata tosta, mi sorprende anche ciò che dice la locandiera a proposito del freddo invernale. Mi sembra di capire che su tali camminamenti le previsioni di percorrenza sono relative, come penso sia giusto , un po’ come gli alpinisti che a volte dopo mesi di preparativi decido di desistere a poche centinaia di metri dalla vetta. Penso che alla fine conti l’esperienza (interiore e non) che fai, e al diavolo la programmazione analitica. Ma il format del tuo blog prevede la pubblicazione di qualche foto ? (Sarebbe cosa gradita :-). )
Saluti.
Save
….. ripensandoci forse ti ho chiesto una cazzata. I tuoi reports giornalieri non vanno intesi come “turistici” , chi ha questi pruriti può soddisfarli sicuramente cercando in rete, ma piuttosto come riflessioni su stati d’animo e fisico che tale esperienza fa nascere.
Un abbraccio.
Saverio
Bravo Save. Hai centrato l’essenza di questi miei racconti.
[…] scrivevo qualche giorno fa per effetto del caldo ho accorciato i miei percorsi giornalieri dividendo le […]