C’è un video in cui l’inviata di “Striscia la notizia” Stefania Petyx, al mercato palermitano di Ballarò per un’intervista con l’assessore comunale alle attività produttive Giuliano Forzinetti, viene aggredita da tre extracomunitari che, forse sotto effetto di stupefacenti, credevano di essere stati ripresi dalla troupe. Ci sono vari elementi in quelle immagini che inducono stupore (e stupore è il nome che spesso diamo alle sensazioni meno recensibili). Da un lato la constatazione che a Palermo persino in pieno giorno ci sono zone off limits dove un paio di svitati mollano la sedia del bar e spaccano la testa al primo che non gli garba: lo fanno non in un raptus, ma in seguito a una lunga sequenza di offese, minacce, spintoni, davanti all’indifferenza del mondo che gli barcolla intorno. Dall’altra l’evidenza di un concetto basilare dinanzi al quale nessuno può arretrare. La tutela della diversità e della cultura dell’accoglienza, valori di carattere umanitario ancor prima che inciampi legislativi (specie con certi chiari di luna in politica), è spesso messa in pericolo proprio da chi potrebbe usufruire di quel passo nuovo di civiltà che manca alle nostre latitudini. In questi tempi selvaggi e dissennati il delinquente dalla pelle nera è un pericolo soprattutto per tutti quelli che hanno il suo stesso colore e si ostinano a vivere onestamente: perché li espone alla gogna della generalizzazione, perché pastura le peggiori pulsioni razziste di cui l’aria della nostra civiltà è satura.
Considerazione a margine. Nelle immagini di “Striscia” si vede Petyx che scatta da un lato all’altro della scena per cercare di frapporsi tra l’aggressore e i cameramen. Accanto a lei l’assessore Forzinetti che impavidamente resiste con le mani in tasca (assessore alle inattività produttive). Ci vuole una certa abilità a restare immobili e a incassare comunque solidarietà politica.
Oggettivamente.
A Stefania Petyx vanno riconosciuti tanti meriti: è tenace, onesta, acuta, coraggiosa, ha presenza scenica, ha creato un format praticamente dal nulla, è abile nel confezionare un prodotto che sa essere di denuncia, ma al contempo spendibile anche televisivamente.
Soggettivamente.
Non la sopporto. E il mio “non la sopporto” va letto come “Per alcuni aspetti la stimo senza alcuna riserva, ma con lei non prenderei neanche un caffè”.
Due fattori, equamente ripartiti, stanno dietro il mio “non sopportarla”. Uno ha a che fare con un’antipatia personale, che in questo caso rasenta il viscerale (ahimé, non si può piacere a tutti): su questo non indugio oltre.
Secondo punto: troppe volte la sua verve giornalistica e la sua ricerca di verità e giustizia cedono a limiti soggettivi (un certo perbenismo di fondo) e oggettivi (la spinta “redazionale” a confezionare un prodotto televisivo nazionalpopolare, “a prova di idiota”).
Sul caso in oggetto.
Ho seguito l’intero servizio: mi sembra di capire che argomento dovesse essere la destinazione d’uso di una struttura presso il mercato di Ballarò. Al ragazzo africano, la cui violenza rimane abietta e ingiustificabile, va se non altro riconosciuto il merito di aver spostato l’attenzione sullo spaccio di sostanze supefacenti nel quartiere. Meglio così, perché quel «Tranquillo, non siamo qui per te» fa pensare che il fatto fosse sconosciuto a Petyx. O forse, semplicemente, che non fosse l’argomento della puntata.
Non è questione di sopportare o non soportare. Qui siamo di fronte a un’aggressione che, come cerco di spiegare, fornisce più di uno spunto di preoccupazione. Il resto è dietrologia.
Purtroppo l’aggressione testimonia quanto sia forte la percezione di “controllo del territorio” da parte della criminalità organizzata dedita allo spaccio di stupefacenti. Un fenomeno, questo, che va avanti da anni sotto gli occhi (e forse la silenziosa complicità) dei commercianti di Ballarò e che le associazioni denunciano di continuo.
Proprio per questo – parere personale – l’argomento dovrebbe essere centrale nell’opera di chi fa giornalismo d’inchiesta (anche il cosiddetto giornalismo “gonzo”), e non un “dettaglio” in cui si inciampa mentre si parla d’altro.