L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.
C’è un caso al carcere Cavadonna di Siracusa sul quale istintivamente verrebbe da sorridere. Sono stati vietati l’introduzione di abiti griffati e di cibi di valore come i gamberoni, e i detenuti si sono abbastanza risentiti. Il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria ha giustificato la circolare con l’esigenza di eliminare “posizioni di leadership e dinamiche di scambio illecito con ricadute pregiudizievoli sull’ordine e la sicurezza”. Uno pensa, ma guarda un po’ ‘sti carcerati che pretendono la scarpa di marca e l’aragosta per cena. Poi però intervengono due sentimenti contrastanti e il mood cambia. Da un lato la memoria per quel grottesco “Grand Hotel Ucciardone” in cui i boss pasteggiavano a frutti di mare e champagne, magari per festeggiare l’uccisione di un magistrato o semplicemente per mantenere un’allure di storta grandezza. Dall’altro la pena per le condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti in un paese civile, tra sovraffollamento e umiliazioni di vario genere.
È sempre bene ripeterci che il principio dell’uguaglianza non va mantenuto soltanto davanti alla legge ma dentro il sistema che quella legge impone e garantisce. Non sappiamo quanto disturba una camicia di marca in meno, però possiamo immaginare con mesta approssimazione quanto sia drammatico vivere dove tutto è frutto di sottrazione: spazio, libertà, dignità, futuro.
Eh sì, non c’è proprio nulla di cui sorridere.
eh già…sottrazione dei più basici diritti e non mi mi riferisco alla mancanza di libertà, quella è insita nella pena detentiva, mi riferisco alla privazione della dignità umana…non mi dilungo perché ben conosciamo il sovraffollamento e quant’altro collegato all’argomento.