Per le feste di Natale e Capodanno ho sempre lavorato in vita mia. In tutti i mestieri, anzi in tutte le ramificazioni del mestiere, per le celebrazioni di fine anno stavo al giornale o in teatro o in piazza o in una cabina di regia. Questo è il primo anno dopo diversi decenni in cui starò per i cazzi miei e sono davvero curioso di capire cosa mi sono perso rispetto a decine di cene smezzate, di “scusate, devo andare”, di rinvii di appuntamenti, di “minchia, non posso”, di delusioni imposte alle sante donne che mi hanno sopportato (a tempo determinato, ovviamente) assenza dopo assenza.
Le ho provate tutte, dalla cena a rate al brindisi in contumacia. Una volta si doveva celebrare a casa mia il compleanno di un amico e io verso le 23 dissi “sto arrivando”. Solo che ci fu un intoppo estraneo a ogni ambito familiare, un intoppo di quelli che ti ricordi nel tempo, e io arrivai sì, ma quattro ore dopo quando non c’era più nessuno.
Questa storia del non esserci è stata una sorta di livella nella mia esistenza. I miei amici più cari si ricordano dei piatti freddi che trangugiavo senza fiatare, nel senso che non respiravo proprio per accelerare il processo di ingestione, apparecchiando stagioni coi fiocchi per i gastroenterologi di un paio di generazioni. La livella funzionava in modo trasversale e ovviamente ben prima del punto di morte: della serie tutti siamo uguali dinanzi a una difficoltà che è indipendente dalle nostre azioni. Quindi per decenni io mi sono sdebitato con sommo piacere nei confronti di chi aveva la pazienza di aspettarmi, di non avermi nel giorno cruciale in cui tutti vorrebbero avere qualcuno a cui tengono, e l’ho fatto in un modo semplice: cercavo di dare di più negli altri giorni, quelli qualunque. Ho organizzato un’infinita serie di cene di lunedì, ho recapitato fiori in mille giorni di non compleanno, ho cercato di sterilizzare delusioni con lettere autoflagellanti, ho inanellato un’imbarazzante congerie di “mai più”e ho incassato i giusti voltafaccia.
Poi un giorno mi sono fermato e mi sono guardato intorno. Mi aspettavo di vedere il nulla dove avevo lasciato macerie e invece ci ho trovato quelli che non credevo di trovarci. Cazzo, mi avevano aspettato per decenni. Mentre altri, gli imbonitori delle notti magiche, quelli che grazie al mio lavoro festivo si erano fatti le loro feste, il loro bottino, erano scomparsi.
Un classico natalizio tipo “Una poltrona per due”. Solo che qui la poltrona era una e solo per loro.

Insomma a parte questo pippone, quest’anno finalmente sarò libero di fare quello che voglio per Natale e Capodanno. Libero di fare tutto proprio tutto quello che mi passa per la capa. Persino niente.

Di Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *