C’è una storia semplice e complessa al tempo stesso che cerco di riassumere perché in realtà meriterebbe un libro, un poema, un film o qualunque trattazione che vada oltre il clic distratto che è l’unità di misura della nostra attenzione. Un anno fa ad Agrigento c’era un uomo sensibile e gentile. Si chiamava Alberto Re, era un imprenditore di 78 anni che incappò in una piccola sventura organizzativa. Alla inaugurazione di un festival sportivo intitolato “Paladino d’oro” da lui messa su non venne nessuno. Proprio nessuno.
Tutti sanno – non solo noi del settore – che per il successo di un evento pubblico, oltre alla qualità della proposta, contano la promozione e l’organizzazione. Alberto Re non si fece sconti e si caricò sulle spalle più responsabilità di quanto ne avesse. Chi avrebbe dovuto supportarlo invece se ne fottè altamente.
Da galantuomo sensibile e gentile (qualità pericolosamente desuete che oggi trasformano chiunque in un bersaglio) Re si professò colpevole di qualcosa che non lo vedeva per nulla colpevole. I social lo presero per il culo, lo ridicolizzarono senza pietà. E, lo dico senza esitazioni, la spietatezza di anonimi polpastrelli contro un uomo di 78 anni dovrebbe passare sotto il ferro affilato della legge.
Insomma il giorno dopo Alberto Re si ammazzò.
La manifestazione proseguì senza intoppi e l’organizzatore Roberto Oddo, che pure qualche responsabilità avrebbe potuto raggranellare dalle sue parti, alla fine della kermesse parlò inusitatamente di “orgoglio per il riscontro positivo”. Il sindaco di Agrigento Francesco Micciché si disse felice per essere stato “inondato di apprezzamenti per la manifestazione”. Una manifestazione che si era aperta con un colpo alla tempia.
Non vale la pena sprecare righe sull’inopportunità di certe scelte: la coscienza in fondo può essere come la carta igienica, chi la ricicla lo fa a proprio rischio.

Oggi i familiari di Alberto Re hanno diffidato l’organizzazione del “Paladino d’oro” dal fare il nome del padre in occasione della nuova edizione. Non stento a credere che siano nauseati. Io che pure non sono un candido, al solo scriverne, di questa vicenda di ordinaria e strisciante violenza, ho una stretta al cuore.
Non conoscevo Re, non conosco i suoi familiari, non conosco gli altri protagonisti. Non conosco nessuno e non mi interessa.
So solo che la figlia dell’unico galantuomo di questa storia presiede un movimento di cui non so nulla ma di cui a istinto mi fido. Si chiama “Movimento italiano per la gentilezza”. Mi basta per essere sempre e comunque dalla loro parte.   

Di Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

3 commenti a “Il paladino che si ammazzò”
  1. Sono più che d’accordo con te. Di fronte a un fatto tanto grave e traumatico, il buon senso avrebbe dovuto imporre quantomeno la sospensione della manifestazione; l’organizzatore, invece, almeno secondo quanto riportato, mostrò una mancanza di tatto che appare quasi irreale, tanto è grave.
    E non vorrei sbagliare, ma anche gli stessi media, all’epoca si limitarono a riportare i fatti senza che nessuno levasse una voce.
    Troppi interessi in gioco?

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