Su Repubblica racconto brevemente la storia di Piano Battaglia e dei ragazzini che sognarono di diventare sciatori in Sicilia, che è un po’ come aspirare a diventare sommelier nel Sahara. Era la generazione dei Bica, dei D’amico, dei Galletti, degli Speciale, per far giustizia della cronaca. Era anche la mia generazione.
Qui vi propongo la mia visione più personale.
Negli anni Settanta per noi sciatori in erba (in erba nel vero senso della parola, tenuto conto delle condizioni delle piste della Mufara) Piano Battaglia era evasione e invasione. Evasione dalle famiglie che ci consentivano, spesso incoscientemente, di partire da soli. Invasione dell’Ostello della Gioventù dove si dormiva in cuccette a tre livelli e ci si sfiniva di cioccolata e pigiama party.
La sciata era un rito che durava giorni, a volte settimane. Era infatti soprattutto attesa. Delle condizioni climatiche adeguate, del permesso dei genitori, della convergenza scolastica giusta.
Io a scuola non andavo bene, anzi spesso non andavo e basta. Quindi per me era tutto più difficile.
Eravamo un gruppo nel gruppo, o meglio una costola di un grande organismo: comitiva da adunate oceaniche (come era consueto a quei tempi), gruppetto di giovanissimi sciatori. La nostra salvezza era il signor Seidita, uno che aveva un pulmino da affittare. I nostri genitori si fidavano (solo) di lui perché credevano che fosse quello che si può definire un buon padre di famiglia, mentre in realtà era solo un tipo abbastanza paziente. Un buon incassatore, in tutti i sensi. Con qualche lira questo signore ci passava a prendere la domenica all’alba, ci portava sino a Piano Battaglia e tentava di riportarci sani e salvi a casa. Undici ragazzini, undici indemoniati.
Ricordo le fermate di questo cammino della speranza.
A Campofelice di Roccella ci stordivamo con un Vov diviso tutti. Indi fuga in bagno: col tempo, il dubbio che il conto del bar risentisse dell’abuso del cesso è diventato realtà.
A Collesano facevamo fuori i primi panini, e non erano nemmeno le otto di mattina.
A Piano Zucchi c’era già chi, dopo l’effetto combinato Vov-curve-panino, si liberava lo stomaco per via non convenzionale. E via, andare…
A Piano Battaglia, anzi in vista di Piano Battaglia scattava il “piano Seidita”: parcheggio a tre chilometri dalle piste, sci in spalla, camminare da soli e non rompere le palle. Il signor Seidita congelava lì i suoi servizi. Si accoccolava sul suo sedile e, col riscaldamento acceso, si faceva un pezzo di sonno senza gli undici indemoniati. Ci avrebbe ripreso sei ore dopo con una tecnica simile allo strascino. E chi c’era c’era.
Una volta mi persi in un fuori pista avvolto dalla nebbia e per di più quasi al tramonto. Perdersi a Piano Battaglia era come ubriacarsi di una goccia di Vov, ci voleva molta fantasia. E io non mi facevo mancare nulla a quel tempo. Mi raccolse un auto che mi trovò intirizzito in un punto imprecisato della strada che ero riuscito faticosamente a raggiungere dopo aver abbandonato gli sci in mezzo agli alberi. Fu un colpo di fortuna e di sfortuna al tempo stesso. Fortuna perché mi salvarono e mi portarono all’Ostello della Gioventù, dove fu revocato l’allarme del Cai (“Attenzione, si è perso un ragazzino!”). Sfortuna perché quelli che mi salvarono erano, per coincidenza, amici dei miei genitori. Che ovviamente furono informati in tempo reale della mia imprudenza, eccetera eccetera.
Quella sera rimasi bloccato a Piano Battaglia, dato che il signor Seidita era rientrato col suo gregge, ma senza la pecora nera.
E fu una serata indimenticabile. Il maestro Saro Cicero del Cas, il mitico maestro di sci che maestro non era (era un ex dipendente comunale o qualcosa del genere) mi ammise nella congrega dei suoi ragazzi che erano in ritiro al rifugio. Mi rifocillarono: bevvi brodo (io che detesto il brodo), mangiai carne (io che non mangio carne), dormii in una stanza con altri otto ragazzini (io che odio le promiscuità spinte), indossai un pigiama prestato (io che non ho mai usato pigiama e non ho mai indossato abiti prestati). E vissi il pigiama party più bello della mia vita!
Sarà per questo che amo lo sci. Sarà per questo che il maestro Cicero è diventato il mio modello sportivo: magro, inflessibile, complice. Sarà per questo che lo sci ha condizionato pesantemente la mia esistenza: scio ininterrottamente da allora, godo ancora dell’effetto dei duri allenamenti di presciistica (mi vanto di essere un campione di corsa sulle pietraie).
Ho persino mollato fidanzate che non amavano lo sci. Così, per onestà morale.
[…] Così per la rapidità nel saper saltare in discesa da una pietra all’altra ringraziavo le stagioni di presciistica vissute da ragazzino con il tosto maestro Cicero. […]
[…] liete, altre decisamente no. Sulla mia devozione nei confronti della stagione invernale, causa passione sciistica, vi ho già detto troppe volte. Sulle ricorrenze vale la pena di […]
[…] drogati e virtuosi, c’erano musicisti e gli sciatori (sì, sciatori come vi ho raccontato qui). Tutti insieme senza sussulti.Perché il succo nobile della storia è proprio questo. In questo […]
[…] Qui qualcosa di più personale sul mio rapporto con Piano Battaglia. […]
Ciao Gery,
leggendo questo ricordo, come tanti altri, attraverso con curiosità un mondo di interessi e di passioni che non mi sono mai appartenute, semplicemente perché ciò che mi “accende” ricade altrove: e va bene così. La cosa che, tuttavia, non posso fare a meno di scrutare, e forse invidiare, è la dimensione sociale, dello stare insieme, che emerge dai tuoi racconti.
Ho quasi sempre la sensazione che, quando tu eri molto giovane o addirittura ragazzino, ci fosse un modo diverso di concepire e soprattutto di vivere i rapporti di amicizia. Non che mancassero gli egoismi e i calcoli personali, ma in mezzo a quel “ciascuno pensi per sé” che tante volte sento riecheggiare, mi pare di cogliere il segno di una fiducia generosa nell’altro, di un sentirsi parte di qualcosa di più grande. Qualcosa che oggi latita più che mai.