Il finto fasto del Festino

image Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Facciamo un gioco. Trovate qualcuno che vi legga questo articolo mentre voi chiudete gli occhi e immaginate. Immaginate una città che si prepara all’appuntamento con la Grande Festa per la sua santa patrona, in un tripudio di tensione emotiva e devozione. La tensione è talmente palpabile da venir sperimentata, sotto forma di calci, sulla schiena dell’organizzatrice del mega evento, a conferma del fatto che, alla nostra latitudine, certi riti pagani accomunano sfilate e minacce, cazzotti e mortaretti. La devozione, poi. Per immergersi in toto nell’estasi del culto occorre un’ulteriore spinta dell’immaginazione, quella che rende complementari la devozione con la tradizione, la preghiera con la richiesta esplicita. Cosa pensavano di fare quei devoti lavoratori (socialmente più pericolosi che utili) arrestati perché minacciavano di bloccare la Grande Festa, se non perpetrare la tradizione di una grazia che qui si ritiene dovuta? Suvvia, la minaccia in fondo non è altro che una forma di preghiera un po’ spinta.
I tempi cambiano e anche i riti millenari risentono di mode e crisi. Sempre a occhi chiusi provate a rievocare l’ultima volta in cui siete stati di persona alla Grande Festa. Più scatti di cellulari che parole, più cheeseburger che babbaluci, più collanine fosforescenti che rosari da sgranare: vi è mai venuto il dubbio che anziché un solenne corteo fosse un affollato flash-mob?
Accantonata ogni santa illusione, smaltito ogni residuo di passione civile (che è come il latte fresco, nutriente ma deperibile) non provate la tentazione di derubricare il tutto a santissima illusione? La città che nel 1624 resisteva alla peste, oggi soccombe senza combattere dinanzi a mali sociali ben più radicati e dilaganti di quelli biologici, resistenti a ogni forma di antibiotico.
(…)
La Grande Festa della tradizione non risolve l’eterno dualismo di significato tra la celebrazione dei vivi come morti e quella dei morti come vivi, poiché è vero che, come si dice dalle nostre parti, il morto insegna a piangere, ma è inconfutabile che grazie a certi morti si campa, quindi si impara a sorridere. Nel passato l’indotto di tutte le celebrazioni per la santa patrona era talmente ingente da far temere il sorpasso del numero dei lavoranti – tra artisti, amici degli artisti, elettricisti, carristi, falegnami, fuochisti, operai veri e presunti – rispetto a quello degli effettivi spettatori. Oggi che c’è la spending review, dai toni trionfalistici si è passati a quelli minori, più consoni, e si è trovata finalmente una spiegazione moderna e politically correct per quel diminutivo, Festino, piccola festa. Dai sacrifici della fede a quelli del portafoglio, è un upgrade di civiltà molto in voga, quasi elegante.
Ecco, alla luce di tutto ciò, immaginate questa festa al netto di qualche anziana adorante, di qualche turista sciroccato, di un sindaco che per l’occasione si dava latitante e di uno che invece cavalcava quasi fisicamente i buoi del carro, e guardate cosa c’è all’ombra della santa, sotto le luminarie, dietro le urla di invocazione. Nessuno. Niente. Un deserto di motivazione, una moltitudine di vuote anime vaganti, il peso inconsistente di una città distratta.
Bene, fine del gioco. Adesso aprite gli occhi e trovate le differenze tra la città che avete sinora immaginato e la Palermo che si appresta a prendere in ostaggio Santa Rosalia.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

3 commenti su “Il finto fasto del Festino”

  1. Il pezzo è di elevatissima fattura, che condivido con tutto il cuore

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