Nei panni di Tony Ciavarello

spalleIl signor Tony Ciavarello ha passato il fine settimana davanti al computer a rispondere e a difendersi. Il signore in questione è il marito della figlia di Totò Riina e l’occasione per questo dialogo-scontro con gli internauti è stata la pubblicazione su Rosalio della notizia di un’indagine della Guardia di Finanza su una società riconducibile a lui e a sua moglie.
Insomma, casa Riina (Ciavarello è genero del capomafia quindi non è un estraneo) si apre al confronto.
Più che impelagarsi in analisi sociologiche, è utile rimanere ancorati ai fatti. Se non ricordo male, qualche anno fa la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo rigettò una proposta restrittiva (obbligo di dimora e sorveglianza speciale) nei confronti del signore in questione perché la sua parentela acquisita non bastava, da sola, a farne una persona pericolosa.
I fatti però non sono soltanto quelli che attengono alle aule di giustizia. Ciavarello chiede di essere considerato una persona normale, di essere trattato come un qualunque cittadino. Dal punto di vista giuridico ha ragione. Ma dal punto di vista umano e sociale gli si chiede qualche sforzo.
Ogni persona di buon senso capisce che il suo è un ruolo molto difficile. La sua “liberazione”, se davvero è ispirata da nobili propositi, passa attraverso alcune strettoie. Tony Ciavarello non è un qualsiasi Tony Ciavarello. E noi non viviamo a Disneyland, ma a Palermo – Sicilia – Italia.
Non serve una abiura ufficiale, basta la buona fede (che è una lunga strada). Non servono parole vuote (“bisogna vedere chi sono i veri mafiosi, se sono solo quelli come Totò Riina o se ce ne sono nascosti dietro mentite spoglie”), ma parole semplici, anche sofferte.
Ciavarello, se  è davvero animato da buone intenzioni,  a mio modesto parere dovrebbe frequentare meno avvocati e più estranei. Per mostrarsi e raccontarsi. Dovrebbe sottoporsi al calvario di una semplice, scontata domanda, ripetuta mille e mille volte: non si è rotto le scatole della mafia? Risposta secca, senza argomentazioni da Bignamino del qualunquismo.
Dovrebbe presentarsi come il più dritto dei chiodi dritti, anche quando il martello percuote: mai farsi martire, opporre le proprie ragioni sempre, quello sì.  Dovrebbe battersi per fugare ogni diffidenza con la semplice forza di un argomento: sto da una parte ben precisa del tavolo, nonostante la vita mi abbia riservato anche un posto dall’altro lato.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

22 commenti su “Nei panni di Tony Ciavarello”

  1. Io mi sto ancora chiedendo come mai “casa Riina” si apra alla discussione mediatica. Purtroppo il sig. Ciavarello deve fare in conti anche con questo: la naturale, sacrosanta diffidenza da parte della gente che non ha niente a che fare con il suo mondo, con la sua storia. Sul versante dell’ottimismo e lasciando da parte i retropensieri, mettersi a confronto in un dialogo aperto e senza filtri mi sembra già un piccolo passo avanti per un sig. Ciavarello. Lo scambio di opinioni, al contrario del silenzio malevolo, non fa mai male. In alcuni casi l’inizio di un percorso che vale la pena di tentare.

  2. Dimenticavo: come giustamente accennava il maestro Gery, qui corre l’obbligo di discutere con nome e cognome. Mi sembra il minimo.

  3. Condivido quanto scritto da Gery: bisognerebbe dire a chiare lettere che la mafia e i mafiosi fanno schifo sempre e comunque. E che non si può giustificare nulla in nome di una parentela. Nulla.

  4. D’accordo su tutta la linea.
    Penso che il sig. Ciavarello a un certo punto si sia anche lasciato prendere da una certa smania di protagonismo, gestita un po’ “alla maniera palermitana”, con tono arrogantello ma non troppo (con te ci parlo e con te invece no!). E credo che il suo avvocato abbia faticato non poco per tenerlo a bada.
    Potenza del web… e complimenti a Rosalio!

  5. Ho seguito la discussione su Rosalio.
    La questione non è semplice.
    Aldilà dell’attività svolta dal sig. Ciavarello e per la quale sono in corso accertamenti – e ad ora è da ritenersi legale fino a prova contraria – mi sono sempre chiesto quanto le colpe dei padri debbano ricadere su i figli.
    Se è vero che non si può giustificare nulla in nome di una parentela, penso che sia difficile per un figlio che voglia vivere una vita normale,rinnegare in toto la sua famiglia.
    Soprattutto può un cognome, una parentela diretta impedire una vita normale?
    Aldilà dei luoghi comuni ritengo ci sia una grossa ipocrisia.E’ innegabile che per l’opinione pubblica le colpe dei padri si trasmettano ai figli, indipendentemente dal fatto che molto spesso questi figli hanno vissuto anni in totale assenza di una figura paterna reale.E’ più forte di noi, ammettiamolo : è figlio di mafiosi, quindi sarà mafioso anche lui/lei. Ma se non fosse così?
    Non viene ogni tanto un tarlo a rosicchiare le nostre certezze morali?

  6. @Fabio Casano: “può un cognome, una parentela diretta impedire una vita normale?”. Domanda legittima, ma questo non è un caso che si può associare a tanti altri. Stiamo parlando della figlia e del genero di Totò Riina, capo di Cosa Nostra, pluri-ergastolano.

  7. Non voglio fare l’avvocato del diavolo. Il mio giudizio morale su chi ha compiuto stragi è molto netto e nel mio piccolo mi impegno ogni giorno nel perseguimento della legalità.
    La mia domanda,il mio dubbio, nasce dalla facilità con cui diamo per scontato ( mi metto anche io nel mezzo) che a tale padre corrisponda tale figlio. Che riguardi Riina o Provenzano o Lo Piccolo la cosa , a mio parere, non cambia.
    Dovremmo valutare le persone dai fatti e non dai loro cognomi.
    Se poi il figlio/figlia seguirà le orme del padre sarà una sua scelta e ne dovrà assumere tutte le conseguenze.

  8. Per trovarsi nei panni del sig. Ciavarello bisogna avere la giusta vocazione. Non è una semplice questione di parentela acquisita. E’ una questione di appartenza. Ha scelto di stare da una precisa parte del tavolo. Ignorarlo è commettere un atto omertoso.

  9. Rileggendo i commenti su Rosalio, trovo invece che il sig. Ciavarello abbia scelto di non accomodarsi a questo tavolo in maniera netta e definita. Apertura al confronto, questo si, ed è una cosa che va sottolineata (come dice Giacomo Cacciatore), ma non mi pare si sia posto “come il più dritto dei chiodi dritti”. Non ancora, almeno.
    La diffidenza, pertanto, mi pare sia più che legittima.

  10. Parlare di “veri” o “finti” mafiosi è come dire che ne esistono di due tipi, una cattiva ed una buona. Siamo agli albori…

  11. “Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario”
    Da “candido ovvero un sogno fatto in sicilia” Leonardo Sciascia.

    Sig. Ciavarello, lei ha fatto una scelta difficile, che si porterà dietro leciti dubbi da parte di chi, come me, crede che i mali di un paese come quelli di un individuo vadano esposti e non nascosti.

    Se poi la sua vicenda giuridica si risolverà per il meglio buon per lei e la si chiude lì, senza che nessuno abbia l’arroganza di sentirsi giudice sommo.
    Ma questo credo sia il peso più lieve che lei si porterà sulle sue spalle
    E lo dico senza tono accusatorio o ironico.

  12. Mi sembra interessante riportare lo stralcio di un’intervista a Giovanni Impastato. Da Live Sicilia:

    …Può la figlia di un boss rivendicare un nuovo inizio, un’esistenza serena e socialmente inserita, nonostante le malefatte del genitore?

    Allora, Giovanni, si può?
    “Sì, a patto di rompere definitivamente con il padre”.

    Cioè rinnegarlo, smettere di amarlo?
    “No, è questo il punto. Prendere le distanze, nel rispetto della verità è un modo per amarlo forse di più. Ho già portato avanti questo discorso, lo ripropongo”.

    Bello, ma non immediatamente comprensibile.
    “E’ quello che abbiamo fatto io e Peppino. Non ci siamo nascosti. Abbiamo rotto con la cultura mafiosa. Però, col cuore, siamo rimasti con nostro padre. Abbiamo continuato a volergli bene”.

    Nel caso specifico?
    “Alla domanda: chi è Totò Riina, non si può fare finta di niente. Non si può distinguere, non è lecito fuggire. Maria Concetta abbia il coraggio di rispondere. Sarà un segno di rispetto nei confronti della verità e – ripeto – di suo padre. Dopo, si sentirà libera”.

    Non è facile.
    “Mai detto che lo sia. Però è un cammino necessario per ricominciare davvero”

  13. @Daniela. Impastato centra il discorso. Bisogna rompere con il padre. E certo che non deve essere facile ricostruirsi dalle fondamenta.

  14. Gli spunti per un romanzo o per un film fuori dagli schemi ci sono in abbondanza. Ci vedo anche dei tratti fortemente shakespeariani. C’è qualcosa di antico e di inedito al contempo.

  15. Ciao Romina, ciao Cinzia: grazie per gli attestati di stima e affetto. Dite agli altri (TUTTI gli altri, nessuno escluso) di tenersi liberi per… diciamo, il tardo pomeriggio di venerdì 15 maggio?

  16. messaggio a favore di tony e mary.
    carissimi che scrivete sui blog vari contro due persone, avete finito di giudicare e condannare. piuttosto chi è senza peccato scagli la prima pietra. state uccidendo l’anima del vostro prossimo e dovete rendernene conto al Signore. Dare troppa retta ai mass media non porta da nessuna parte anzi crea solamente divisioni. cerchiamo di fare i buoni cristiani.

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