Un premio per imparare

fratellanza
di Raffaella Catalano

La cerimonia ha uno stile tra Hollywood e Bollywood. Ma si svolge a Palermo, al Teatro Ranchibile dell’istituto Don Bosco. Sul palco dei salesiani c’è un trono d’oro su cui siede la regina della festa, in abito rosso con collo di finto ermellino, guanti bianchi, corona e scettro. Intorno, dieci principesse, tutte belle, giovani, in lungo e supercolorate, in attesa di sapere chi sarà l’eletta del 2009 in un concorso che somiglia a Miss Italia, anche se la prescelta sarà una filippina. Sono quasi tutti filippini, al Ranchibile, a partire dal presentatore, Armand – il capo di questa comunità asiatica a Palermo – che è anche un cantante famoso, non solo nel suo paese e nella nostra città.
I siculi presenti sono pochi. Ma buoni, a quanto pare. Tant’è che sono lì per ricevere il premio per il “Miglior datore di lavoro dell’anno”. Uomini e donne che annoverano dei filippini tra i loro impiegati regolari: in casa, nelle aziende di famiglia, in campagna o in un negozio. Hanno tutti addosso un fiore verde ricoperto di brillantini: le signore in testa, i signori appuntato sulla giacca. Quel fiore consegnato all’ingresso distingue i candidati al premio dai loro parenti e accompagnatori.
Dopo una preghiera, qualche canzone, un paio di video con la storia di famiglie filippine ormai radicate da anni a Palermo – il tutto rigorosamente in lingua tagalog e altri idiomi asiatici – si balla e poi si fa una sosta per il rinfresco. A metà della serata partono le interviste, stavolta in italiano, a chi tra i presenti stranieri conosce e apprezza i datori di lavoro siculi candidati al premio, per ricostruire la storia della loro disponibilità, del loro altruismo, della loro sensibilità e delle altre qualità umane che li avvicinano, secondo i loro impiegati, più a dei benefattori che a dei datori di lavoro in senso stretto. Una specie di agiografia trionfale, insomma.
Il rito culmina con la consegna di una targa d’argento e di diversi altri premi a corollario.
E poi di nuovo canti, balli, drink e stuzzichini, fino all’elezione della “princess” filippina edizione 2009, al calar della notte.
Folclore? Pacchianeria? No, non direi.
Chiedetevi quando mai avete visto un datore di lavoro nostrano celebrare un suo dipendente, anche se impeccabile. E quando mai avete visto un impiegato nostrano celebrare il suo datore di lavoro, pur se magnanimo.
Questo non è colore locale asiatico. Questa è civiltà. E in tempo di scontri e di razzismi idioti è una grande lezione di vita.

Pubblicato da

Gery Palazzotto

Palermo. Classe 1963. Sei-sette vite vissute sempre sbagliando da solo. Sportivo nonostante tutto.

12 commenti su “Un premio per imparare”

  1. Molto bello. Istruttivo. In fatto di rapporti sociali e disponibilità nei confronti dell’Altro, forse, “primitivi” e “analfabeti” siamo noi occidentali.
    E tanto, umilmente,abbiamo da imparare da queste occasioni.

  2. Da piu’ di venti anni faccio volontariato in un drammatico settore sanitario eppure non mi sono mai presentato su un palco.Ho pure avuto assegnato dalla citta’ di agrigento un importante premio!!!Queste varie associazioni cattoliche che si occupano di ospiti stranieri mi ricordano la vecchia e superata S.Vincenzo di mia donna.Se vogliamo apportare un importante contributo umano e sociale dobbiamo semplicemte offrire servizi accessibili,efficienti con continuita’e sopratutto al di fuori del pietismo clericale.

  3. @d’artagnan:sono d’accordo con te quando parli di ” servizi accessibili, efficienti con continuità e senza pietismo clericale”
    Ma non credo che la celebrazione di una festa che rende omaggio a un buon impegno civile non sia da meno.
    Perchè tentare di soffocare i piccoli refoli d’ossigeno invece di stimolarne la portata.
    La comunità è un insieme omogeneo che cresce.

  4. Cara Raffaella,
    il tuo bell’editoriale potrebbe essere un ottimo viatico per l’oscar a The Millionaire che condensa cinematograficamente le tue parole.

  5. Credo che, al di là di vacue parole, il multi-etnicismo vero si costruisca proprio attraverso simili manifestazioni che nulla hanno di “pietismo” cattolico. Solamente, accade che, mentre nomenklature e quadri di partito disdegnano prendere iniziative “populistiche” e di varia umanità, le organizzazioni cattoliche con grande tempestività sono sempre pronte ad occupare quei vuoti lasciati dall’insipienza di altri.

  6. @d’artagnan: qui nessuno si è presentato sul palco di sua iniziativa né ha fatto la pia donna/il pio uomo. Una persona tra quelle premiate la conosco personalmente e molto bene: è tutt’altro che religiosa e non ha mai avuto alcuna aspirazione da dama di San Vincenzo. Anzi, le rifugge certe dame. E’ solo una donna sensibile e corretta che fa delle cose lodevoli assolutamente in privato e per singoli individui, non per comunità o congreghe. Nulla a che vedere con le beghine tutte perbenismo e facciata. E, aggiungo, per una decina d’anni ha fatto volontariato, da psicoterapeuta, nel suo medesimo settore.

  7. Aggiungo che la laicissima signora in questione, non facendo parte di alcuna associazione caritatevole, tanto meno cattolica, è stata la prima a stupirsi che due private cittadine filippine residenti a Palermo che ha conosciuto negli anni l’avessero invitata lì e candidata al premio. Insomma, ha dato affetto e accoglienza (e un paio di contratti di lavoro regolari), non carità cristiana per guadagnarsi una targa d’ottone sul banco di una chiesa o una comoda location in paradiso.

  8. Francamente, a me importa ben poco se la signora fosse laica, cattolica, alta o bassa, lodo la sua civiltà e il suo rispetto per il prossimo e per il lavoro onesto che rende dignità, a una società civile.

  9. @faguni: sono d’accordo, faguni. Anche per me non rileva se chi fa qualcosa per gli altri sia cattolico, buddista o ateo. Però concordo con d’artagnan sulle dame di San Vincenzo e simili: anche tra quelle “dame” ce n’è una che conosco ed è una donna gretta ed egoista che fa del (presunto) bene, in realtà fintissimo, non sentito, a denti stretti e a tempo stretto, solo per apparire e autocelebrarsi. Per giunta sbandierandolo a mezzo mondo. Quella è una carità molto poco caritatevole.
    @tutti: grazie per i commenti.

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