L’ultimo regalo di Cammarata

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Ricordate lo scandalo Amia, quello delle aragoste trangugiate a spese nostre, dei viaggi a Dubai e dei vergognosi sprechi che hanno portato l’azienda al fallimento? Ricordate la manovra dell’ex sindaco di Palermo Diego Cammarata per salvare l’ex presidente dell’azienda Enzo Galioto, suo compagno di cordata politica?
Ecco, l’altro giorno la prescrizione ha salvato tutti i personaggi coinvolti in questa vergognosa storia di imbrogliazzi. E sapete a chi dobbiamo tutto questo? Al signor Cammarata che, da sindaco, si rifiutò di denunciare Galioto e correi in modo da far scattare l’aggravante che avrebbe allungato i tempi di prescrizione.
E brutto dirlo, ma molti di noi lo avevano previsto.

Due anni e la noia

Due anni fa scrivevamo in queste pagine della vicenda Amia e del senatore Enzo Galioto. Oggi questo signore è stato condannato per falso in bilancio e false comunicazioni sociali e se la farà franca perché come avevamo previsto, sempre due anni fa, colui il quale doveva denunciarlo come parte lesa era un suo compare di partito e, peggio ancora, era anche colui che lo aveva piazzato in quel posto chiave. Quindi niente denuncia e vai con la prescrizione.
Il dramma è che un tempo cresceva l’indignazione, oggi sale solo la noia.

Siamo l’unica città

Siamo l’unica città il cui sindaco ci mette qualche anno per definire inadeguato un amministratore che lui stesso ha nominato e che ha portato alla rovina l’azienda che amministrava.

A tumulazione avvenuta

Finalmente si farà almeno un processo sullo scandalo dell’Amia.

Un altro sindaco

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Leggete sopra (da Rosalio).
Il contenuto della seconda riga merita, a scelta:

un’assemblea pubblica a piazza Politeama;

un dibattito privato a casa Cammarata (non di giovedì che c’è Don Matteo 7);

una riflessione alcolica al Tribeca;

un forum felpato al Giornale di Sicilia;

oppure una semplice considerazione che parta dal dissesto dell’Amia e arrivi fino alle vergognose missioni milionarie dei suoi dirigenti, sempre tenendo conto della qualità del servizio di raccolta dei rifiuti a Palermo.

Un altro sindaco, con una maggiore scorta di dignità politica, avrebbe fatto ammenda per la propria inadeguatezza: in un partito che promette meno tasse per tutti, essere costretti a turare falle grazie ai maggiori esborsi dei cittadini è un po’ come spacciare scolapasta per pentole.
Un altro sindaco, con un senso di responsabilità meno labile, avrebbe ammesso: “Cari concittadini, siamo in difficoltà. Per colpa di alcuni sconsiderati amministratori (miei amici e compagni di coalizione, vabbè) siamo con le pezze al culo. Mi hanno fregato, vi hanno truffati. Tranquilli però, questi soldi ce li riprenderemo con tutti i mezzi leciti a nostra disposizione”.
E invece?
Invece Cammarata Diego, infausto sindaco  di una infausta Palermo dell’anno 2009, dà mandato di procedere, qualora esistano i presupposti, contro i furbastri che hanno mangiato aragoste a scrocco, alloggiato in alberghi a cinque stelle nonostante il conto fosse pagato con le tasse di un ignaro pensionato, succhiato dalle casse pubbliche con “onorevole” passione. Il primo cittadino di Palermo non ha il coraggio di voltare le spalle a personaggi che pur percependo stipendi a sette zeri non hanno esitato a farsi rimborsare da me e da voi tutti – di destra, di sinistra, di sopra e di sotto – persino le sigarette o le bibite al bar: tagliate di faccia si chiamano queste, alle nostre latitudini.
Un altro sindaco avrebbe cercato e trovato il pretesto per mostrarsi vivo e possibilmente animato da buona fede.
Cammarata Diego ha perso anche questa occasione: e non perchè non sia vivo.

Citofonare Galioto

Da oggi, con tipico interventismo berlusconiano, il sindaco di Palermo si trasferisce potrebbe trasferirsi all’Amia per affrontare il problema del debito milionario. Sul tema si sprecano le battute.

Sarebbe stato meglio che anziché albergare all’Amia, il sindaco si trasferisse a casa del senatore Enzo Galioto, che del debito sa qualcosa più di lui. E questa, giuro, non è una battuta.

Sincerità

Vincenzo Galioto, ex presidente dell'Amia, oggi senatore del Pdl
Vincenzo Galioto, ex presidente dell'Amia, oggi senatore del Pdl

Qualche anno fa l’amministratore di un piccolo ente palermitano collegato alla mammella della Regione andò in missione a Milano e per quei tre-quattro giorni di business meneghino pensò bene di affittarsi una Ferrari, ovviamente non a spese sue. Quando un magistrato lo mandò a chiamare e gli chiese conto e ragione di quella scelta, la risposta fu: mi serviva un mezzo adeguato per muovermi e non ho trovato un’alternativa migliore.
La semplicità disarmante con la quale si cerca di lavare l’onta di un atto illecito è una costante nelle piccole storie di malaffare. E, se ci pensate un attimo, ha un che di sincero. Tutti questi personaggi che affollano le cronache degli sprechi comunali, degli imbrogliucci di sottogoverno, sono figli della raccomandazione, della vita facile per grazia ricevuta. Scorrete i nomi della vicenda Amia: c’è un mondo di parentele politiche, di scambi di “cortesie”, di posti giusti creati sullo stampo dell’uomo giusto. Ieri presidente, oggi senatore, domani comunque pensionato di lusso. Non è criminale per queste persone spendere decine di migliaia di euro del contribuente in alberghi di lusso negli Emirati Arabi. Non è disdicevole cenare a spese nostre con aragoste e champagne nei migliori ristoranti del mondo. Non è ridicolo farsi rimborsare da noi i soldi delle sigarette e del frigobar. E’ anzi naturale, semplice come semplice è stata la loro scalata all’ente di cui prosciugano le casse.
Dobbiamo capirli, dobbiamo immedesimarci: sono lavoratori senza gli anticorpi della fatica. Nel loro mondo l’occasione non fa l’uomo ladro, ma furbo. Il ritegno e la dignità non si misurano, si addentano. Magari seduti davanti al tramonto di un cinque stelle extralusso di Dubai.

Cammarata, lo sfacelo immobile

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La vicenda è complicata, ma esemplare. Provo a riassumere. L’Amia di Palermo, azienda per l’igiene ambientale, è sospettata di essere scenario di un consistente falso in bilancio dal momento che, negli anni 2005-2006, ha inventato un gioco di scatole cinesi societarie per mascherare un buco di 150 milioni di euro (soldo più, soldo meno). La voragine avrebbe come causa principale la gestione clientelare delle assunzioni: parenti dei dipendenti, figliocci di esponenti politici, precari di ogni genere e grado. Lo scorso anno la procura apre un’inchiesta e i vertici della società, tra cui l’ex presidente e oggi senatore del Pdl, Enzo Galioto, vengono indagati. L’accusa ipotizzata è falso in bilancio, un reato che da qualche anno può essere perseguito solo se c’è una querela della parte lesa. E chi è la parte lesa? Il Comune. E chi regge il Comune? Il sindaco Diego Cammarata. E chi ha nominato Galioto? Il sindaco Diego Cammarata. E di che partito è il sindaco? Del Pdl. Come Galioto, minchia!
Riassunto del riassunto.
Dunque Galioto, nominato da Cammarata, è accusato di un falso in bilancio che vedrebbe come parte lesa colui il quale lo ha nominato, cioè Cammarata. Un parricidio virtuale insomma. Un tradimento di moneta. E il la all’inchiesta deve darlo, per legge, proprio la vittima, il padre offeso, il tradito. Senza, non se ne fa niente, liberi tutti, cin cin e vai con Apicella.
Finisce, con scarsa originalità, che il sindaco non querela, che la maggioranza (del Pdl, of course) fa saltare la seduta cruciale del consiglio, che l’opposizione con un fremito post mortem abbozza l’occupazione dell’aula consiliare, che i termini per consentire l’avvio dell’inchiesta della magistratura scadono.
E’ un record planetario per Cammarata: l’unico sindaco al mondo che riesce a fare sfaceli semplicemente restando immobile.