Stefania e la violenza di cittadinanza

C’è un aspetto secondario, ma manco troppo, nell’aggressione a Stefania Petyx da parte di un manipolo di delinquenti che occupano abusivamente le case di via Savagnone a Palermo.
Partiamo da un paio di punti fermi e incontrovertibili. Stiamo parlando di una cronista che documenta un abuso quindi siamo in una scena in cui il divario tra lecito e illecito è ben definito. Da una parte una cristiana che lavora (e rischia), dall’altra gentaglia che campa alle spalle degli altri e pure facendosi largo con la violenza. L’aggressione è un atto criminale che solo per poco non è sfociata in tragedia. Ecco così disinnescate le indicibili bofonchiate per cui “lei se l’è cercata”, “ma chissà quei padri di famiglia che problemi hanno” e via minchieggiando.
In realtà quello di via Savagnone è uno spaccato di un’Italia – altro che Palermo – che vive di aspettative a sbafo, che non conta sul lavoro ma sul denaro che (chissà come) c’è e va distribuito a pioggia, che seppellisce il merito come un morto da non piangere e riesuma lo Stato come mammella da cui succhiare il latte di cittadinanza.
Gli abusivi che aggrediscono Stefania, persino sotto gli occhi della Polizia, sono l’humus su cui fare crescere promesse elettorali indecenti senza capo né coda. Ponti costruiti con l’amore al posto del cemento, stati di povertà che si cancellano con un decreto, malattie che si sconfiggono con l’acqua e limone, panni che si puliscono in lavatrice con una pallina di plastica. Ed io che ho sempre pensato che le cazzate fossero una cosa seria. La verità è che sono come la pasta frolla: in mani giuste una delizia, in quelle sbagliate un disastro annunciato sin dal nome.