A proposito di Renato Farina

Renato Farina, il personaggio radiato dall’Ordine dei giornalisti per aver pubblicato notizie false su commissione dei servizi segreti italiani, condannato per favoreggiamento nel caso Abu Omar nonché per falso in atto pubblico dopo aver introdotto in carcere (durante una fondamentale visita a Lele Mora) una persona che non ne aveva titolo, è naturalmente anche un deputato della Repubblica: ci mancherebbe altro, con questo curriculum.
Come sapete Farina è anche il protagonista occulto, o meglio vigliacco, del caso Sallusti cioè l’autore anonimo dell’articolo incriminato. Solo l’altro giorno, dopo molti anni trascorsi a rintanarsi sotto gli impermeabili degli agenti del Sismi, il nostro personaggio ha trovato il coraggio di ammettere le sue responsabilità quando ormai la frittata era fatta.
E’ insomma uno che della segretezza storta, del trasversalismo bieco e della doppiezza, ha fatto uno stile di vita. Per questo, spulciando nella sua attività di parlamentare, mi ha colpito una delle sue più recenti interpellanze, dedicata alla pubblicazione delle carte segrete del Papa. Prendendo spunto da articoli del Corriere della Sera e del settimanale Sette, l’infarinato Farina tuona contro “tali notizie di stampa”… che “danno conto di patenti violazioni della segretezza delle comunicazioni private e della pubblicazione di documenti riservati di uno Stato amico”.
Tutto chiaro?
L’esperto della disinformazione a pagamento – perché i Servizi lo pagavano per pubblicare falsità, secondo sua stessa ammissione – se la prende con l’informazione ordinaria. E lo fa firmando un atto pubblico, in veste di rappresentante dei cittadini.
Se nessuno ancora ha il coraggio di prenderlo a calci in culo, è provato che siamo un Paese senza speranza.

Il Papa, la vita e il suo contrario


Il Vaticano ha attaccato il nuovo premio Nobel, il pioniere della fecondazione in vitro. E’ un ulteriore passo verso lo scollamento definitivo della Chiesa dal mondo dei vivi. L’anatema equivale, senza incorrere in complessi sillogismi, al seppellimento di una realtà di figli, esseri viventi, nati grazie al progresso della medicina di cui Robert Edwards è alfiere.
Questa classe di porporati, inopinatamente catapultati in un secolo che fingono di non conoscere, ritiene di dover scacciare il demonio da ogni laboratorio: per questi oscuri figuri, il seme del male sta nei vetrini e nelle provette, mica nelle mutande di certi preti.
Adesso ogni cattolico è legittimamente autorizzato a chiedere al Papa, o a chi blatera per lui: sei per la vita o per il suo contrario? Come riesci a essere contemporaneamente contro l’aborto e contro il suo contrario? Come fai a propalare tutto e il suo contrario?
Lo so, queste domande fanno un po’ slogan da partito dell’amore, però Ratzinger non è personaggio da sottovalutare solo perché c’è un Berlusconi che racconta più barzellette di lui.

Un delinquente


Il Vaticano usa il pugno di ferro contro padre Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, che nella sua vita ha abusato di bambini, donne e stupefacenti.
Due giorni fa, in un comunicato, la Santa Sede ha “certificato” che il prete “ha causato serie conseguenze nella vita e nella struttura della Legione, tali da richiedere un cammino di profonda revisione”.
Chiaro?
Secondo i porporati del Vaticano, le serie conseguenze del comportamento del prete delinquente sono quelle causate alla Chiesa, non quelle che colpiscono le decine di vittime deflorate e umiliate con la violenza più vigliacca, quella di chi dovrebbe agire per conto di Dio.
Marcial Maciel Degollado ha provocato un grave danno all’entourage religioso. Della psiche e degli sfinteri – o se preferite, dello spirito e della carne – delle vittime, il Papa e i suoi mastini della dottrina non si occupano.
Come è facile capire, la revisione annunciata da Ratzinger è utile come un treno deragliato.
Ah, padre Degollado è morto due anni fa.

Grazie alla Contessa.

Divisi nell’alto dei cieli

Il manifesto

Secondo il Papa c’è bisogno di governanti “credenti e credibili”, due qualità non complementari e, spesso, antitetiche. Esempio: se io nel nome della mia fede (quindi da credente) varo provvedimenti che deludono tutti quelli che non hanno il mio stesso credo pur avendo lo stesso diritto di cittadinanza, non sono un governante credibile.
Il rapporto tra Papa Ratzinger e il premier Berlusconi è solido quanto un budino a Ferragosto quando il frigo si scassa. Quello che molti laici di sinistra pensano – almeno quelli che conosco, leggo – è che mai prima d’ora i vertici della Chiesa e dell’Esecutivo italiano hanno avuto bisogno di un sostegno reciproco e indesiderato.
A Berlusconi serve uno smacchiatore di alto livello per la coscienza. E un certo tipo di “bianco che più bianco non si può” si ottiene soltanto in Vaticano.
A Ratzinger serve un puntello per legittimare le ingerenze della Chiesa cattolica nella vita di tutti noi, per affermare senza affermarlo specificamente che la Santa sede ha a cuore le anime che votano, hanno un conto corrente e non rompono le scatole con malsane idee libertarie.
Il nodo è che a questo Papa non piace Berlusconi per ovvi motivi  di pubblica decenza, e che a Berlusconi non piace questo Papa per ovvi motivi di onnipotenza.
Quindi i due fanno finta di dialogare, di incontrarsi per caso all’aeroporto come se fossero commessi viaggiatori, di convenire, convergere, confrontarsi, mentre in realtà non tollerano nemmeno la convivenza sotto uno stesso cielo. Anche se con vista comune sull’alto dei cieli.

Natale e Betlemme 2

La foto è di Paolo Beccari
La foto è di Paolo Beccari

Qualche pensiero cattivo il caso Boffo-Feltri lo ispira.
Innanzitutto quella nota anonima in cui si addita il direttore di Avvenire come omosessuale e quindi, in qualche modo, colpevole dalla nascita: un surplus di peccato originale. I nostri servizi segreti sono gli unici al mondo a dissanguare il nemico con la lama del cattivo gusto. Il Mossad spara, la Cia mette esplosivi, noi produciamo dossier mefitici.
Poi la solidarietà dei preti e addirittura – de relato, come si fa nelle aule giudiziarie – del Papa. I casi sono due: o Boffo è un castigafemmine da Guinnes dei primati e la Chiesa si è spostata verso il priapismo Berlusconiano che deve vendicare il semplice sospetto di una mascolinità non effervescente; oppure Boffo è un gay che, come tutti gli esseri viventi, ha i suoi alti e i suoi bassi, compie i suoi errori e paga il conto. In questo caso la Chiesa compie un passo memorabile accogliendo un peccatore della peggior specie (gay, per il Vaticano, è poco meno di assassino) tra le braccia.
Infine Feltri. Il suo sogno è farsi egli stesso velina (nel senso di carta clandestina) e velina (nel senso di femmina danzante per l’imperatore d’Italia). Essere al tempo stesso portatore e oggetto di un’annunciazione: dal suo ventre il figlio di Dio nascerà ancora, avrà capelli nuovi di zecca, pastorelle scollate al seguito e il controllo completo di tutte le comete dell’universo.
Verrà alla luce a Betlemme 2, costruita per l’occasione.

P.S.
Qui
un’interessante top ten sul tema e le sue varianti.

Sono sante canzonette

Paolo BonolisErano rimaste solo le canzonette. Il Vaticano si era espresso su tutto: famiglia, politica, presente, economia, futuro, astrofisica, letteratura, cinema, beghe condominiali, carovita, giornali, storia, crimini, giovani, morte, sopravvivenza, malati che non vogliono vivere, viventi che non vogliono ammalarsi, guerra, martiri, sesso e altro enciclopedicamente vagheggiando.
Ora la pulsione (re)censoria dei porporati che si spinge oltre la soglia del tempio dell’italica leggerezza umana, cioè il teatro Ariston di Sanremo, ci conferma che alla presunzione degli uomini “in missione per conto di Dio” non c’è argine.
Se, sul foglio della Santa Sede (e sulle sue fotocopie), si arriva a discettare  a proposito della liceità dei messaggi del Festival della canzone italiana e dei suoi contenuti, il segnale è allarmante.
Vuol dire che serve un Bonolis anche dalle parti di Piazza San Pietro.

Eluana, il silenzio e l’ipocrisia

C’è una parola che, più delle altre, traduce in queste ore il senso di ipocrisia per la morte di Eluana Englaro. Quella parola è: silenzio.
L’ho letta troppe volte sui giornali, sul web, l’ho ascoltata in televisione e alla radio. Quando non si sa che dire su un tema difficile, quando ci si deve schierare per manifestare almeno la propria esistenza in vita, il più delle volte ci si rifugia nel silenzio.
Il caso di Eluana Englaro ci insegna che il silenzio blaterato come fosse chiacchiera da bar è il peggior nemico della ragione.
Non si può star zitti davanti al comportamento di un governo che ha imboccato la traversa di un populismo simil-cattolico con la Cadillac di una cristianità dittatoriale.
Non si può inghiottire il primo commento del Vaticano: “Che il Signore li perdoni”. Chi? I vescovi lontani dal pulsare dell’umanità? I politici dell’ultima ora che si fanno padri costituenti? Un premier e i suoi accoliti che si pongono in diretta concorrenza con Gesù e i suoi apostoli?
Il silenzio è più che fuori luogo, ora che Eluana Englaro è morta.
C’è di che urlare per ripristinare una realtà dei fatti che, se non ci fosse un dramma di mezzo, sarebbe da far sganasciare dalle risate per la ridicolaggine. “Eluana potrebbe avere dei figli”, “Ha le mestruazioni”, “Tossisce e sbadiglia”. Un cardinale che vive più di qualifica che di nome e cognome (è prefetto per la Congregazione della causa dei santi e membro del pontificio consiglio della pastorale degli operatori sanitari, in pratica un ossimoro vivente e, quel che è peggio, officiante), grida all’omicidio.
Banditi e imbroglioni!
Eluana è morta diciassette anni fa.
L’ha detto suo padre, l’unico a cui ho creduto, credo, e a cui crederò.
L’unico che, adesso, può invocare il silenzio.

Eluana, mio padre e le foglie

di Roberto Puglisi