Prevenire è meglio che perdere tempo

Quadro di Carlo FerreriC’è una cosa molto importante che voglio dirvi. Riguarda le donne che vivono a Palermo e provincia ed è una buona notizia. La Lega italiana per la lotta ai tumori lancia, a partire dal 29 settembre prossimo, una iniziativa contro l’HPV. In pratica si può fare un nuovo tipo di esame per prevenire il Papilloma Virus a costo zero. Proprio così. Questa nuova metodica è già applicata da alcune strutture ospedaliere siciliane, ma a pagamento. A Palermo circa 800 donne, grazie a un progetto finanziato dalla Lilt, potranno fare l’esame gratuitamente: tenete conto che parliamo di un test che normalmente costa almeno 60 euro. L’iniziativa verrà presentata a Palermo il 18 settembre alle 15.30 a Villa Magnisi, in via Rosario da Partanna 22, però io che ho le mani in pasta (mio padre è oncologo, mia madre e mia zia sono da sempre in prima fila nella lotta al cancro, tenete conto che sono “guerriglieri” del volontariato) ve lo dico con un certo anticipo: se volete trovare posto, prenotatevi ora.
E dato che non pagate neanche un euro, cogliete l’occasione per diventare soci Lilt: con tutti i soldi che buttate, cosa volete che siano 10 euro per sostenere una seria associazione di volontariato?
Conto su di voi.

La lezione della ragazza con la chemio nella borsetta

eleonora letizia futura marsalaUn estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

A leggere le sue parole sembra che la morte più che spaventarla la annoiasse. Per questo Eleonora Marsala, anzi Eleonora Letizia Futura Marsala come si firmava sul suo blog, da quando il cancro al colon l’aveva colpita tre anni fa, aveva cominciato una battaglia parallela a quella medica, una battaglia per il diritto all’allegria.
Si faceva chiamare “la ragazza con la chemio nella borsetta” ed era diventata molto popolare nel web, specialmente dopo che la tv e i giornali si erano occupati di lei. (…)
Sembrava imbattibile Eleonora, forte di quel corpo indebolito, armata delle cicatrici che aveva messo in mostra su una pagina Facebook intitolata “le tacche della vittoria”. Sembrava potercela fare e invece non ce l’ha fatta, a conferma che il destino non ama la meritocrazia.
Però, andandosene, questa combattiva trentatreenne palermitana ci ha lasciato una lezione sull’importanza di chiamare le cose col loro nome. Troppe volte noi giornalisti ci siamo rifugiati nell’espressione “male incurabile” per narrare del cancro, come se ci fosse imbarazzo nel pronunciare la parola giusta. Lei invece è sempre andata dritta al cuore del problema. Si mostrava com’era, coi capelli rasati a zero, con la parrucca, con i tagli di sette operazioni colorati sul suo corpo da un’amica body painter. Continua a leggere La lezione della ragazza con la chemio nella borsetta

Storia di Mauro, che ha battuto il cancro

mauro maniscalco
Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

Questa non è una favola, ma come una favola ha una sua morale, semplice, netta: per conoscere davvero il male, bisogna averlo combattuto.
Il protagonista della storia, Mauro Maniscalco, 41 anni istruttore subacqueo di Palermo, il fisico da combattente ce l’ha, nonostante un perfido linfoma linfoblastico ad alto grado di malignità abbia tentato di piegarlo e nonostante tre estenuanti cicli di chemioterapia gli abbiano divorato per mesi e mesi tutte le energie.
Oggi Mauro è appena rientrato da Ustica, dove per sei mesi ha solcato il suo mare con Nanù, la barca del diving Alta Marea di cui è proprietario. Ma due anni e mezzo fa era in un letto dell’ospedale Cervello a fissare la bocca del medico che pronunciava la parola che avrebbe cambiato la sua esistenza: leucemia.
Sino a quel momento la vita di Mauro, di sua moglie e dei due bambini, era trascorsa coi ritmi di chi vive inseguendo una sola stagione, l’estate, quando si lavora mattina e sera perché d’inverno il mare ti chiede di lasciarlo in pace.
E invece arriva l’intruso, un male liquido e diffuso che avvelena il corpo, si intrufola in tutti i gangli affettivi e sconquassa i sistemi di sopravvivenza dell’universo di quattro persone.
Leucemia, cioè cancro, cioè tumore. (…)
Mauro Maniscalco adotta subito la linea dell’attacco diretto all’intruso. Lo chiama col suo nome, lo scrive persino sul suo profilo Twitter: “Diver, biker, swimmer, runner… fighting cancer”.
Ha fretta. Spinge per cominciare al più presto il percorso di cura. Quando inizia la chemioterapia non lo sconvolgono i capelli che cadono a ciuffi otturando lo scarico della doccia, il fisico che si gonfia, le ferite che si aprono in bocca, la spossatezza che gli rende pesanti i passi e persino il respirare, i lineamenti che gli danno il volto di uno sconosciuto. No, a lui interessa il tempo perché il cancro gli sta rubando ore, giorni, mesi preziosi per fare tutto quello che prima gli sembrava normale e che adesso è diventato drammaticamente importante.
La stagione estiva è compromessa. Come un contadino al quale è stato bruciato il raccolto, Mauro guarda da lontano quel mare che gli sembra inutilmente bello. Scruta e scalpita, ostenta sicurezza e probabilmente piange di nascosto (nessuno lo sa, nessuno lo ha visto).
“Cerchiamo sempre l’infinito, ma troviamo soltanto le cose”: maledetto Novalis, qui l’infinito è davanti e dentro di me – pensa – sono le cose, le mie cose che non trovo più.
Dai medici è sempre puntuale, coi parenti – quando la chemio glielo consente – è sempre sorridente. Quando qualcuno si mostra troppo preoccupato per lui, sfodera la classica battuta: “E che sono malato?”.
Un giorno un amico gli annuncia di aver girato una somma sul suo conto in banca: gliel’ha regalata un cliente del diving che ha chiesto di rimanere anonimo. Perché il cancro attacca anche le tasche, e questo è uno dei motivi per cui Mauro deve fare in fretta. E’ il paziente più impaziente che ci sia, ammettono i medici.
L’orribile intruso intanto non ha nessuna intenzione di sloggiare e i medici dopo tre feroci cicli di chemioterapia decidono di intervenire radicalmente: trapianto del midollo osseo. Il donatore c’è, suo fratello Giuseppe. Si procede.
Poco prima di iniziare la tremenda escalation di bombardamenti che azzererà il vecchio sistema immunitario per fare largo al nuovo, Mauro si fa scattare una foto che finisce sul web e diventa un inno virale alla vita: sorridente, fa il gesto dell’ombrello, al tumore, alla malasorte, a chi vorrebbe tenerlo lontano dal suo mare.
Il trapianto riesce.
Oggi, due anni e mezzo dopo, Mauro ha ripreso la forma perduta e si concede il lusso di preparare una mezza maratona.

Ma quale male incurabile?

In questi giorni, leggendo gli articoli sulla morte di Pietro Mennea, ho trovato troppo spesso la frase “male incurabile”. Accade sempre così, da anni: per un inutile ritegno, si scrive una cosa falsa al posto di una cosa oggettiva. Perché non è vero che il cancro è un male incurabile, lo testimoniano nel mondo milioni di ex ammalati, schiere di medici, eserciti di volontari, squadre di ricercatori (ne abbiamo già parlato).
Per farla breve, scrivere “male incurabile” invece di scrivere cancro o tumore è sbagliato dal punto di vista logico ed è oltraggioso per chi da quel male è guarito. Ed è anche molto stupido. Ve lo dice il figlio di un oncologo.

Curabili

Alcuni giornalisti, sbagliando, lo chiamano “male incurabile”. Perché hanno paura di scrivere o pronunciare la parola cancro. Altri, i migliori, non solo la malattia la chiamano col suo nome ma raccontano anche come si fa a combatterla e implicitamente ci dimostrano perché quella definizione generica è sbagliata in toto: perché se fosse davvero incurabile non ci sarebbero testimonianze come quella, bellissima, di Marina Turco, che parte da un tragico fatto di cronaca (la morte di una donna per una dose sbagliata di chemioterapici) e approda in quel luogo dell’anima in cui le esperienze di una sola persona diventano occasione di riflessione collettiva.