La luce nel tunnel

Ero tentato di dirvi di questa distanza umana che cresce e ferisce, di questo paradosso di allontanamenti forzati in epoca di iperconnessioni a oltranza. Avrei voluto dipanare le mie perplessità sulle analisi sociologiche che ci vedono puniti più di altri popoli dal Coronavirus perché più affettuosi e socievoli, in un paradosso di castigo senza delitto che sembra uscito dalla penna di uno scrittore lisergico. Mi sarei divertito a raccontare le mille fortune in cattività di un uomo che in cattività ci sa vivere per indole poiché cucina, pulisce e si dà da fare con discreta disinvoltura sin da quando non era in cattività.
E invece sono qui a scrivervi di suggerimenti per un sereno intrattenimento obbligato (quasi un ossimoro).

Due libri tra i tanti. L’immancabile Stephen King (ho anticipato qualcosa sui social) con L’istituto, una storia di bambini, di telepatia (chi ricorda le famose luccicanze di Shining?) e di ammaliante pathos: non è il suo miglior romanzo, ma è un bel parco giochi in cui immergersi. L’ho letto in un paio di giorni di full immersion e ne è valsa la pena.
L’altro è un libro che ho appena iniziato e che ha un buon aroma. È Nero come la notte di Tullio Avoledo, autore che ho amato per il suo Elenco telefonico di Atlantide. Il romanzo ha un inizio fulminante e io sono un lettore/spettatore molto sensibile agli inizi. Sarà per vocazione giornalistica (l’attacco di un pezzo è un momento fondamentale nella fenomenologia della cattura del lettore), sarà per l’indole impaziente che fa di me un bulimico dell’emozione. Insomma, è un consiglio in fiducia…

E siamo alle serie tv. A parte il classico Stranger Things, una delle cose migliori su piccolo schermo degli ultimi decenni, segnalo The man in the high castle che è una geniale divagazione sul tema “e se la Seconda guerra mondiale l’avesse vinta chi l’ha persa?”.  Inoltre per dovere di passione per il già citato Stephen King, credo che valga la pena di cedere alla tentazione di abbandonarsi alle dieci puntate di The Outsider, che mi hanno riconciliato col sovrannaturale. Ma soprattutto, dato il rincorrersi di rinvii e di decreti che ci rinchiudono a casa, questo è il momento di concedersi una serie di grandissima scrittura come Hunters, un thriller in stile tarantiniano con ritmo e sorpresona finale come non se ne vedevano da anni. Hunters è una rilettura con sublime licenza creativa della caccia ai nazisti dopo la Seconda Guerra mondiale. Un argomento che torna nella mia playlist e che, se volete, potete approfondire nel migliore documentario sul tema, Grandi eventi della Seconda guerra mondiale a colori.  
Comunque sia, godete di conoscenza e di fantasia. L’unico virus che non ci deve abbattere è quello che mette a tappeto la nostra curiosità.                        

Fumare controvento e altri riti inutili

“Dio ama i poveri…”
“È per questo che ne ha fatti tanti”.

La citazione è tratta da “L’elenco telefonico di Atlantide” di Tullio Avoledo, un gran bel libro che lessi nel momento in cui mi parve un gran bel libro.
E il tema è proprio questo.
Noi non siamo solo quello che leggiamo (semicit.), ma siamo anche quando lo leggiamo. Nello specifico io non sono un bulimico della lettura, anzi. Uso la lettura, purtroppo, in modo opposto e contrario rispetto ad altro, al cibo ad esempio.
Se sono felice mangio meno e leggo di più. E viceversa. Questo per dire che per quanto riguarda i libri esiste uno scacchiere temporale relativo per ciascuno di noi. Che non segue cronologie legate all’età anagrafica, ma piuttosto la luce dei nostri occhi, il taglio delle ombre di un’epoca.
Ci sono libri che potevate leggere solo in quel momento preciso, quando avevate un sabato sera inutilmente libero, tutto per voi, quando eravate padroni del mondo e invece vi sentivate poveri affittuari di un angolo di weekend. E ci sono libri che avete letto quando credevate di essere ispirati, quando per sfogliare un paio di pagine cercavate uno spazio nell’agenda, quando vi aspettavate di distillare da quelle parole un insegnamento determinante.
Credo poco all’ispirazione della lettura, per me quella vale solo a malapena per la scrittura. Credo piuttosto in un magico accordo che è anche un minimo elisir di lunga vita: leggere e/o scrivere è un punto che ha precise coordinate di luogo e di tempo.
Il libro che mi ha cambiato la vita lo lessi in un’appassionante missione sciistica, in cui il mio primo pensiero era portare le ossa sane a casa ogni sera. Ero concentrato in una personale impresa sportiva eppure quel libro, che pure era un saggio quindi mica un romanzone ruffiano, mi deconcentrava a tal punto da rimettermi in armonia col mondo. Era il tassello nel legno tenero di una maturità abbozzata, insospettabilmente solido.
Altri libri – non scrivo i titoli perché è il concetto generale che voglio rappresentare – mi hanno arricchito, mi sono rimasti dentro, mi hanno divertito o sconvolto perché le loro pagine erano scalini sui quali inerpicarsi in quel momento.
Ricordo a memoria incipit di romanzi non memorabili, ho dimenticato le trame di pietre miliari della letteratura. Ci sono narrazioni nelle quali mi sono immerso solo perché chi me le leggeva – sono stato un feticista della lettura ad alta voce – era una determinata persona e non un’altra.
Leggere e/o scrivere è un vizio. E come ogni vizio risente dei riti. C’è chi adora fumare controvento, io quando fumavo non accendevo mai una sigaretta se l’aria non era immobile. Un vizio che ha le sue controindicazioni: se non hai il  quando giusto magari ti ritrovi intossicato di parole inutili che possono essere più dannose del catrame nei polmoni.
Insomma di ogni libro che ho letto magari non ricordo il titolo, la trama, però ricordo quando l’ho letto. È un puzzle di sensazioni che si ricompone a ogni passo di memoria. Un atto che dà comunque ristoro perché quel che le anime semplici chiamano soddisfazione, gli altri chiamano consolazione.