Il vero difetto della democrazia

Il Trota si dice sereno, e ci mancherebbe altro. Ci mancherebbe un’inquietudine tardiva in un personaggio che di inquietudine ne ha suscitata molta tra gli italiani senzienti.
E’ questo il punto cruciale, l’inquietudine. Tardiva.
Per decenni solo in pochi si sono lasciati turbare dagli aborti della politica, e Renzo Bossi ne è emblematico esempio. Si è considerato normale, peggio fisiologico, che il figlio incolto del leader grezzo di un simil-partito potesse ambire a gestire la cosa pubblica. In nome di chi e cosa? Ma del suo essere figlio, naturalmente.
Se solo in Italia qualche elettore del centrodestra fosse stato più onesto con se stesso, oggi avremmo una nazione con meno storditi al governo. Non mi fate fare altri nomi perché una querela l’ho appena scampata e devo mettere i soldi da parte per pagare la Tarsu fresca fresca di notifica.
Però lasciatemi dire, nel pieno dell’esercizio di critica, che tra quelli che in questo momento stanno provando umanissimo disprezzo nei confronti del Trota e della sua famiglia ci sono molti ipocriti.
Un sistema con un briciolo di garanzie non avrebbe mai consentito a un ignorante di arrivare dov’è arrivato Bossi jr, con la benedizione di un elettorato degli anni Duemila (non la ciurma democristiana degli anni Sessanta, per intenderci). Chi ha votato il Trota è, secondo l’ipotesi più ottimistica, come il Trota. E questo dovrebbe diventare il manifesto della nuova politica. Noi siamo, in fondo, anche chi votiamo.
Il vero difetto della democrazia è che non ha nulla di definitivo contro i cretini.

Come non essere d’accordo?

“Tecnicamente il Trota è il corrispettivo leghista di Nicole Minetti. Tutti e due sono stati eletti consiglieri regionali della Lombardia (10 mila euro al mese) per il capriccio dei rispettivi papi. Ma mentre la Minetti appartiene al mondo adulto degli scandali, dei processi e delle autore genti, il mondo del Trota, in arte Renzo Bossi, è ancora un parco giochi dove lui è il giocattolo più malinconico, quello con la carica a molla che presto o tardi finirà per rompersi”.

Pino Corrias su Vanity Fair.