La magistrata Cuffaro

C’è una ragazza che ha studiato, che ha fatto un mestiere difficile: superare esami, concorsi, vincere dottorati senza santi in Paradiso. E anzi nel suo personale Paradiso era più facile che le tagliasse la strada qualche demonio. Ha nuotato controcorrente e lo ha fatto come è giusto in silenzio, risparmiando il fiato. Neanche quando l’hanno fischiata a mezzo social lei si è distratta. Aveva qualcosa di infinitamente più importante da fare: studiare, macinare prove, risparmiare il fiato. La sua è stata una corsa a ostacoli poiché la vita è semplice per chi si dà per vinto e complicatissima per chi si dà sempre nuovi obiettivi.

Questa ragazza oggi ha un mestiere per il quale ha lottato più dei suoi coetanei. Il suo handicap era il più complicato da superare dato che aveva a che fare con gli affetti più intimi e col conflitto che questi, ogni tanto, possono generare con la ragione, col sentire comune, con gli  umanissimi momenti di sconforto. Solo chi ha provato le asperità della vita, quelle vere, sa che ci sono ultimi anche tra i primi, che ci può essere povertà anche nella ricchezza e solitudine nella folla. Siamo tutti molto bravi a distribuire patenti, un po’ meno a meritarle.
Oggi questa ragazza è magistrato.
Che sia la figlia di Totò Cuffaro, di un uomo che ha sbagliato gravemente, non la rende una professionista migliore. Ma rende migliore un contesto in cui caparbietà, impegno e spirito di sacrificio ogni tanto contano.

Le elezioni e il fattore C

L’altro giorno ho pubblicato sui social questo post, a proposito dell’appoggio di personaggi con precedenti penali pesanti a candidati a sindaco nella mia città, Palermo.

Se incontro Totò Cuffaro per strada lo saluto, così come lui saluta me. Se capita ci scambio pure quattro chiacchiere perché è persona con la quale può essere piacevole conversare. Anche di politica ovviamente. In passato ho scritto cose molto dure nei suoi confronti ma mi è capitato anche di difenderlo quando mi è sembrato che fosse il caso: siamo uomini e mai la nostra dignità deve essere calpestata, mai. Però se oggi lui mi offre il suo appoggio per una mia candidatura politica lo ringrazio ma mi guardo bene dall’accettarlo: è molto semplice.

Nei commenti contrari, tutti peraltro civili a conferma che ognuno ha le timeline che si merita, prevale la seguente tesi: siccome Cuffaro e Dell’Utri (i due personaggi in questione) hanno espiato la loro pena, adesso sono liberi di esprimere il loro pensiero, democraticamente. Il che è giusto e non collide con la mia tesi.
Il problema è facilissimo da intuire, complicatissimo da esporre senza cadere nelle trappole del qualunquismo o del cosiddetto fascismo di sinistra, roba dalla quale cerco di tenermi lontano da sempre.
È provato che questi signori hanno interagito in modo non occasionale con la mafia. Ed è intuibile che una fetta del loro elettorato sia riconducibile a quegli ambienti. Del resto lo stesso Cuffaro ha dichiarato a Repubblica: “Ai candidati chiedo che facciano esattamente il contrario di quello che ho fatto in passato. Non clientele, non prebende, non rapporti che possono rivelarsi pericolosi”. Un elettorato che quindi era in parte di clientele, di prebende, di rapporti pericolosi.
È questo il punto. Io posso credere nel ravvedimento di Cuffaro (di Dell’Utri niente so in tal senso) e posso apprezzare i suoi sforzi di riabilitazione, di concentrarsi su ciò che prima guardava con distrazione (a voler essere benevoli). Ma non penso che in un candidato sindaco che dovrebbe rappresentare il nuovo (senza ridere, eh!) ci dovrebbe essere spazio per mere questioni di numeri: prendersi gli elettori potenziali di Cuffaro, chiunque essi siano.
Perché gli “elettori di Cuffaro chiunque essi siano” non possono avere ancora la possibilità di indirizzare la politica di questa città già massacrata e sconfitta. C’è una base elettorale di Cuffaro seria e onesta che capirebbe da sola a chi dare il proprio voto, senza il placet di nessuno e senza suggerimenti dell’ultima ora. La vera politica non ha bisogno di ammiccamenti e ruffianerie: è immediata come un pensiero dritto, convincente come un semplice ragionamento di buon senso. Dici qualcosa nel presente che mi piace nel futuro, che fa bene a tutti senza oltraggiare il passato: e io ti voto.
La memoria non si evoca e non si sbandiera a convenienza, si usa e basta.

Saluti e (niente) baci

L’articolo pubblicato su la Repubblica Palermo.

La distanza imposta per decreto è la nemesi di un mondo che da millenni non ha avuto altro obiettivo che togliere metri e chilometri, ridurre differenze geografiche, avvicinare nel tempo e nello spazio. Ma soprattutto certifica l’abbattimento di quei pilastri sociali che al Sud e specificatamente in Sicilia sorreggono la vita quotidiana. Pensiamo allo struscio, che ha generato una figlia imperfetta di nome movida, e che da sempre è la migliore forma di comunicazione non verbale dalle nostre parti: oggi si passeggia a distanza, uno sfioramento è un atto criminale e fischiare attraverso una mascherina è complicato. E il rito del saluto? Nell’era dei rapporti senza corpo, il bacio in tutte le sue declinazioni (da quello di amicizia a quello di rispetto, da quello di seduzione a quello di rito) viene abolito piallando le differenze culturali e sociali: questa Palermo di gente che si saluta con un gesto del capo mezzo clandestino pare una Pechino senza emergenza.

Ci abitueremo, perché noi terroni siamo il giunco che si cala ancora prima della piena. Perché sappiamo identificarci col nostro sintomo, senza vergogna, prima ancora che Lacan ci costruisse sopra una famosa teoria. Siamo l’unica popolazione che usa un alfabeto Morse mentre chiacchiera: ci tocchiamo coi gomiti anche tra estranei per rafforzare concetti, per sottolineare, mettere accenti, in una sorta di complicità tattile. Ora ci resta la semplice parola, filtrata con o senza FFP2, e non si può manco più contare sulla mimica facciale, che è scorciatoia ed enciclopedia di emozioni al tempo stesso. Nei nostri scambi c’è solo il messaggio crudo, senza l’immenso corredo di non detto che fa romanzo (e anche un po’ cronaca). Il futuro è un Totò Cuffaro senza baci.        

Il condannato Cuffaro

Non ho mai avuto stima per il politico Salvatore Cuffaro, l’ho avuta per il Cuffaro imputato che con dignità ha ribadito fino all’ultimo, a sentenza emessa, la sua fiducia nella magistratura. A conferma che, anche nell’errore, si può mantenere viva la fiammella della civiltà.

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Per rinfrancar lo spirito

Cuffaro maledice la nuova giunta Lombardo. E afferma: “Mi sorprende che un professionista e politico avveduto e serio come Gaetano Armao possa aver accettato di entrare in questa Giunta. L’unica nota positiva, invece, e’ la presenza di Caterina Chinnici, persona per bene che gode della mia stima personale”.
Insomma – è il suo ragionamento – in una giunta “poco seria” non possono entrare persone serie. Ma com’è che si meraviglia di Armao (che mostra di stimare) e non della Chinnici (che dice di stimare)?
Un bel rebus da spiaggia e ombrellone.

L’olio della Regione

483beb31d6250_normalSe la politica italiana è un teatrino, quella siciliana è un’opera dei pupi. In campo nazionale, infatti, ci sono attori che recitano a soggetto, mentre in quello regionale ci sono solo marionette. A tenere i fili non sono neanche le segreterie di partito, che sarebbe già una situazione non bella seppur plausibile, ma singoli esponenti in guerra tra loro, parenti-serpenti che convivono forzatamente nella stessa casa. Una “Casa delle libertà”, dove l’unica libertà praticata è quella della semina nel proprio orticello possibilmente a scapito delle colture altrui.
Il governatore Raffaele Lombardo ha punito gli assessori infedeli e li ha mandati a casa, lasciando intendere che per il nuovo governo si potrebbe – ripeto, si potrebbe – ipotizzare un appoggio esterno del Pd, che ha dato “il suo contributo a tutte le leggi più importanti approvate dall’Assemblea”.
Per farla breve, Lombardo è pronto a tutto pur di ripartire con una giunta seminuova (almeno cinque assessori dovrebbero essere confermati). I veti incrociati dei burattinai, secondo i piani del governatore, dovrebbero essere superati con un abbondante ricorso ai cosiddetti “tecnici”, cioè personaggi e/o esperti senza un ingombrante pedigree politico. E’ come se il titolare di un ristorante licenziasse il cuoco e poi si prendesse la massaia del piano di sopra: la donna magari cucinerà benissimo, ma sempre con quell’olio dovrà friggere.
Lo confesso: la politica regionale ha su di me un effetto deprimente, in quanto riesce a piacermi ancora meno di quella nazionale. Non invidio quei giornalisti che, per sbarcare il lunario, sono costretti ogni giorno a decrittare dichiarazioni incomprensibili, a ravanare nella Gazzetta Ufficiale alla ricerca di “notizie”, a predigerire, per renderli più commestibili ai lettori, provvedimenti ostrogoti.
Tutto sarebbe più semplice per i cittadini-elettori se il gioco fosse il seguente. Io, presidente faccio un governo che intende fare queste cose: se ci riesco dimostro che non sono un chiacchierone, se non ci riesco vado a casa e lascio spazio ad altri.
Il segno della mia inutilità è che quasi quasi rimpiango Totò Cuffaro.

P.S.
Ovviamente il sito della Regione Siciliana viaggia in un’altra epoca e ha ancora la vecchia squadra di governo. Magari Antinoro e compagni esclusi si inventano una bella vertenza.

Cuffaro for preside

La vignetta è di Gianni Allegra (da Repubblica-Palermo)
La vignetta è di Gianni Allegra (da la Repubblica-Palermo)

Uno studente siciliano su tre ritiene che il governatore della Sicilia sia ancora Totò Cuffaro.
Slogan per la prossima manifestazione anti-Gelmini: mettete fiori nei vostri cannoli.