Noi, quelli del Supersantos

Il mitico Supersantos. Negli anni Settanta, per giocare a calcio bisognava avere il Supersantos, Era arancione con le strisce nere e richiamava il pallone dei Mondiali del 1962 vinti dal Brasile, da qui il riferimento al nome della squadra di club dove aveva giocato Pelè. Prodotto in Italia, fu venduto in tutto il mondo. La sua caratteristica principale era di essere molto leggero. Un pallone da calcio, oggi come allora, pesava dai 410 ai 459 grammi. Il Supersantos ne pesava 280. Andava a vento, aveva parabole stranissime, era difficile da controllare. Un pallone da spiaggia, insomma. E costava pochissimo. Dal 1979 fu soppiantato dal Tango, di colore bianco e fatto con una plastica più dura, perciò pesante come un pallone vero: la perfetta riproduzione, in versione economica, del pallone di cuoio usato ai mondiali del 1978 e nel 1982. Con il Tango, sul prato, giocavi qualcosa di simile al calcio.
Un Supersantos costava l’equivalente di otto euro, un Tango sui venticinque, un pallone vero, di cuoio, stava sugli ottanta.

Così Fabio Caressa riassume ne “Gli angeli non vanno mai in fuorigioco” l’epopea del Supersantos. Che però io – a nome di una schiera di agonisti da spiaggia – non considererei chiusa.