Angeli, demoni e manganelli

Nel caso delle manganellate agli studenti di Pisa e Firenze (ma anche negli altri, perché i manganelli rompono ossa in ogni tempo) oltre agli errori innegabili di chi ha picchiato ragazzi inermi, di chi ha stabilito le regole di ingaggio, di chi ha comandato la carica, di chi la difende e di chi la ispira, ci sono alcuni passaggi chiave per capire che se persino Mattarella si è incazzato la situazione è davvero grave.
Il problema infatti non è il singolo evento, che non è singolo, ma l’ambito. Che poi influenza i modi.

L’ermeneutica del diritto a manifestare ve la liquido in poche righe, giacché il tema è talmente inscalfibile e ampiamente spalmato sulle cronache da stimarlo come assodato (almeno tra noi). È giusto tutelare il diritto di dissenso, ma è anche giusto attenersi alle regole che garantiscono questo diritto: ergo se manifesto per la foca mancina non devo rompere le vetrine dei fochisti destrorsi, non devo uscire dal tracciato concordato con chi tutela l’ordine pubblico, e magari non devo inventare che la foca mancina è vegetariana quando invece quattro pescioni se li mangia.

Il mondo in cui si muovono i giovani oggi è molto diverso da quello in cui ci muovevamo noi, quando comunque le violenze dei poliziotti esistevano già da tempo (i cortei operai degli anni Cinquanta e Sessanta non erano passeggiate turistiche). Oggi i ragazzi vagano in una rarefazione sociale polarizzata in modo grottesco. Pensate alla vecchia distinzione tra destra e sinistra e guardate come appare oggi desueta.
I ragazzi di questi cortei non sono in bilico tra fascismo e comunismo, ma tra guerra e pace, tra il divanismo e l’attivismo, tra l’informazione e le fake news, tra professori illuminati e professori cialtroni, tra chi li gasa di videoclip e chi li rincoglionisce di stories, tra esserci e selfarsi, tra ragione e microchip, tra verità e passaparola.
Di fronte hanno uno Stato che è sempre meno sensibile alle oscillazioni del sentire comune, sempre più blindato nella sua intransigenza gretta e retrograda.
È fin troppo scontato che quando queste due entità vengono a contatto, detonano.
Anche perché dall’altro lato, in quello che un tempo era il palazzo del potere e che oggi è il potere del palazzo, vige l’egemonia della cazzata al servizio della prepotenza e dell’incultura.
Dire, come è stato detto, che si sta sempre e comunque dalla parte delle forze dell’ordine perché rischiano la vita per pochi euro al mese equivale a difendere chiunque guadagni poco e rischi molto a prescindere dalle minchiate che combina: insomma un operaio che sbaglia con la ruspa e abbatte una palazzina pretende che si stia con lui sempre e comunque. Per non dire dell’incommentabile Salvini che si tira fuori dal cilindro frasi decontestualizzate come questa.

Dopo le inaudite violenze del G8 di Genova si cambiarono le regole per evitare al massimo il contatto tra manifestanti e forze dell’ordine proprio per arginare gli abusi e per limitare la violenza di impeto. Oggi la sensazione è che l’impeto sia instillato da chi crede che la violenza sia l’unico modo di guidare una Nazione. È un concetto che ha avuto una sua evoluzione nel ventennio Berlusconiano dove però lì il pifferaio magico faceva ampio uso di fascinazione: insomma c’era della delicatezza nella brutalità dei temi e delle azioni.
Oggi no.

Diciamolo con chiarezza. Nessuna persona di buona creanza può tollerare che si inneggi ad Hamas, una banda di terroristi crudeli, o che si bruci il manichino che raffigura la premier. Siamo al famoso vegetarianesimo della foca mancina di cui sopra: bisogna aver cura di manifestare per una verità, non per una menzogna, anche se si è minorenni. Ed è bene che ovunque si spieghi, senza risparmiarsi, che Hamas è una cosa, il regime di Netanyahu è un’altra, la Palestina un’altra, Israele un’altra ancora.
Leggo appelli di insegnanti in difesa della libertà e della tolleranza. Il problema è che una buona parte rischiano di essere catene di Sant’Antonio al collo incipriato dei social.
La realtà è cruda e inequivoca.
Serve cultura. Serve informazione. Servono libri e dipinti. Servono cantori e scienziati, filosofi e storici. E servono menti da nutrire.

Il mondo migliore lo ha costruito l’arte ed è quello senza polarizzazioni, ma con sfumature, chiaroscuri, infinite scale di grigi. È dall’arte che abbiamo imparato la saggezza di un paradosso cruciale contro tutti gli squadrismi, i totalitarismi, i fascismi: esistono angeli all’inferno e diavoli in paradiso.

La vera educazione? Quella per il sentimento

umberto galimberti

In una bella intervista di Antonella Filippi, pubblicata oggi sul Giornale di Sicilia, il filosofo Umberto Galimberti traccia un percorso chiaro e sintetico del ruolo che i professori dovrebbero avere con i “nuovi giovani”, nativi digitali dalle idee confuse.

Esorterei i professori a usare meno il computer. A che serve? Gli studenti, nativi digitali, ne sanno più di chi dovrebbe insegnare loro l’informatica. Ai ragazzi internet fornisce, dopo anni di guerra al nozionismo, un’infinità di informazioni slegate tra loro, ma non regala senso critico, connessione dei dati e, quindi, conoscenza.
I maestri hanno il compito di sviluppare il senso critico e mettere in connessione i dati. Questi ragazzi bisogna educarli al sentimento per evitare l’analfabetismo emotivo: la base emotiva è fondamentale per distinguere tra bene e male, tra cosa è grave e cosa non lo è. E bisogna farli parlare in classe. Il linguaggio si è impoverito. Si stima che un ginnasiale, nel 1976, conoscesse 1600 parole, oggi non più di 500. Numeri che si legano alla diminuzione del pensiero, perché non si può pensare al di là delle parole che conosciamo. E la scuola è il luogo dove riattivare il pensiero.

E spiega una differenza di non poco conto tra intelligenza convergente e intelligenza divergente.

Una intelligenza convergente, che comporta il cercare la soluzione di un problema a partire da come il problema è stato impostato; invece l’intelligenza importante, quella cha fa andare avanti la storia, è divergente, e consiste nel risolvere il problema cambiando la sua stessa impostazione, capovolgendolo. Come, per esempio, ha fatto Copernico. In informatica devi trovare la soluzione secondo il programma informatico, altre possibilità non sono previste. Un metodo che svilisce l’intelligenza, trasformandola in esecutiva e non sviluppandone la parte creativa.

Quel calcio in faccia che è un pugno nello stomaco

Foto: Grazia Bucca per Studiocamera

Mentre si discute di traiettorie di lacrimogeni, di rimbalzi fatali, di strategia della tensione, oggi a Palermo la cronaca ci ha ricordato che la violenza ha sempre due attori: quello che la fa e quello che la subisce. E che una cosa è spaccare il capello delle responsabilità e un’altra è spaccare teste. E che il calcio in faccia di oggi non può essere la vendetta per la manganellata in testa di ieri, ma è solo orrenda, abominevole violenza.

Giovani idioti

A Palermo alcuni studenti hanno bruciato il tricolore perché “simbolo di uno Stato che sta riducendo in miseria la popolazione” e bla bla bla. E’ evidente il marasma intellettivo di questi poveri ragazzi che confondono uno Stato con un governo e che non hanno idea di cosa sia una patria. Quando ci si diletta coi simboli bisogna stare molto attenti. In ogni simbolo c’è un significato universale, prorompente, e un link che riconduce a noi, alla nostra memoria. Ignorarli equivale ad azzerarli. Passi per la memoria individuale (ognuno è libero di ricordare e celebrare quello che vuole), ma il significato universale è anche mio quindi, cari ragazzi, giù le mani dal tricolore. Andate a studiare e cercate di crescere prima ancora di invecchiare.

Scontri di potere

Sugli scontri di Roma, come sui voti del Parlamento, occorrerà fare la tara. Ancora una volta la cronaca ci propone un’occasione per diventare storia, anche se i postumi del G8 di Genova non sono ancora stati smaltiti.
Quanto vale un deputato che cambia idea? Quanto pesa una manganellata in più in un corteo di studenti? Cosa fanno, chi sono e chi foraggia i black block quando non devastano vetrine?
Credo che anche per i comportamenti più irresponsabili ci sia una responsabilità istituzionale. Prima c’erano i servizi segreti deviati, oggi c’è una deviazione di vertice che si cimenta in opere di distrazione di massa.
Dicono che Berlusconi sia ossessionato dal legittimo impedimento, da quella norma cioè che lo salva da ogni processo fin quando resta in carica. E ciò spiegherebbe il suo patologico  attaccamento alla poltrona. Se resterà lì sarà salvo, altrimenti dovranno essere celebrati i processi.
In quest’ottica tutto assume un significato diverso. Si capisce quanto vale un deputato che ha l’idea “giusta”,  quanto pesa la manganellata che innesca la furia sbagliata, si intuisce come vengono riesumati quei pendagli da forca che si mescolano con gli studenti e che danno cibo alle mandibole affamate di Emilio Fede.
Se solo ci fosse un’alternativa potremmo dire di essere in vista della fine.

Sui giovani e la legalità

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Ho trascorso due giorni con alcuni studenti di Palermo per discutere di legalità, lotta alla mafia ed ecologia. Mi aspettavo di incontrare ragazzini moderatamente svogliati  – in fondo stavano lì a parlare con me anzichè sorbirsi una lezione di geografia o matematica – invece mi sono trovato davanti a una platea attenta.
Molti di loro non erano neanche nati nel 1992, l’anno delle stragi di Cosa Nostra, la cui liturgia commemorativa si ripete proprio in questi giorni. Pensavo che i ragazzi avessero di queste tragedie una concezione storica, non emozionale: del resto un evento, per quanto epocale, perde colore se non passa sulla pelle.
I loro volti e le loro idee mi hanno fatto capire che sbagliavo.
Gli studenti che ho incontrato usavano il senso critico come un’arma, nel migliore dei modi quindi. Alcuni puntavano a mettere in dubbio le mie tesi, altri le usavano per affilare le loro. Quasi un dialogo tra adulti. E degli adulti ho ravvisato, in quelle testoline brillanti, un certo pessimismo.
“Fino all’anno scorso volevo fare il magistrato – mi ha detto una quindicenne – Ora vedo come vanno le cose e mi chiedo: che senso ha?”.
Ho risposto che bisogna sempre guardare avanti e che lo scoramento è vietato ai minori di 40 anni. Lei mi ha guardato con compassione, come a un padre che racconta ancora la favola della cicogna-taxi per i neonati.
Il senso di sfiducia in un giovanissimo è, nella mia scala di valori, comparabile a un’emergenza nazionale.

Cuffaro for preside

La vignetta è di Gianni Allegra (da Repubblica-Palermo)
La vignetta è di Gianni Allegra (da la Repubblica-Palermo)

Uno studente siciliano su tre ritiene che il governatore della Sicilia sia ancora Totò Cuffaro.
Slogan per la prossima manifestazione anti-Gelmini: mettete fiori nei vostri cannoli.