Il maratoneta solidale

L’articolo pubblicato oggi su Repubblica Palermo.

L’uomo che fa correre le maratone ai disabili è un alieno. E non perché ci vogliono forza e resistenza pazzesche per spingere qualcuno in carrozzella per decine di chilometri, ma perché solo un extraterrestre della solidarietà poteva inventarsi un altruismo così concreto e divertente nel Paese dei porti chiusi e delle bocche aperte.

L’esempio di Vito Massimo Catania, da Regalbuto, è di un fulgore imbarazzante per noi italiani rimbambiti dall’opacità di un sentire comune che ha paura delle differenze. Lui, il runner solidale premiato da quell’altro alieno del presidente Mattarella, si è stufato di vincere gare da solo poiché ha capito che la condivisione è ben altro che un tasto di Facebook. E allora corre, corre per regalare passi a chi non li ha. Taglia traguardi per donare soddisfazioni a chi a un certo punto si è trovato a corto di speranze. Ebbene sì, Vito Massimo Catania, l’uomo che spinge in silenzio le carrozzelle al limite dell’umanamente possibile, è il perfetto contraltare di una nazione governata da panzoni bulimici ed egoisti.   

Alla ricerca dell’insoddisfazione perenne

12241271_964571823601554_2773164450726213996_nUno dei principali argomenti sguainati dai benaltristi che criticano la mobilitazione del mondo dinanzi agli attentati di Parigi è: dato che non vi indignate per i morti di altre parti del pianeta, questo fiorire di tricolore francese nelle piazze, nei monumenti, sui social è solo il frutto di una grande ipocrisia. Continua a leggere Alla ricerca dell’insoddisfazione perenne

Dove stimiamo di atterrare tra circa mezz’ora

Itavia Ustica 1980

Sono molto sensibile, per questioni personali e professionali, alle notizie sulla strage di Ustica del 1980 (anche se – ripeto – con Ustica quell’omicidio di massa non ha nulla a che fare). Le ultime parole del pilota, che ho ascoltato per la prima volta oggi, mi danno l’idea di una tragedia ancora più grande: il colpo alle spalle, il tradimento, la menzogna di massa, roba da lama islamica e invece no, questione dietro l’angolo, casa nostra, insopportabile merda istituzionale. Ogni volta che leggo qualcosa sull’abbattimento di quel Dc9 dell’Itavia, sono catturato da un senso di inaudita impotenza che genera in me sussulti qualunquisti tipo: ma se Sabina Guzzanti invece di sparare cazzate atomiche su Riina e Provenzano, si fosse presa la briga di manifestare vicinanza nei confronti delle vittime oneste delle bugie istituzionali (con annessi traditori) non ci avrebbe fatto una figura migliore? Forse il vero problema del successo è che dà talmente alla testa, che la disconnette.

Le elementari sono piene

 

Palermo per Brindisi

Più di duemila persone sotto l’albero Falcone a Palermo per condannare le bombe di Brindisi. Persone raccolte con un fischio su Twitter, grazie alle buone idee di un gruppo di giornalisti attenti e a un buon hashtag. E’ una svolta, l’ennesima, nel mondo dell’informazione sociale. I giornali e le tv cedono il passo – devono farlo – alla comunicazione diretta tra giornalisti (o comunque portatori di notizie) e lettori (o comunque propagatori di notizie). Una sorta di peer to peer delle idee dove ognuno è motore e serbatoio, attore e spettatore. Non è una novità, ma il suo dilagare rischia di esserlo.
Se fossi il direttore di una testata giornalistica mi prenderei una settimana di ferie e comincerei a studiare il fenomeno.

Mosaicoon per Emergency

Una bella notizia è bella e basta. Che una viral media company si metta a disposizione gratuitamente di Emergency per realizzare un video sociale è un’ottima cosa. Però se quella compagnia è composta da miei concittadini, allora per me è anche meglio. Come dire? Una bella notizia può essere ancora più bella.
Bravi quelli di Mosaicoon.

Immigrati e fandonie

Un caro amico, cattolico impegnato nell’assistenza agli immigrati, mi invita a riflettere su ciò che sta accadendo a Lampedusa. Ci provo, nella consapevolezza che questo tema è una miscela di convincimenti personali e rigore normativo. Per molti, insomma, le ragioni intime non si riverberano affatto nelle esigenze pubbliche, e viceversa.
Il cuore e un certo residuo di carità non possono lasciarci impassibili davanti a un immigrato che vende casa (leggasi catapecchia) e ogni suo bene per pagarsi un viaggio tra mille pericoli e per di più con destinazione incerta. La fuga di centinaia di migliaia di disperati da povertà, guerre e malattie dovrebbe essere il tema dominante delle politiche di solidarietà occidentali. Questi non vanno in gita, scappano: è bene ricordarselo.
D’altro canto non ci si può illudere che l’arrivo di un’incontrollabile fiumana di gente non provochi contraccolpi negli equilibri demografici e, in generale, sociali di uno Stato.
Anche in Paradiso, ci hanno insegnato, esiste una regolamentazione degli ingressi.
Se ci fate caso, in questo campo esistono posizioni corsare in tutti i partiti ad eccezione della Lega Nord: segno che la politica degli schieramenti non ha ancora preso il totale controllo delle anime.
Non so qual è la ricetta. Quel che so è che si raccontano un sacco di fandonie per giustificare “pugni di ferro” e “tolleranze zero”. Gli immigrati, nel nostro Paese, non tolgono lavoro a nessuno perché accettano impieghi che gli italiani non farebbero nemmeno scorticati vivi. Gli immigrati, specialmente quelli africani, non delinquono più di noi: credetemi, certi fenomeni e certe emergenze sono create da sistemi informativi che fanno due più due drogando gli addendi. Mi spiego, dato che questo è l’aspetto più delicato della faccenda.  Un delinquente marocchino stupra una donna, quattro giorni dopo (in un’altra città di un’altra regione) un nordafricano si rende colpevole di un reato analogo. Nel frattempo altri italiani hanno stuprato in lungo e in largo, ma il fenomeno giornalistico scaturirà solo dalle colpe (indubbie) dei due immigrati.
I ragionamenti sulla sicurezza e su un sistema di garanzie che consenta a una nazione di scremare ingressi ed esercitare i dovuti controlli sugli ospiti devono tener conto di tutti, non solo degli extracomunitari. A cominciare – diciamolo – dalle cittadinanze imperfette, come i Rom. Ma di questo, se volete, parleremo un’altra volta.