L’ultima cazzata di Grillo

Beppe Grillo, al quale pur si deve una boccata di aria fresca nell’antro della politica italiana, ce la sta mettendo tutta per dimostrarsi peggiore di com’è. Dopo una serie di cazzate che hanno come ultimo anello (cronologico) la lista di proscrizione dei giornalisti, ieri è arrivata la madre di tutte le minchiate: la gogna per il ministro Dario Franceschini che ha inviato un sms agli amici in cui perorava la causa della compagna, Michela Di Biase, candidata al Consiglio comunale di Roma.
Nella furia collettiva di un qualunquismo becero, nel turbine di ignoranza in cui il primo che urla ha più ragione dell’ultimo che pensa, l’accusa di Grillo (Franceschini tiene famiglia!) è un’offesa alla vera politica che il Movimento 5 stelle dovrebbe invece difendere.
Cosa ci aspetta in un futuro grillistico?
Che un marito non possa più fare campagna elettorale per la moglie? Che le colpe dei padri ricadano per linea ereditaria sui figli? Che la purezza sia certificata dalla società di Casaleggio? Che la verità rivelata sia vergata su carta telematica del blog di Beppe Grillo?
Suvvia, Franceschini ha tutto il diritto di inviare sms a chi vuole per sostenere la campagna elettorale della compagna. E purtroppo Grillo ha tutto il diritto di inanellare una scempiaggine dietro all’altra per decretare la fine di un movimento che sembrava alba e che invece è notte sempre più fonda.

#amaipiùrivederci

Ha un che di misterioso l’accanimento di chi, in questo periodo dell’anno, manda messaggi di auguri stereotipati, perlopiù frasi fatte, copiate-incollate e sparate in serie a tutta la rubrica del telefonino o del computer. E il mistero sta tutto in quell’assenza di volontà per un gesto che invece dovrebbe essere molto volontario: fare o non fare gli auguri significa in fondo scegliere, decidere chi far partecipi, chi mettere da parte, chi tenere sulla graticola e chi premiare.
Invece ogni anno riceviamo molta di quella che ritengo simile a un’immondizia dei sentimenti.
Io ho tre “clienti” affezionati, in tal senso.
Uno è un tale che scrive frasi tipo “il primo pensiero va a te e alla tua famiglia… perché sei una persona speciale… ti auguro personalmente ogni bene” e invia la mail a una tonnellata di destinatari nascosti credendo di avere a che fare con una tribù di fessi.
Un altro è uno che quando lo cerchi non ti risponde mai e che per Natale ti invia i suoi “più fervidi auguri” firmandosi con cognome e nome come se fosse un compagno di naia.
L’ultimo è il più infido perché ti colpisce alle spalle. Ti chiama personalmente, fa finta di coccolarti, poi ti rifila un sms o una mail in cui ti chiede il favore dei favori oppure ti ricorda il suo ultimo libro che potrebbe essere un ottimo regalo per natale eccetera eccetera.
Per tutti loro l’hashtag è #amaipiùrivederci.

Mosaicoon per Emergency

Una bella notizia è bella e basta. Che una viral media company si metta a disposizione gratuitamente di Emergency per realizzare un video sociale è un’ottima cosa. Però se quella compagnia è composta da miei concittadini, allora per me è anche meglio. Come dire? Una bella notizia può essere ancora più bella.
Bravi quelli di Mosaicoon.

Il peggiore sms

Ho notato, ma posso sbagliare, che il Capodanno appena passato potrebbe segnare il tramonto dell’sms di auguri. Personalmente ne ho ricevuti molti di meno rispetto allo scorso anno e da quel che ho sentito in giro non è una questione personale.
Tra i pochi messaggini ricevuti ce n’è però uno che riecheggia di una banalità antica, quella dei testi preformattati, preconfezionati, copiati e inoltrati all’intera rubrica senza ritegno.
E’ forse il più brutto che abbia mai ricevuto. Ve lo copio di sotto.

“TNAGRUIEFCELIEANUOVNONO. A causa della crisi economica gli auguri li ho presi all’Ikea. Te li monti tu quando hai tempo”.

 

L’esperimento

Ho trascorso un periodo relativamente lungo in una località di mare nella quale ho portato anche i miei strumenti professionali: un computer e un iPad. E in questo periodo ho provato a gestire la mia vita in modo diverso dal solito: lavorare quando si è in continua tentazione vacanziera è una costante prova di resistenza.
La notizia è che credo di avercela fatta.
Il nostro sistema di relazioni, di convenzioni, di schemi rigidi, prevede il riposo come alternativa netta al lavoro. In realtà – e questo è stato l’esperimento che ho condotto su me stesso – si può diluire il dovere nel piacere a patto di rinunciare a un po’ di quest’ultimo. Al posto di una settimana di completo relax, se ne possono fare tre di parziale relax.
Badate, è una scelta che non è priva di controindicazioni. Ci sarà sempre un momento in cui invidierete gli altri, i vacanzieri veri, quelli che hanno optato per la linea tradizionale, e questo rischierà di pesare sul vostro rendimento. Non dovrete cedere alle tentazioni di allungare gli spazi di riposo a discapito dei momenti dedicati ai committenti. La missione è essere diversi pur garantendo ai vostri datori di lavoro il normale rendimento.
Alla fine della giornata non sarete proprio riposatissimi come tutti gli altri, ma di certo sarete più felici di quelli che hanno esaurito la vacanza prima di voi e che vi mandano sms di nostalgia dall’ufficio.

Tranquillo, so cosa mettermi

ballata 4
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Avete finito di lavorare e siete a casa. Stasera avete un appuntamento.
Gli amici vi aspettano, mettiamo, per le 20,30.
Sono le 20.
La vostra compagna/moglie ha giurato (o, purtroppo, ribadito) che il suo tempo di preparazione è di 30 minuti. Ciò significa che in 1.800 secondi lei sarà in grado di:
– fare doccia e shampoo;
– rispondere, gocciolante, alla telefonata dell’amica che non sente da mesi;
– imporsi un trattamento con creme, emollienti e affini;
– effettuare un primo passaggio di phon;
– lavarsi i denti;
– sostare per una pausa di riflessione davanti al cassetto della biancheria intima;
– passare in rassegna il settore calzature;
– sciacquarsi la bocca con un quarto di litro di collutorio;
– effettuare un secondo passaggio di phon;
– lamentarsi perché il collutorio è troppo forte;
– rispondere all’sms dell’amica di prima che si complimenta per averla sentita felice;
– chiudere il cassetto della biancheria intima;
– cercare il telefonino;
– girare nuda per casa lamentandosi del freddo che fa;
– confutare l’evidenza imposta dal termostato che segna 25 gradi: “Vabbé, è scassato”;
– indossare una maglia civetta che serve soltanto a creare l’illusione che finalmente ci si avvii verso la vestizione;
– chiedere di chiamarla al telefonino per capire dov’è finito il suo cellulare;
– riaprire il cassetto della biancheria intima;
– recuperare il telefonino adagiato tra le mutande;
– effettuare un terzo passaggio di phon perché i capelli non vanno proprio;
– argomentare che al 16° giorno del ciclo una convergenza tra Giove, la finale di X-Factor e il progesterone crea un buco nero nella struttura pilifera femminile con conseguenze tricologiche che meriterebbero uno studio del Cnr;
– togliersi la maglietta civetta e indossare l’abito prescelto;
– sostare davanti allo specchio;
– calzare due scarpe diverse;
– sostare ancora davanti allo specchio;
– chiedere: “Sta meglio il tacco 12 o l’anfibio?”;
– respingere ogni forma di risposta;
– affliggersi: “Non ho nulla da mettermi”;
– eludere la domanda: “Da metterti ai piedi o addosso?”;
– ignorare la piramide di calzature e la selva di vestiti nelle quali si è persa l’ultima donna di servizio (la cercano ancora due inviati di Chi l’ha visto? e i carabinieri dell’Aspromonte);
– lasciarsi consolare, con occhio attento allo specchio;
– scoprire che l’abito può andar bene se il capospalla è adeguato;
– lanciarsi alla conquista di un capospalla adeguato;
– rispondere alla telefonata degli amici, che aspettano già da 20 minuti, dicendo: “Stiamo arrivando”;
– chiedere (a chiamata conclusa): “Sta meglio la giacca nera o quella nera-nera?”;
– apprezzare il grugnito di risposta come segno d’amore;
– tirare le somme ed apparire, come sempre, bella e impeccabile mentre si dà l’ultima mandata alla porta di casa;
– far finta di dimenticare la frase con cui vi ha tranquillizzato, ore prima: “Tranquillo, tanto so cosa mettermi”.

L’archivio della felicità

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Quarant’Ena

Questa è una storia di fantasia o, se volete, no.

Lei: Teresa, 36enne, bella, professionalmente appagata. Lui: Antonio, 35enne, capace di corteggiare come pochi. Non molto bello, ma tanto buono.
I due si incontrarono per caso, a casa di amici comuni. Seguirono e-mail eleganti dai contenuti abbastanza neutri. Una al giorno, poi due, tre. In breve 100-150 a cui si aggiunse una tempesta di sms.
“Buongiorno, se sei sveglia”.
“’Notte, se riposi”.
Ovunque si trovasse, lei rispondeva subito. E ricopiava tutto, nel suo archivio della felicità.
Dopo circa tre mesi lei gli chiese, con determinazione mista a una malcelata vergogna: “Che fa, ci prendiamo un caffè insieme?”
Lui: “Sì, ok”.
Si videro in un bar del centro. Se fu amore non è dato saperlo. So solo che la mia amica Teresa, dopo quel giorno lo incontrò 15 volte. Pranzi fugaci, mai una cena, molti caffè, qualche tè. Solo una volta copularono. Poi niente più, tornarono alla scrittura dei sentimenti.
Lui la rassicurava: “Vederci non è determinante. In questo modo ci tocchiamo l’anima”. Oppure: “Scriverti mi permette di sfiorarti l’anima”.  O ancora: “Le nostre parole ci permettono di adagiarci sull’anima”.
Ogni tanto a Teresa scappava un messaggio del tipo: “Andiamo al cinema?”. Ma lui aveva sempre qualche impegno.
Un giorno, dopo un anno, lei s’impose: “O andiamo al cinema oppure è finita”.
Lui non rispose.
“Sarà occupato”, pensò lei. Aspettò.
“Perché non mi rispondi?”, gli scrisse dopo due giorni di attesa, nonostante il dolore acuto nel pollice destro (un anno di sms pregiudica fortemente la funzionalità delle falangi).
Non ottenendo risposta, glielo chiese più volte finché non si decise a fare un gesto inconsulto: gli telefonò.
Una voce di donna la investì subito: “Puttana! Sei una puttana. Lascia in pace mio marito”.
Lei impiegò pochi minuti per prendere la sua decisione. Raccolse tutto il materiale. Con pazienza, tanta pazienza, cancellò dalla posta il suo nome  e lasciò visibile il numero di telefono di Antonio. Aprì l’archivio della felicità e stampò le circa 6.000 mail e i 10.000 sms raccolti in un anno. Eliminò il proprio nome, ma lasciò quello di Antonio. Corse in tipografia e commissionò un migliaio di copie, non tutte rilegate per via degli alti costi.
La distribuzione del volumetto è ancora in corso nel raggio di un chilometro da casa della coppia felice: dal parrucchiere, dal salumiere, dal meccanico, dal giornalaio… Nulla è lasciato al caso, persino i pazienti del vicino ospedale leggono da qualche giorno le poesie, le frasi, le parole che lui le scriveva.
Bisogna stare attenti a maciullarla, l’anima. Perché quando si risveglia dal coma s’incazza moltissimo.

Certe cattive notizie

L'illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

di Verbena

Ho fatto un rapido calcolo: quando lui è nato, io portavo il reggiseno già da qualche mese.
Il suo primo giorno di scuola è certamente coinciso con una delle mie scappatelle col fidanzato del liceo. E quando si sarà reso conto, qualche anno dopo, che i bambini non li portano le cicogne, io ne stavo già programmando uno.
Non sono io ad essere avanti con l’età, è lui che è giovane. Pure molto bello, e credo persino in gamba. Ora, questo esemplare di uomo dalla pelle chiara e intatta, i capelli folti e lucidi, gli occhi da cerbiatto e le labbra carnose, dice di essere terribilmente attratto da me.
Io invece ho fatto fatica più d’una volta a  ricordare il suo nome, né mi ha lasciato dentro una traccia qualunque. Che ne so, uno sguardo speciale, una frase profonda, una cosa così.
Un giorno mi chiede il numero di cellulare ed è iniziato il battage di sms. Deliziosi in verità, raffinati persino, nessuna caduta di stile.
Lui mi confessa che gli interessa il mio cervello.
Che i miei discorsi trasudano profondità, ardore intellettuale. Che i miei occhi gli leggono dentro.
Non poteva darmi notizia peggiore.
Se fosse stato più scaltro avrebbe saputo che le donne alle soglie dei quaranta hanno bisogno anche di altre conferme. Di essere ancora attraenti, giovani e sensuali. Di avere ancora un bel culo.
Soprattutto se a dirlo è un fusto circondato da uno stuolo di ventenni.
Ma lui, il cerbiatto, certe cose non le sa ancora.
E’ in casi come questi che i mariti salgono di parecchie posizioni. E il bello è che non lo immaginano neppure.

Lupi e cantanti

di Quarant’Ena

Alcune delle persone che incontriamo sono di passaggio. Hanno solo il tempo di frantumarti il cuore e poi se ne vanno. Una pensa che quando lo sminuzzamento delle coronarie è avvenuto molte volte si diventa in qualche modo immuni. Invece non è così. E sarà per questo che adesso la mia amica Francesca giace supina in un letto. Sono già passati 15 giorni. Perché lui,  un esemplare appartenente alla razza maschile, se n’è andato. La prova è l’sms che le ha mandato: “Sei una bellissima persona e meriti anche tu di essere felice”. Dopo accurato interrogatorio ho anche scoperto che c’erano già stati segnali: ben tre sms con la ripetizione dello stesso concetto oscillante tra “sei una bella persona” e “sei una bellissima persona”. Così Francesca, ora e per sempre soprannominata “bella persona”,  piange e si dispera plissettando, temo irrimediabilmente, il suo già provato contorno occhi.  Perché se a 20 – 30 anni una crisi sentimentale si supera con l’alcol,  a 40 ti viene l’herpes zoster e se bevi poi devi drogarti di buscopan. E per togliere gli origami disegnati nelle guance da ore e ore di viso sul cuscino ci vogliono ore e ore di ghiaccio sulla parte lesa.
Se è vero che è sempre valida la teoria del chiodo scaccia chiodo, più passano gli anni e meno chiodi ci sono.
Quando nasciamo, l’ostetrica dovrebbe cucirci addosso, sotto il cuore, un macchinario. Una sorta di cerca persone. Che dovrebbe iniziare a ululare quando si avvicina qualcuno che può farci del male e a cantare quando invece questo qualcuno può farci del bene.  Servirebbe a ricordarci che il mondo è pieno lupi e pochissimi cantanti (tra cui Gigi D’Alessio). Cosa sia meglio, Iddio solo lo sa.

Sms di auguri

I giorni che separano Natale da Capodanno sono una camera di decompressione per qualcosa di più pesante di pranzi e cene: gli auguri via sms.
Non sono contrario ai “messaggini”, anzi li trovo pratici. Un pensiero affettuoso in poche parole è spesso più efficace di una conversazione ammorbata da convenevoli e rinvii ad appuntamenti che, nella maggioranza dei casi, rimarranno vaghi: “Ci sentiamo la prossima settimana”… “Chiami tu o chiamo io?”… e via blaterando.
L’sms augurale è invece un concentrato di concetti, senza l’annacquamento di parole inutili. Con un semplice messaggio – azzardo, anche non personalizzato – si testimonia l’esistenza, o la sopravvivenza, del destinatario nella propria agenda telefonica, gli si dice “sei ancora nel mio elenco” nonostante il tempo, i mutati equilibri affettivi, le eventuali carognate e i cazzi propri. Selezionando “invia” si passa la palla per verificare la tenuta di una linea di amicizia, affetto o stima: starà all’altro, il destinatario, rispondere a tono, rilanciare, o ignorare benedicendo il giorno in cui ha cancellato quel numero dal suo cellulare.
Questo Natale ho ricevuto due sms che mi hanno fatto ribollire il sangue. Erano entrambi dello stesso tipo: promozionale. Un tale ha pubblicato finalmente un libro e non ha trovato di meglio che comporre un irritante slogan pubblicitario. Un altro è un consulente bancario e mi ha accomunato ai suoi clienti migliori da cui, fesso lui, si aspetta grandi cose per l’anno che verrà.
Ho eliminato i loro numeri dalla rubrica per sedare la tentazione di chiamarli e insultarli.