Nei panni di un SS (e il nazismo non c’entra)

C’è una categoria mai ben classificata, che attraversa strati sociali, posizioni politiche, che risente di varie stratificazioni etiche e anche di molti pregiudizi. È quella dei cosiddetti single stagionati (SS, per usare, anzi osare un’abbreviazione) e comprende le persone cosiddette libere nella cosiddetta età stagionata, cioè diciamo dopo i cosiddetti cinquanta.

Ci sono vari elementi che certificano il valore civile dei SS ed è giunto il momento di tirarli fuori, perché come accade per ogni fenomeno incompreso, da Van Gogh al generale Pappalardo, è noioso che sia sempre la storia a giudicare le distrazioni della cronaca.

Innanzitutto la disponibilità. È il maggiore fattore di appeal per il conferimento della quinta stella a un SS. Sono quelli che ci sono sempre, dalla prima ora all’ultimo minuto, telefono amico e citofono complice, ore pasti e ore piccole, letto divano sedia poltrona tappeto balcone a disposizione a seconda del casino (altrui) che devono disinnescare. Per un SS è naturale accogliere perché nessuno più di lui sa cosa significa non essere accolti.

Poi c’è il sentimento, la parte più noiosa. Un SS è come un reduce del Vietnam dell’amore: forgiato e un po’ disilluso, ma mai indifferente al tema. Sa benissimo che l’amore più grande è quello che finisce, perché solo in quel modo se ne può tastare l’imponenza e l’importanza, ed eventualmente avere la libertà di esercitare il diritto di paragone senza un partner che rompa i coglioni. Ma sa anche che si troverà di fronte a non single non stagionati che cercheranno di rimbecillirlo con le loro storie che reputano uniche e irripetibili e dalle quali non riescono a emanciparsi (infatti vanno da lui, mica vanno a pentirsi da Giletti tipo Baiardo).

Inoltre c’è il tempo. Un SS paga a caro prezzo il bene più prezioso che chi non sa niente di queste cose pensa che sia l’indipendenza. E invece è la gestione del tempo. Imparare a impiegare le ore, i minuti è un dono meraviglioso che vale da solo tutto il compendio di sacrifici ai quali un SS si sottopone, spesso non per libera scelta. È sempre una questione di S: solitudine, spesa, sesso, stress, sincerità. Un SS sa che questo benedetto tempo, dato che oltre che single è anche stagionato, non va mai sprecato, ma senza assillo (che non inizia per S ma ne ha due comunque).

Prendetevi la briga di osservarlo, un SS, quando si muove nella sua casa, al supermercato, al lavoro, a cena con gli amici. Ha il migliore controllo del tempo: non è soffocato da impegni che non ha scelto; ha una discreta libertà di movimento; regge lo stress test del last minute meglio di chiunque altro.

In più un SS ha sviluppato – perché non proviene da un altro pianeta – una sensibilità in quelle aree della socialità che gli altri tendono a trascurare. Sa come sta l’amico/a che non si fa più sentire dopo che gli ha tritato i coglioni per anni: evidentemente si è riparato sotto lenzuola confortevoli nel primo accampamento disponibile. Sa come funziona il meccanismo della convenienza, quello stesso meccanismo che l’ha portato a pesare il colpo di fulmine e il colpo di genio. Sa perché imboccare la via più difficile non sia dirimente, ma utile per conoscersi: indipendenza e felicità sono strade ben diverse, ma hanno un paio di bivi in comune, basta fermarsi un attimo e scegliere invece di tirare dritto per inerzia.

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Non è un paese per single

A proposito dei single per scelta e dei single per necessità. A proposito delle discriminazioni nei confronti di chi non mette su famiglia e delle consolazioni fasulle per chi decide di sfasciarla. A proposito delle proposte di matrimonio pubbliche e dei due di picche legittimi. Buon ascolto.

Qui tutti gli altri podcast.

Gery Palazzotto
Gery Palazzotto
Non è un paese per single
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San Valentino, voltare pagina

“Io non voglio qualcuno che mi ripeta in continuazione che ci sarà sempre
e non mi lascerà o tradirà mai. Mi basta qualcuno
che ogni volta che mi mandi a fanculo venga sempre a riprendermi.”
Charles Bukowski

San Valentino, almeno nella mia esperienza, è uno spunto per varie cose. Per ricordare e il suo contrario, per celebrare e il suo contrario, per crescere e il suo contrario.
Alla mia età, avendo attraversato diverse latitudini affettive, vi confesso che le ho provate tutte. Dalla festicciola a casa con gli amici (anche loro innamorati come da copione), al festino alcolico per dimenticare; dal brodo di giuggiole per una frase vergata su un libro che pare stare lì apposta per te, al cambio di stato di un pizzino d’amore, da foglio a coriandoli; dallo slancio di memoria del come eravamo alla prua diretta verso il come sarò.

Chissà qual è la formula più vantaggiosa per arricchire un sentimento, quando uno ce l’ha, e magari capitalizzarlo. Forse, come ha ironizzato qualche anno fa Gianluca Nicoletti, in questo giorno cruciale l’unica cosa buona che una coppia di innamorati dovrebbe fare è portarsi un single sfigato a cena (occhio, ho detto single sfigato e non solo single o solo sfigato). O forse vale una strategia di segno opposto: trattare il sentimento con l’ordinarietà delle cose umane, dato che non è vero che l’amore ci avvicina a dio, semmai ci costringe più spesso a chiedergli una mano. Una volta raccontai in un romanzo la storia di un cuore bonsai al quale venivano tagliate le radici in modo che non potesse crescere troppo: era una polluzione nichilista. Un’altra volta mi è stata suggerita la favola di una persona che resiste strenuamente ai cambiamenti del ph del cuore: una cosa a metà tra “Viaggio allucinante” e “Alice nel paese delle meraviglie”.

Di certo San Valentino si porta appresso il paradosso di un vestito che era bello quando era nuovo, ma che magari è ancora lì nell’armadio perché non ci si decide a buttarlo definitivamente, o perché ce ne siamo dimenticati. Lo guardiamo e immaginiamo il giorno che perderemo quei chili che ci impediscono di indossarlo di nuovo, magari passeggiando con la persona che abbiamo deluso, o che ci ha deluso, o che abbiamo costretto a fuggire, o chissà.
Lo spirito di sopravvivenza, e anche una buona dose di incosciente saggezza, ci ricordano che chi si mette a dieta per un vestito non lo fa per se stesso, bensì per il vestito. E la dieta in generale è deprimente più di una festa senza festeggiamenti.

Corredo di sicurezza

lenzuola

Da un assist di Silvia.