La strage dimenticata

Il pm Francesco Del Bene chiede al pentito di mafia Giovanbattista Ferrante: “E oltre a quello di Lima a quali altri omicidi ha partecipato?”.
“A nessuno”.
“E la strage di Capaci?”.
“Ah, vabbè”.

Grazie a Elvira Terranova.

Cadaveri (e titoli) eccellenti

In un volume dedicato ai 150 anni della sua storia, il Giornale di Sicilia ripropone una delle sue più famose prime pagine, quella del 13 marzo 1992. Il giorno prima Salvo Lima era stato assassinato a Mondello. Il titolo di apertura è: “Lima, un delitto politico”. Come se a sparare fosse stato un parlamentare dell’opposizione.
Qualche giorno dopo il settimanale satirico Cuore titolò: “Come John Lennon, Lima ucciso da un fan impazzito” *.
Ieri come oggi è la satira a trovare la forza di raccontarci le verità più amare.

*E il sommario recitava: “Le ultime parole dell’eurodeputato: giovanotto la mafia non esiste quindi la smetta di spararmi addosso”.

Martiri moderni

Non so perché, ma ormai quando si parla di martirio mi si drizzano i peli sulla schiena. Probabilmente perché  delle cose di chiesa non so nulla. O forse – peggio ancora – perché di certe cose non di chiesa so troppo.

Stampa e mistificazione

Si diffonde su internet il tam tam dell’appello all’Ordine dei giornalisti per il modo in cui il Tg1 ha trattato la sentenza Mills, spacciando per assoluzione una prescrizione.
La protesta è fondata e la testata in questione è recidiva a causa della “fantasia” del suo direttore, Augusto Minzolini.
Il rischio però è che per colpire un generale ci si dimentichi del volume di fuoco dell’intera armata.
Gran parte dei programmi del servizio pubblico raccontano frottole o, peggio, spacciano fumo per arrosto con la complicità dei partiti di governo. Non a caso qualche giorno fa il massimo dell’attività di controllo sulla qualità dei programmi della tv nazionale ha prodotto un provvedimento di sospensione di un tale che aveva parlato della commestibilità dei gatti.
Insomma, si è presa una cazzata e la si è travestita da atto sovversivo a mezzo tv: la conseguente azione censoria, a garanzia delle masse, è stato pubblicizzata come segno di una vigilanza attiva.
La mistificazione ha sempre trovato terreno fertile nel mondo dell’informazione. Ricordo il titolo di apertura di un noto giornale siciliano all’indomani dell’omicidio di Salvo Lima: “Lima, delitto politico”.
Si dice che Falcone si arrabbiò moltissimo leggendo quelle pagine.
Ma Falcone non era Saviano. E Berlusconi non era ancora diventato l’enzima che coagula tutti i mali.
Nessuno raccolse firme, né si rivolse all’Ordine dei giornalisti. Eppure lì c’erano un morto per terra e le pistole dei killer mafiosi ancora fumanti.
C’è una prescrizione per la vergogna?

Mannino, la trappola, la Dc

Gli elementi per imbastire qualche discussione sono già tutti nei numeri: 17 anni di procedimento giudiziario, 5 processi, 10 mesi di carcere, 14 di arresti domiciliari, un’assoluzione definitiva.
La vicenda di Calogero Mannino però nasconde, tra le sue scintille di indignazione più o meno giustificate, anche una grande trappola: quella di voler riscrivere col normografo del populismo la storia della Dc siciliana.
Tralascio i numeri perché immagino che siamo tutti d’accordo su un dato: nessuno deve aspettare per 17 anni un verdetto definitivo.
Sui 10 mesi di carcere per una persona che poi è stata riconosciuta innocente c’è da sbalordirsi a metà: qualunque tecnico del diritto vi spiegherà che, per quanto abnorme,  questo è l’effetto collaterale del principio per cui ci vogliono meno indizi per essere arrestati che per essere condannati.
Sulla grande trappola invece voglio fissare un paio di paletti.
Calogero Mannino era un importante esponente democristiano, ma non era la democrazia cristiana. Il partito di cui adesso qualcuno vorrebbe rinverdire i fasti, o addirittura ricostruire il passato, era quello di Don Sturzo e di Salvo Lima, di Piersanti Mattarella e di Vito Ciancimino, insomma era lo scudo e la croce, l’assalto e il sacrificio.
L’operazione improvvisata, ma anche di moda (vedi Craxi), per cui gli atti illegali vengono assorbiti e digeriti da considerazioni postume, anche legittime, è fuorviante. Molti, in questo periodo, vogliono promuovere il concetto assoluto dell’uomo quadrato: lo statista incompreso, il politico illuminato vittima di persecuzione, l’amministratore trombato perchè troppo lungimirante e scomodo.
In  realtà il concetto dell’uomo quadrato è plausibile quando non è assoluto. Ieri come oggi esistono infatti statisti incompresi che non sanno spiegarsi, politici illuminati che rubano,  amministratori scomodi vittime di politiche ottuse.
Uno può essere un padre perfetto e al contempo un killer crudele. Non si riscrive la storia solo perché all’improvviso ci si accorge che conta solo la famiglia e non la scia di sangue che c’è davanti casa.