Soloni fa rima con…

Tra gli effetti più indesiderati dell’indesiderabile sciatteria che ci inquina, tutti quanti, quando siamo davanti a una tastiera a digitare su un social – cioè quando l’effetto della battuta risente al massimo della rapidità di esecuzione – c’è quello della sbarellata percezione del tempo che passa.
Pur di twittare, propalare, cliccare siamo disposti a tutto: persino a sfregiare la storia, la nostra storia, seppur minima.
Prendo ad esempio una frase di Massimo Mantellini, “uno dei massimi esperti della rete internet italiana” come lo definisce la sua bio per Einaudi editore: “Benigni non fa più ridere da vent’anni…”

L’occasione era ovviamente l’apparizione di Benigni al Festival di Sanremo e la sua rilettura del Cantico dei Cantici.
Ora, la frase di Mantellini la prendo come esempio per spiegare un fenomeno – non ho nulla contro questo signore di cui apprezzo alcune analisi, ma di cui non condivido il protagonismo social che rasenta spesso le pulsioni di un teenager – quello dell’azzeramento della prospettiva temporale.

“Benigni non fa più ridere da vent’anni” significa, dato che Benigni è (anche) un attore comico “Benigni non significa un cazzo da vent’anni”. E attenzione al tono assoluto: “non fa più ridere” e non “non MI fa più ridere” che già sarebbe una frase dietro il paravento di un’opinione.
No, stando a questo assunto Benigni non ha inanellato niente negli ultimi decenni.
Eppure basterebbe pensare che 21 anni fa (appena un anno prima del confine mantelliniano) Benigni si era messo dentro un Oscar. E poi aveva portato la Divina Commedia nel mondo. Nel 2009 aveva attaccato, proprio dal palco di Sanremo, l’intoccabile Berlusconi, mentre il “massimo esperto” digitava chissà cosa dal suo abbaino. Due anni dopo, sempre a Sanremo, aveva parlato dell’Unità d’Italia raggranellando uno share del 60 per cento: e siccome la spiegazione non era stata poi così male, il giorno dopo gli aveva scritto il presidente Napolitano per complimentarsi. Nel 2014 i suoi Dieci comandamenti in Rai avevano ottenuto una citazione di Papa Francesco in un’omelia. Tutto questo, sempre in vent’anni del cazzo, diluito nel conferimento di dieci lauree honoris causa, di una Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte e di una onoreficenza come quella di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.

Questo per cercare di ragionare sull’effetto delle parole a effetto, sulla stordente simbiosi tra battuta e minchiata storica che il web ci propone, dalla quale nessuno è immune.
Poi a me Benigni manco mi entusiasma, ma ce ne corre a scrivere che dopo “Johnny Stecchino” è tutto un declino (e c’è pure la rima). A proposito, chissà se su Twitter le rime premiano, perché trattando di Soloni…  

Benigni, alla faccia dei maligni

Roberto Benigni i Dieci ComandamentiA me non interessa quanto lo pagano, Roberto Benigni. A me interessa godere di prodotti di qualità, e la qualità costa. Pensate quante porcherie ci siamo dovuti sorbire, nel segno di una Rai che si spaccia per popolare (cioè aperta a tutti-proprio-tutti) e invece è solo scadente. Pensate ai mesi estivi ingrassati di repliche e programmi farlocchi, come se esistesse uno sconto stagionale sul canone. Pensate alla necessità ormai quasi impellente di ricorrere ad abbonamenti alternativi (e salati) pur di vedere qualcosa di vagamente interessante nelle pigre serate di inverno.
Ecco, pensate a tutto questo e maledite quel dio che di comandamenti ne ha fatti soltanto dieci. Venti ce ne volevano, venti!
Almeno avremmo avuto un’intera settimana televisiva come dio comanda.

Ridere

Ridi sempre, ridi, fatti credere pazzo, ma mai triste. Ridi anche se ti sta crollando il mondo addosso, continua a sorridere. Ci sono persone che vivono per il tuo sorriso e altre che rosicheranno quando capiranno di non essere riuscite a spegnerlo.

Roberto Benigni

Chi mi conosce sa che una delle mie frasi ricorrenti (tutti più o meno ne abbiamo una) è: non riusciranno a spegnere questo sorriso.
Quando ieri mia moglie mi ha segnalato questa citazione di Benigni, mi sono accorto che era un bel po’ di tempo che non pronunciavo quelle parole. Perché, accomodato in una vita serena, mi ero dimenticato degli “spegnitori abusivi di sorrisi”.  E invece no, mai abbassare la guardia. Anche se non te ne accorgi, c’è sempre il rosicone di turno pronto a godere di una tua minima incertezza. E bisogna essere sempre armati di una risata che lo seppellisca.

Tutti da Fiorello, come Fiorello

E’ davvero un peccato che la trasmissione di Fiorello sia finita, anche se è immaginabile che la Rai – a meno di follie suicide – abbia fatto tesoro dell’esperienza.
Come ci siamo detti sin dall’inizio, la grandezza dello showman siciliano è quella di far sembrare nuovo ciò che è antico e collaudato. E questo in una nazione di dilettanti allo sbaraglio (magari con la spinta di papi) è una bella cosa. Però se una critica può essere mossa a Fiorello, senza il rischio di finire crocifissi su Twitter, questa riguarda la sudditanza degli ospiti. Tutti, da lui, parlano come lui, citano lui, si muovono come lui. Persino Roberto Benigni risparmia sulle battute e fa il verso al padrone di casa.
Ecco, in un prossimo spettacolo del più grande showman dopo il weekend sarebbe bello che la vecchia regola del varietà fosse rispettata: ognuno resta fedele al suo personaggio.
E poi Fiorello è così piacevolmente debordante che si può anche risparmiare sugli ospiti.

Finti scoop e reale ignoranza

La storia è emblematica. “Striscia la notizia” s’inventa che Benigni è stato censurato a “Vieni via con me” e mette in onda un servizio in cui c’è la frase incriminata:

Io di Endemol sono il padrone,
è quella che produce questa trasmissione.
Son proprietario di ogni spazio,
gira e rigira è mio anche il programma di Fazio.

Ovviamente, dato che il programma è in diretta nessuno può credere che la notizia sia vera (come si fa a censurare una strofa mentre la si deve ancora pronunciare?). Invece qualche scemo più o meno colpevole, tra i giornalisti, c’è davvero. Indovinate chi?
Il Giornale ci casca in pieno (l’articolo, stranamente, non è più online). E, quando a scoppio ritardato si accorge di aver fatto una minchiata stratosferica, anziché chiedere scusa e prendere provvedimenti nei confronti dei giornalisti che hanno abboccato alla scemenza senza preoccuparsi di fare un briciolo di verifica, che fa?
Tenetevi forte.
Dice che la figura di merda l’ha fatta Antonio Ricci!

Grazie alla Contessa.

Una tv da leggere

Ho visto “Vieni via con me” e mi è sembrata una bella trasmissione, ben scritta. Forse troppo. Nel senso che si capisce che è una trasmissione scritta, quindi da leggere più che da vedere.
Però la bontà del prodotto sta nell’accoppiamento tra il rigore ingessato di Roberto Saviano e l’arte debordante di Roberto Benigni, tra la solennità imbarazzata di Claudio Abbado e la felice tempistica di Fabio Fazio.
In tempi di vacche magre, anzi di vacche e basta, per una tv di raccomandati, di urlatori, di opinionisti improvvisati e di talenti in esilio, un programma in  cui ci sono artisti in grado di svolgere il loro mestiere in modo canonico è un evento da festeggiare.
Viva!

Combattere contro se stessi

Una rete della televisione italiana, la terza, quella che fa ancora trasmissioni guardabili, mette in cantiere un programma guardabile e tira su un progetto dove ci sono campioni di ascolto dai meriti indiscutibili, come Roberto Saviano, Fabio Fazio, Roberto Benigni, Paolo Rossi e Antonio Albanese, (una roba che potrebbe fare record di denari) che però non sono simpatici al premier – che è anche proprietario delle reti concorrenti – e che vengono ostacolati in tutti i modi per far sì che la trasmissione guardabile diventi inguardabile, in quanto irrealizzata, in ossequio al principio secondo il quale la Rai ha l’obbligo di combattere col coltello tra i denti contro il nemico più agguerrito: se stessa.

In croce, a turno

Gesù Cristo è la seconda persona più perseguitata di tutti i tempi.

Roberto Benigni, sabato pomeriggio al museo diocesano di Terni.

Berlusconi e l’Inferno

Dice Mara:

“E’ venuto Benigni a Ginevra con il suo spettacolo Tutto Dante. Da buona italiana “colta” non  potevo mancare, c’era la sala gremita. La prima parte dello spettacolo è stata uno sproloquio infinito su Berlusconi e sulle sue ultime apparizioni in pubblico, Abruzzo compreso. Finalmente è arrivata la parte annunciata: il commento e la lettura del V canto dell’Inferno. Ben fatto devo dire, tanti gli spunti di riflessione, anche se resto una fedele del Sapegno.
Mi chiedo: è possibile che non si possa fare a meno di parlare di questo individuo? Vivo all’estero da troppo ormai e non mi rendo più conto della tragedia in cui vive l’Italia? Puoi spiegarmi questo fenomeno? È possibile che l’opposizione latitante possa solo parlare di lui e di ciò che fa o dice? Se poi ci si mette anche la cultura, allora siamo veramente nella merde.

There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about. Oscar Wilde”