Chiamata senza risposta

Racconto un’impressione, il succo di mie esperienze, e magari chiedo il vostro parere però argomentato cioè non “giusto” o “sbagliato”, non “minchiate” o “sante parole”.
È una cosa che riscontro ormai da un paio di anni, diciamo dalla pandemia in poi.

Prima la short version. C’è un ritirarsi dai contatti umani, una ricerca spasmodica della scorciatoia: messaggi, mail, brevi rimbalzi di frasi. Occhio: parlo di contatti in generale, quindi in primo luogo di cose di lavoro, di relazioni istituzionali, molto meno di affari privati (lì, in fondo, siamo quel che ci meritiamo di essere e vaffanculo).

Poi la long version. Mi appare sempre più lontana la logica interazione tra uno che chiede con tutti i suoi punti interrogativi e uno che risponde con tutti i crismi. I telefoni si ingolfano di chiamate senza risposta, le mail si perdono in tread senza un esito. Prima, sino a poco tempo fa, c’era il gusto anche perverso del contraddittorio: nella mia vita (fortunata) ho avuto scontri epici nelle aziende in cui ho lavorato ed estenuanti botta e risposta con amici, colleghi, compagne, familiari. C’era il piacere della scintilla che, va ricordato, serve sempre per accendere: che sia polemica, idea, amore, sempre fuoco è.
Oggi, da un paio di anni (come sopra), non è più così.
Come se una regina della rassegnazione si fosse impadronita dei territori della nostra vita sociale, tutto scorre senza scorrere. Gli intoppi delle risposte mancate generano laghetti di indolenza, i feedback sono grottesche emoticons, il luogo comune non è più né luogo né comune.
Il nulla.
Discussioni che potevano accenderci (e magari farci incazzare in modo memorabile) si arenano in una faccina whatsapp che rimanda a un deprimente “avanti il prossimo”. Dittature della mediocrità mettono al timone capitani abili del loro navigare nel nulla senza tener conto che nel nulla non si naviga, ma nel migliore dei casi si annega.

È un tema che ci riguarda tutti, come cittadini di città senza un cuore fuori dall’account Instagram dei suoi amministratori, come professionisti di aziende che spesso ridacchiano della meritocrazia, come esseri sociali pigri e rassegnati, come intelligenze che esistono anche lontano da una chat.
Non sono mai stato un nostalgico e – va detto – campo anche grazie alla tecnologia. A dispetto delle recenti suggestioni su intelligenza artificiale e affini, gli sgambetti più fastidiosi li ho (avuti) dagli umani. Che restano ancora la fonte principale delle mie delusioni e della mia felicità.
Ecco, alla luce di tutto questo dovrei farvi una domanda, ma in fondo è inutile che ve la faccia. Perché se vi siete riconosciuti in queste righe, come me cercate risposte, altro che domande.
Però grazie di questo minuto e mezzo di attenzione: un’eternità di questi tempi.

Nessuna risposta

Prendete tutti quelli superindaffarati, uomini e donne in carriera con una vita di superlavoro, e metteteli da parte. Poi prendete tutti quelli distratti, quelli che dimenticano tutto, e metteteli da parte. Poi prendete tutti quelli depressi, quelli che non vogliono sentire e/o vedere nessuno perché non sanno che faccia affittare, e metteteli da parte. Poi prendete tutti quelli borderline con la legge, quelli che hanno debiti o pendenze (non anatomiche) di vario tipo, e metteteli da parte. Poi prendete tutti quelli negati per la tecnologia, quelli che non distinguono un telefonino da una ceramica di Nino Parrucca se non per il fatto che il primo glielo ha regalato la moglie e l’altra la suocera, e metteteli da parte. Prendete tutti quelli a cui voi fate una profonda antipatia e metteteli da parte.
Tra quelli che restano ci sono alcuni esemplari da studiare: sono quelli che si negano senza un apparente motivo, quelli che quando li chiamate al cellulare non rispondono mai.
Perché ignorano la chiamata di qualcuno che – loro lo sanno bene – non ha da chiedere nulla e semmai ha da offrire?
Perché sopravvivono senza sensi di colpa davanti ai messaggi del loro cellulare che gli ricorda la loro inadempienza?
Perché quando richiamano, freschi e pettinati, vi devono intavolare la favola di un impegno che per giorni o settimane ha impedito loro di schiacciare un minuscolo tasto?
Perché mentono senza che, in fondo, ce ne sia bisogno?
Nella mia esperienza ci sono due o tre casi di questo genere, che non fanno fenomeno ma mi forniscono un’indicazione di massima: si tratta di persone che confondono affetti con interessi, tempo libero con tempo pieno, sentimenti con alimenti, volontarietà con contingenza, prima con dopo. Si tratta comunque di persone infelici.
Se uno ci tiene alla loro amicizia, le richiama come se giocasse un terno al lotto. Altrimenti le manda a quel paese senza passare dal via.