Renzi e il timone dei desideri comuni

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In un Paese sfibrato dalle promesse a vuoto e rimbecillito da decenni di politici imbonitori che non erano né politici né imbonitori ma solo truffaldi di quart’ordine, Matteo Renzi ha un’occasione unica: ridare senso alle parole. E lui che ne maneggia di semplici e ruffiane, può riuscire nell’impresa a patto di mantenere saldo il timone dei desideri comuni.
La politica come la conosciamo in Italia ha sempre giocato con le pulsioni del desiderio condiviso. Tutti sognano ricchezza, salute, felicità e tutti i precedenti governi hanno promesso prosperità e salvezza gratis. In realtà sappiamo, da cittadini del mondo, che per avere una minima patente di attendibilità bisognerebbe dire innanzitutto a cosa si dovrà rinunciare per ottenere quel che si è promesso: ad esempio, meno spese militari e più mostre e concerti pubblici; oppure meno tasse e più servizi sanitari a pagamento.
Qualche anno fa ci fu uno che, qui da noi, promise addirittura di abolire il cancro ancor prima dell’Imu. E non si era che a un piccolo capitolo del grande libro dei sogni non già irrealizzabili, bensì improponibili. Eppure gli credettero.
Le cazzate da noi hanno un effetto anestetico, ma solo se sono enormi. Non perdoniamo le inezie, siamo inflessibili sugli strafalcioni lessicali, ma quando si tratta di immense mistificazioni tipo quella della crisi che non c’è , tutti lì ad annuire, a lasciarsi sedurre dal fascino della panzana stratosferica. Perché se questa intercetta il desiderio comune, scatta una sorta di moratoria della buona creanza.
Ed ecco Renzi. A parte le riforme e la necessità di rimuovere le macerie sociali di un Paese che vive un’infinita sfilza di day after, il nuovo premier ha il dovere di dire innanzitutto cosa non potrà fare. La plausibilità di un progetto politico che si rispetti ruota attorno al perno di parole congrue. Non più sogni che nascondono incubi, non più padroni che si fingono operai. Ma concetti semplici per capire se siamo vivi o morti, se puntiamo alla sopravvivenza o se confidiamo ciecamente nella resurrezione.

Presunto candidato

Berlusconi che aveva detto di non volersi più candidare annuncia di volersi candidare ma Libero che vorrebbe che lui si candidasse scrive invece che non si candiderà nonostante lui smentisca assicurando che si candiderà salvo smentite dell’ultima ora.

Berlusconi e il rigore mancato

Ora sono tutti lì a inveire contro di lui perché non solo non ha mantenuto la promessa di ridurre le tasse, ma anzi è stato costretto ad aumentarle. Come se ci volesse una crisi mondiale per svelare le zampe d’argilla del nano-titano della politica moderna.
Oggi Berlusconi, dopo decenni di imbrogli, profanazioni del buon gusto, inquinamento della morale, corruzione dei costumi, rischia seriamente di perdere la leadership di un Paese senza leadership per l’unica causa di cui non ha colpa: l’agguato degli speculatori internazionali.
Eppure si capiva già dal 1994 che per ridurre la pressione fiscale non servono le comparsate nel salotto televisivo di Vespa e i faccioni turgidi di cerone sui manifesti.
Per sanare l’economia, sia quella domestica che quella nazionale, occorre solo una cosa: rigore. Non lo insegnano all’università, basta vivere in un mondo che non sia popolato solo da yesman e donne a pagamento.
Rigore, quindi. Continua a leggere Berlusconi e il rigore mancato

Le sculacciate di Bossi

Berlusconi 1: “Non mi ricandido, dopo di me il candidato premier sarà Angelino Alfano”.

12 aprile

 
Berlusconi 2: “Tremonti può essere il prossimo candidato premier”.

4 maggio

Le donne sono diverse

Perchè urlare che “le donne sono diverse” se abbiamo lottato per la parità dei sessi?

L’interrogativo se lo pone Nicole Minetti nella sua nuova rubrica su Affaritaliani. E la domanda – diciamolo – è interessante solo per il soggetto che la pone.
La Minetti è, suo malgrado, un simbolo di quest’Italia femminara e post-femminista. Rappresenta la carriera flash sviluppata attraverso le tappe più improbabili: commessa da Zara, diploma da igienista dentale, incontro con Berlusconi, coloradina in tv, consigliera regionale lombarda.
E’ insomma la dimostrazione scientifica che le donne sono diverse. Molto diverse tra loro.
Ieri nelle piazze d’Italia c’erano milioni di femmine diverse da lei e da quelle come lei. C’erano impiegate, casalinghe, artiste, professioniste che in vita loro non hanno frequentato le scorciatoie della Minetti.
Perché se è vero che le raccomandazioni non sono state inventate da Silvio Berlusconi, è anche vero che il singolare culto della premialità di cui abbiamo testimonianza guardando l’organico politico del Pdl, è lo specchio dell’ossessione sessista (sessuale?) del premier.
Nicole Minetti non è Monica Lewinski, pur essendo giudiziariamente più compromessa di lei. E sapete perché? Perchè l’uomo che l’accomuna nello scandalo non è Bill Cinton, che pure è stato maschio debole e colto nella bugia. No, l’uomo che lega la Minetti alla cronaca buia di uno Stato incrinato è un politico che spera ancora di rafforzarsi grazie alle proprie menzogne, come il cattivo qualsiasi di un cartone animato.
E’ vero che le donne sono diverse. Ormai sappiamo che ce ne sono alcune che sono più diverse. E che per pochissime di loro la parità dei sessi è un solo grottesco sinonimo di accoppiamento.

La Costituzione violata

Secondo i legali del premier, la Procura di Milano viola la Costituzione. Però questo governo ha un’idea non proprio positiva della Costituzione: infatti, ritenendola vecchia e inadatta, sta tentando diperatamente di cambiarla (stravolgerla?).
Quindi che senso ha appellarsi al rispetto di una carta che non si riconosce?

Tuut, tuut, tuut…

Il presidente del Consiglio non frequenta i salotti televisivi ad eccezione di quello di Bruno Vespa, dove va a firmare contratti con gli italiani e a spiegare perché sua moglie lo ha mollato pur essendo lui un uomo probo, ma irrompe telefonicamente in tutte le trasmissioni in cui si parla di lui e delle sue accompagnatrici (travestite da deputate, sottosegretarie, consigliere provinciali, poliziotte, infermiere, cubiste e così via), spara sul conduttore e chiude la comunicazione in attesa che un nuovo programma televisivo cerchi di parlare di lui e gli consenta una nuova scenata con imprecazioni, frizzi, lazzi e immancabile finale di telefono sbattuto in faccia, tuut, tuut, tuut…

P.S.
Tra poco, vedrete, spunterà una testimonianza di un’amica/fidanzata/governante che dirà che il premier non si è mai sognato di chiudere la comunicazione come un maleducato, ma semplicemente gli scappava la pipì, o aveva il pannolone da cambiare, oppure aveva la minestra sul fuoco.

La coerenza è un optional

In nessun paese al mondo avremmo un premier così. Per essere chiaro, voglio prescindere dall’esito dei processi di ieri e di oggi, e perfino, se possibile, dalla rilevanza penale dei fatti che sono emersi. Ma è però incontrovertibile che Silvio Berlusconi (prescrizione o no) abbia pagato o fatto pagare magistrati; così come da Palermo (ripeto: quale che sia la qualificazione giuridica di questi fatti) emergono fatti e comportamenti oscuri, di cui qualcuno (Berlusconi in testa) dovrà assumersi la responsabilità politica.

Chi parlava così era Daniele Capezzone, oggi portavoce di Silvio Berlusconi.
Quelli di Farefuturo hanno raccolto alcune sue vecchie (ma nemmeno troppo) dichiarazioni.
Nel nostro piccolo qualcosa l’avevamo messa insieme anche noi, un annetto fa.

Presidente, e ora cosa ci canta?

Lo spot sulla presunta “magica Italia” letto dal premier da piano bar è già un tormentone sul web.

Grazie a Rosa Maria di Natale.

Parole bonine

«Non vogliamo un premier che fa cucù alla Merkel. Che dice che la Thatcher da giovane era una gran gnocca. Non è neces­sario essere stoccafissi, ma nean­che giullari».

Lo diceva ieri sera Emma Bonino ad Annozero mentre io, lontano dalla tv, lo dicevo a due cari berlusconiani.
Coincidenza o pensiero diffuso?