Quando Dio si diverte

Non frequento le chiese, ancor meno le messe. Eppure ieri mi è capitato di assistere alla messa cantata nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Le voci del coro e la potenza dell’organo a canne mi hanno regalato un’emozione nuova, quella che ha a che fare con l’arte e contemporaneamente con la fede. Poco dopo sono stato in visita alla chiesa di Saint Eustache, bellissima, dove all’interno c’era una grande tavola imbandita per i poveri: gente che mangiava, beveva, sorrideva, chiacchierava a due passi dall’altare.
Secondo me, in tutt’e due le occasioni, Dio si è molto divertito.

Massì, offro io

Questa foto è già virale sul web. E io do il mio modesto contributo perché l’argomento merita.

Grazie a Giuseppe Giglio.

L’Alka Seltzer di Dio

Leggo su Livesicilia il menu del pranzo di domenica prossima con Papa Benedetto XVI e i vescovi siciliani al Palazzo arcivescovile di Palermo.
Antipasto di caponata, crocchette di latte e verdure in pastella. Primo con involtini di melanzane ripieni di pasta e risotto ai frutti di mare. Secondo: filetto in crosta. Alla fine gelato al pistacchio e mandarino, cassata, paste di mandorle e pistacchi e passito di Pantelleria.
Si vede che il Santo Padre è ben seguito da lassù: un comune mortale dopo un pasto del genere stramazzerebbe sulla tavola. Tuttavia lui ha fatto la sua rinuncia: niente vino, solo spremuta d’arancia (che in questo periodo sarà freschissima…). Meno peggio di quanto immaginassi, temevo un cappuccino da turista nordico.

Tavolo con vista

Anche per chi è abituato a vivere in riva al mare, un pranzo con vista lago fa sempre un certo effetto.

Si chiamerà Natale

Torta in faccia

di Roberto Torta

Appunti di Natale e scusate il ritardo (per riprendermi c’è voluto tempo).


Si chiama Domenico Torta. Ha 79 anni, occhi piccoli e appuntiti, baffi neri, capelli lunghi e codino. E’ mio padre, ma non gli assomiglio per niente. Prendete una tunica nera, mettetegliela e avrete un inquisitore, di quelli che mandavano le streghe al rogo.
Come ogni Natale sono qui a casa sua, seduto davanti a lui, per il solito pranzo a cui non rinuncerei per niente al mondo perché ogni anno, da quando ne ho compiuti 15, aggiunge una riga al suo testamento. Il mio è vero affetto. Finita la parte dove mi ha lasciato la casa, siamo arrivati alla riga dove sta indicando me – e solo me – unico figlio devoto, erede della villetta di Pantelleria. L’anno scorso la riga si è interrotta a “Pant… “.
Io non potrei fare più a meno di questa festa – specchio, in cui guardo gli altri e mi guardo. Guardo soprattutto la badante rumena di mio padre, 30 anni, che ha il sedere più maestoso d’Europa,  isole comprese. Si chiama Julia. L’ho già castigata: l’anno scorso, sempre a Natale. Ora è incinta, e il fatto che porti in grembo un figlio non mio è la dimostrazione che Dio esiste e merita tutto il mio rispetto.
Siamo seduti a tavola. C’è anche quella simpaticona della mia ex moglie che ha fatto qualcosa al labbro superiore. Non ha più le sue micro rughe, testimonianza imperitura della sua maestria nel chiudere e aprire la bocca: e non solo per parlare.
Regali. A me arrivano quelli più brutti. Mentre io li faccio sempre “pensati”. Dalla mia segretaria – che mi conosce benissimo – alla quale do mille euro, una lista di nomi che si riduce sempre di più. E lei compra. Cose tipo questo massaggiatore da piedi per mio padre, che per un pelo non vomita solo guardandolo, e una trousse per la mia ex consorte che mi sta dando un pacchettino. Lo apro e che meraviglia! Un pezzo di sapone alla cannella. La bacio sulla guancia e lei mi sussurra “stronzo”. Poi do il regalo a mia figlia, una sciarpa viola. Non la scarta neanche e manda sms. Ma lei è mia figlia e so che mi vuole bene.
Ci siamo. Abbiamo mangiato il pandoro e mio padre estrae il testamento.  “La villetta di Pantelleria  la lascio a Julia e a suo figlio che poi è mio figlio. Nascerà tra 4 mesi. Se dovessi morire prima, per favore, non chiamatelo Roberto”.
Infatti si chiamerà Natale.