La divisa che divide

L’articolo pubblicato oggi su Repubblica.

Qualcosa da dire sull’agente che l’altro giorno a Partinico ha firmato, mentre era in divisa, l’appello per la Lega di Salvini. Lasciamo da parte la liceità dell’atto – ci sono accertamenti amministrativi in corso – e ragioniamo su ciò che quel gesto tramanda. Certo, secondo il leghista Igor Gelarda, si tratta di affetto per il ministro: praticamente una via di mezzo tra l’ostentazione di una fede politica e il “com’è umano lei” di Fantozzi. Ma secondo la restante parte del mondo, quella che vede in un poliziotto un simbolo di unità e uguaglianza, si tratta di un atto imbarazzante o addirittura irritante. Non sono più tempi in cui ci si può consentire di confondere un atto di fedeltà al capo con uno alla patria. Se un poliziotto firma con ostentazione il sostegno a un partito, la restante parte del mondo (sempre quella lì) ha il diritto di dubitare della sua imparzialità. Perché esistono mestieri in cui è fondamentale identificarsi con l’istituzione che essi rappresentano e non con le persone fisiche che li svolgono. È una questione di credibilità.

Manganelli e poverelli

Non mi piace questa colpevolizzazione della ricchezza che in Italia tende a confondere il ricco con il disonesto e l’ho scritto. Tuttavia sono rimasto di sasso quando ho appreso che il capo della Polizia Antonio Manganelli guadagna 621.253,75 euro all’anno. Cioè più di 1.700 euro al giorno.
Ora, se in questo paese i poliziotti guadagnassero cifre calibrate sui rischi che il loro mestiere impone, nulla ci sarebbe da dire (anche se somme di questo genere per funzionari pubblici suonano un po’ stonate coi tempi che corrono). Però se un agente prende poco più di 1.300 euro al mese, cioè guadagna in trenta giorni molto meno di quanto il suo capo percepisce in 24 ore, allora qualcosa non va.
Anche qui di certo dobbiamo stare attenti a non confondere il ricco col disonesto, ma contemporaneamente dobbiamo sforzarci di evitare di identificare il povero col fesso.