Asterix e Piedone

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Asterix, il mio fumetto preferito ha compiuto 50 anni pochi giorni fa. L’anniversario mi sarebbe sfuggito se non avessi letto su Vanity Fair un articolo di Valerio Massimo Manfredi che ne celebrava la grandezza.
Asterix è stata la mia infanzia.
Ancora oggi ho il sospetto che mio padre introducesse di nascosto i fumetti a casa per leggerseli in anteprima e facesse la scena di consegnarmeli solennemente, come si fa con un regalo atteso, solo dopo averli letti e riletti. Sì, perchè a casa nostra le avventure di quello sgangherato villaggio gallico si imparavano quasi a memoria, tanto era piacevole discuterne la sera a tavola.
La mia storia preferita era “Asterix e il falcetto d’oro”, una delle prime. Però il finale di “Asterix e gli Elvezi”, con l’unico romano di tutta la saga ammesso al banchetto del villaggio (era il premio per la sua onestà), fu quello che più mi emozionò. Nel mezzo, un’allegra giostra di menhir, pozioni magiche, Sono Pazzi Questi Romani, pescivendoli che vendono pesce rancido, capi sugli scudi, artigiani ironici, prototipi di santoni ed eserciti fatti apposta per essere demoliti.
Nella loro opera magistrale René Goscinny e Albert Uderzo riuscirono a capovolgere la storia antica e a renderla spensieratamente plausibile: a 46 anni spero ancora che sia davvero esistito un villaggio bretone dove la potenza militare dell’esercito di Roma venne ridicolizzata a suon di sganassoni. Gli stessi sganassoni che tre lustri dopo avrebbero incantato un altro pubblico, quello del cinema, con i personaggi interpretati da Bud Spencer (che recentemente ha festeggiato gli 80 anni). Tutti pugni da ridere, senza mai una goccia di sangue, senza che il dolore diventasse mai vero.
Grazie a Obelix e a Piedone persino i cattivi diventavano simpatici: perché erano parte del gioco di situazioni, acrobati che sfidavano la gravità quando si beccavano uno schiaffone. E anche quando cercavano di colpire alle spalle (la mossa più vigliacca agli occhi dei bambini)  sembravano avvertire lo spettatore-lettore che la finzione più efficace è quella in cui il bene trionfa sempre perché è meglio così e il male perde senza essere torturato. E in cui, alla fine, i due nemici possono persino finire a cena attorno alla stessa tavola, con un cinghiale da sbranare e un bardo da imbavagliare affinché non rovini il banchetto coi suoi canti stonati.