Le misure non contano

Le misure non contano. Almeno quando si tratta di distanze, sul resto ho idee non pubblicabili. Quando dovete percorrere un itinerario la prima cosa che fate è guardare la distanza. E istintivamente vi comportate di conseguenza: felici se è breve, preoccupati se è lungo. E qui sta l’errore!

Esperienza di camminatore insegna che il chilometraggio è solo uno dei parametri da considerare in un cammino. Gli altri, non meno importanti, sono il dislivello, la presenza di fonti di acqua o di punti di ristoro, e soprattutto la temperatura e le condizioni meteo.
Ad esempio, la tappa che mi ha portato ad Alseno, ridente località dell’Emilia, oggi era di soli 13 chilometri. Una bazzecola. Invece erano 13 chilometri con un sole a picco, senza una sola fonte, in mezzo a lande dalla terra spaccata, con tanto di borgo fantasma, e soprattutto con sei alberi, e relativa ombra, in tutto: cioè uno ogni 2,1666 chilometri col 6 periodico.
Ovviamente non è la prima volta che mi accade una cosa del genere, ma oggi è stata faticosa (e a suo modo unica) perché il mio approdo era un B&B nel nulla della landa emiliana. La casa che mi ospita è infatti a 3,5 chilometri dal centro principale ed è circondata da campi di pomodoro e pollai: a questo proposito mi sono reso conto che oggi ho mangiato almeno due chili di pomodoro, così strada facendo, e ho incrociato due galli che facevano la ronda fuori dal loro territorio, più permalosi dei cani da guardia.
Il B&B in questione è gestito da una madre e un figlio abbastanza giovani e abbastanza strani da farmi venire in mente Psyco. Sono stati estremamente gentili non appena mi hanno visto arrivare moribondo al cancello, mi hanno offerto acqua e pomodori (uno dei due chili). Ma il colpo di scena è arrivato più tardi, quando ho chiesto informazioni su un posto in cui poter cenare. Mi hanno dato due indirizzi, a tre chilometri e mezzo di distanza (al solito, 3,5 più 3,5 fanno 7 chilometri da mettere nelle gambe). Ebbene, solo arrivato in paese ho scoperto che questi ristoranti/pizzerie non esistono più da oltre due anni: finiti, chiusi, spariti.
Non vi nascondo che ci ho pensato prima di decidere se tornare a casa al Bates Motel o dormire su una panchina, nella serena disperazione di una cittadina deserta.
Comunque il problema del ritorno lo avevo messo nel conto oltre che per le ragioni di cui sopra, anche perché gran parte della distanza da coprire è su strada provinciale stretta e senza marciapiede.
Caratteristica di questa strada: non passa quasi mai nessuno, ma le poche auto che passano vanno a duecento all’ora. Che è quello strano fenomeno per cui quando devi giocare a chi ce l’ha più lungo fai il gradasso solo se sei senza concorrenti. Soprattutto al calar del sole. Ecco il secondo comma della mia paranoia sulla strada: il buio. Per questo ho deciso di cenare a orario altoatesino, tipo alle 18,30. Con la pizza che scendendo nel mio esofago si guardava intorno spaesata chiedendo se era lì per l’aperitivo o per sbaglio.
Infine nel nulla di questa landa dove manco il cellulare prende – la Vodafone, a turno dopo i casini di Dazn, dovrà spiegare perché in questa zona dell’Emilia, quindi in piena Italia mica allo Zen di Palermo dove peraltro i cellulari, almeno quelli, funzionano benissimo, la copertura è scarsissima – un refolo di 4… 3… 2G mi ha mostrato le immagini social delle vacanze intraprese dal popolo delle mie timeline.
E la cosa mi ha fatto sorridere perché ho imparato che l’indole delle persone, i loro gusti, persino la loro fantasia, si misurano da come trascorrono le vacanze. E, va detto, non c’è un modo giusto e uno sbagliato. C’è un ambito, c’è una esigenza, ci sono ragioni sociali e ragioni di buon gusto. Come la cultura, la cui fruizione ha mille sfaccettature, il viaggio delle vacanze rispecchia chi siamo e soprattutto cosa ci aspettiamo di diventare.
Detto questo, che minchia ci fate tutti a Pantelleria con l’etichetta “wild wild wild” nelle vostre storie social?

6-continua

Le altre puntate qui.

A questo argomento è dedicato il podcast in due puntate “Cammino, un pretesto di felicità” che trovate qui.

Si chiamerà Natale

Torta in faccia

di Roberto Torta

Appunti di Natale e scusate il ritardo (per riprendermi c’è voluto tempo).


Si chiama Domenico Torta. Ha 79 anni, occhi piccoli e appuntiti, baffi neri, capelli lunghi e codino. E’ mio padre, ma non gli assomiglio per niente. Prendete una tunica nera, mettetegliela e avrete un inquisitore, di quelli che mandavano le streghe al rogo.
Come ogni Natale sono qui a casa sua, seduto davanti a lui, per il solito pranzo a cui non rinuncerei per niente al mondo perché ogni anno, da quando ne ho compiuti 15, aggiunge una riga al suo testamento. Il mio è vero affetto. Finita la parte dove mi ha lasciato la casa, siamo arrivati alla riga dove sta indicando me – e solo me – unico figlio devoto, erede della villetta di Pantelleria. L’anno scorso la riga si è interrotta a “Pant… “.
Io non potrei fare più a meno di questa festa – specchio, in cui guardo gli altri e mi guardo. Guardo soprattutto la badante rumena di mio padre, 30 anni, che ha il sedere più maestoso d’Europa,  isole comprese. Si chiama Julia. L’ho già castigata: l’anno scorso, sempre a Natale. Ora è incinta, e il fatto che porti in grembo un figlio non mio è la dimostrazione che Dio esiste e merita tutto il mio rispetto.
Siamo seduti a tavola. C’è anche quella simpaticona della mia ex moglie che ha fatto qualcosa al labbro superiore. Non ha più le sue micro rughe, testimonianza imperitura della sua maestria nel chiudere e aprire la bocca: e non solo per parlare.
Regali. A me arrivano quelli più brutti. Mentre io li faccio sempre “pensati”. Dalla mia segretaria – che mi conosce benissimo – alla quale do mille euro, una lista di nomi che si riduce sempre di più. E lei compra. Cose tipo questo massaggiatore da piedi per mio padre, che per un pelo non vomita solo guardandolo, e una trousse per la mia ex consorte che mi sta dando un pacchettino. Lo apro e che meraviglia! Un pezzo di sapone alla cannella. La bacio sulla guancia e lei mi sussurra “stronzo”. Poi do il regalo a mia figlia, una sciarpa viola. Non la scarta neanche e manda sms. Ma lei è mia figlia e so che mi vuole bene.
Ci siamo. Abbiamo mangiato il pandoro e mio padre estrae il testamento.  “La villetta di Pantelleria  la lascio a Julia e a suo figlio che poi è mio figlio. Nascerà tra 4 mesi. Se dovessi morire prima, per favore, non chiamatelo Roberto”.
Infatti si chiamerà Natale.