Le notizie che piacciono

C’è un aspetto molto interessante, e poco approfondito, nell’ormai certo passaggio dalla carta al web di alcuni giornali. Riguarda il termometro delle notizie.
Chi ha lavorato o lavora nei giornali sa bene quanto eterea sia stata nei decenni la misurazione del gradimento degli argomenti. A me capitava di sentire dire a un direttore: “Questo piace… questo invece no”. “E chi lo dice?”, chiedevo. “Me lo dicono le persone che incontro al bar”, era la risposta (con alcune varianti: “Che incontro per strada, all’edicola, dal mio amico gommista, al ristorante…”).
Erano chiaramente dati privi di qualunque fondamento statistico in un periodo in cui era esclusivamente la cronaca, soprattutto la nera e la giudiziaria, a spostare copie: un omicidio valeva un tot, una sentenza o una retata un altro tot, e così via. Questa era la sola certezza, il resto erano balle.
Le notizie oggetto di misterioso e presunto gradimento assomigliavano a scommesse o, peggio, a esercizi di sterile presunzione. I direttori dell’epoca si muovevano prevalentemente nel campo delle sensazioni, non tutti con la consapevolezza di camminare su un terreno minato. Infatti sappiamo com’è andata a finire: chi tra loro ha saputo innamorarsi meno delle proprie convinzioni ha raggiunto risultati migliori degli altri.
Con il passaggio al web, e la conseguente dismissione della carta, il sentimento delle notizie non varrà più nulla. E’ questa la rivoluzione per le redazioni. I dati di lettura, di tempo di permanenza su un testo danno – e non da oggi –  precise indicazioni su ciò che piace e ciò che non piace: qualunque blogger, anche il penultimo arrivato, lo sa bene. Le edizioni dei giornali online, al di là degli aspetti di praticità di cui abbiamo più volte parlato, contribuiranno alla caduta di molti alibi: se le scelte di impaginazione, di titolazione, di scrittura saranno quelle giuste lo si capirà subito. Senza attendere che il direttore torni dal bar o da una visita all’amico gommista.

Scherzi e notizie

Da tempo disquisiamo qui e altrove del peso e del ruolo di Twitter sulla gestione delle notizie. Ieri si è verificato il tipico cortocircuito tra verità e finzione, o peggio tra il sentito dire e il dire sentitamente. In breve, Vanity Fair ha scambiato lucciole per lanterne imbastendo un articolo su quello che in realtà era uno scherzo via Twitter di Gerry Scotti.
Il web, che è regno di superficialità ma anche di grandi approfondimenti, nulla perdona e nulla regala. Aggravante: sulla carta stampata le cazzate si dimenticano prima che su internet, perché è vero che scripta manet ma è anche vero che dipende dal supporto al quale sono affidati gli scritti. La carta, un tempo considerata il più sicuro custode delle memorie, cede il passo all’impalpabile testo online. Dove nulla si distrugge persino se poco si crea.
Dei giornali nulla rimarrà, ed è ormai questione di anni. Del web ci sara sempre una cache da rintracciare, copiare, diffondere.

Facciamo un esperimento

Provate a guardare i telegiornali con un occhio diverso. Incasellate i servizi e le notizie che vi vengono somministrati in un elenco che prevede due sole colonne: agitazione e serenità. Non lasciatevi distrarre dal contenuto oggettivo del servizio (cioè non superate la distinzione tra cronaca bianca e cronaca nera, ad esempio), ma andate direttamente alle vostre sensazioni.
E’ molto probabile che, alla fine, troverete più ristoro in un arresto che in una recensione cinematografica perché è la sensazione che conta, non il mero contenuto. L’effetto tranquillizzante del male diffuso sconfitto dalle forze del bene è infinitamente più efficace del dubbio instillato dal male con nome e cognome incalzato dalle truppe malmesse del bene. L’arresto di un vecchio che insidia i bambini ai giardinetti si insinua nell’archivio delle emozioni in modo più rapido e istintivo rispetto all’inchiesta su un presidente del consiglio che corrompe chiunque possa essergli utile.
La rassicurazione della cronaca sta nella consapevolezza che ci sarà sempre – così si spera – un lieto fine. La verità della cronaca sta invece nella rassegnazione di un’attesa per un lieto fine che magari non arriverà mai.
I telegiornali degli ultimi tempi – specie quello di Minzolini – sono pieni di quel tipo di rassicurazioni.  Provate per sbalordirvi.

Tempo perso?

Si vabbè, noi ancora qui a interrogarci sul ruolo dei giornali… Guardate cosa dice questo studio Usa su come gli americani assumono notizie.

Via Ppr.

Non è un paese per ricchi

Scattata in un paese lungo il lago di Como.

Se il cretino ha mano libera

Si continua a dibattere sul valore di internet e delle notizie che viaggiano nel web. Discussione oziosa, secondo me: le informazioni utili e i cronisti e/o blogger bravi si distinguono dalle panzane e dai propalatori di panzane, qualunque sia il supporto utilizzato.
Sono temi sui quali, in questi anni, ci siamo confrontati sino allo sfinimento.
Ora sarebbe piuttosto il caso di discutere della violenza verbale che anima i commentatori di forum, blog e siti vari. Come se la presunta democrazia del web autorizzasse chiunque a scavalcare la cancellata del vicino per prenderlo a schiaffi solo perché i fiori del suo giardino hanno un colore che non si intona con quello della casa.
Non so cosa ne pensiate, ma io ritengo che questo sia un tema importante: i cretini non possono prendere il controllo della situazione solo perché il mezzo telematico dà loro mano libera.

Chi è il testimone?

Via Pazzo per Repubblica.

La notizia più letta del mondo

Per la serie “incredibile ma vero” rimbalza sul web il risultato di una ricerca sulle notizie più lette del decennio.
E sapete qual è l’argomento che ha tenuto banco dal 1999 a oggi?
L’11 settembre? Sbagliato.
La guerra contro Saddam? Sbagliato.
La recessione economica?  Sbagliato.
La risposta esatta è: l’ascesa politica ed economica della Cina.
Uno si immagina tutto un mondo di lettori che si sveglia – per dieci anni! – e si addormenta con lo stesso pensiero: che si dice in Cina oggi?
Chissà se qualcuno dei ricercatori si sarà chiesto quanto influisce nella domanda globale di informazioni il fatto che la Cina sia il paese con la popolazione totale più numerosa del pianeta. Insomma, basta che la maggioranza dei cinesi faccia qualcosa per assurgere a fenomeno.
Ci vuole un team di ricercatori per capirlo?

La verità

L0illustrazione è di Gianni Allegra
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Quelli di PolitiFact, emanazione diretta del St. Petersburg Times, spendono gran parte delle proprie energie nell’Obameter, un metodo analitico per verificare le promesse del presidente degli Stati Uniti, Barak Obama.
Fatte le dovute proporzioni, anche il giornale per cui lavoravo adottava un sistema lontanamente simile per vagliare le promesse degli amministratori. Solo che alla fine, quando si tiravano le somme, non c’era mai un bocciato: al limite si inscenava una ramanzina, finta quanto bastava per giustificare, il giorno dopo, un’intervista riparatoria.
Se ci fosse stato un campionato delle verifiche senza giudizio, quel giornale avrebbe vinto facendo giocare soltanto le riserve.
La specificità italiana del problema della verità ovviamente non è soltanto del quotidiano nel quale lavoravo, ma di tutta la stampa.
E a leggere la notizia di PolitiFact sale in bocca il sapore amarostico del grottesco.
In America la verità trova comunque una sua unità di misura: c’è ancora modo di dire pubblicamente che quel tale è un bugiardo e deve tornarsene a casa, quell’altro è una carogna ma è sincero, quell’altro ha mentito per un motivo più o meno plausibile, quell’altro ancora è un farabutto e basta. Non ci sono santi (l’America è – al contrario – il diavolo per molti) però non ci sono nemmeno santificazioni per decreto.
Dalle nostre parti è molto diverso. Un Obameter morirebbe per asfissia nel giro di poche ore. Il potere politico preminente inviterebbe il popolo a diffidare di chi misura il valore delle azioni di governo e anzi esorterebbe gli inserzionisti a non finanziare una simile attività sovversiva.
In America invece chi ha un’idea del genere vince il premio Pulitzer.

Astenersi perditempo

Senza troppi giri di parole: ho l’incarico di reclutare una piccola squadra di giornalisti – tra deskisti e collaboratori esterni – per un nuovo progetto editoriale che riguarda Palermo.
Per evitare telefonate notturne, improvvise materializzazioni di ex-ex-ex amici, beghe di corporazione, restringo il campo dell’offerta.
Cerco giornalisti con esperienza redazionale, cioè persone che sappiano pesare le notizie, scriverle e titolarle. Professionisti rapidi nell’esecuzione che abbiano un’agenda telefonica ben curata: per loro ci sarà una retribuzione fissa mensile.
Cerco anche giovani che vogliano farsi le ossa e che mostrino di avere passione: per loro ci sarà la possibilità di avere una vetrina prestigiosa.
Ognuno col suo bagaglio di esperienza e/o di passione, senza “padrini” e senza possibilità di saltare la coda: come si faceva una volta, almeno dalle mie parti.
Cerco artigiani della parola che vogliano stupirmi a tal punto da inventare uno spazio tutto per loro.
Chiunque voglia proporsi può inviare una e-mail.
Astenersi perditempo.