La privacy del moscerino

Perché gli scienziati stanno anni a violare la privacy di un moscerino? Perché allevano topi? Perché studiano una particolare tartaruga? Perché per ricerche che vanno dallo scorpione africano a una nuova navicella spaziale spendiamo un botto di soldi? Perché ci sono laureati pagati per scrutare il cielo di notte?
C’è una risposta breve che riguarda il nostro nuovo modo di comunicare: perché la scienza è il contrario di un social network in quanto guarda lontano, non è interessata alla compulsività e cerca dove nessuno ha trovato. Quindi in un mondo stratosfericamente diverso da una qualsiasi timeline.

La risposta più lunga invece riguarda la lungimiranza e la caparbietà. La dottoressa Katalin Karikò e il dottor Drew Wiessman iniziarono le loro ricerche sull’Rna messaggero una ventina di anni fa, quando il Covid non esisteva neanche nei nostri incubi peggiori. Nel 2023 hanno ricevuto il premio Nobel per una scoperta che fecero nel 2005. La loro ricerca, come quella di moltissimi altri scienziati, non si occupava di cose pratiche (brevetti, applicazioni immediate) ma di conoscenza e di comprensione dei fenomeni naturali. Funziona così nella scienza, lo sa chi ha studiato come sono stati scoperti i raggi X o gli antibiotici.
Guardare dove gli altri non hanno trovato.
Sopportare chi ti accusa di perdere tempo.
Schivare chi cerca la monetizzazione immediata.
Questo fanno gli scienziati e gli innovatori in generale, ma soprattutto gli scienziati, che stanno agli antipodi dei nuovi arroganti di cui parlavamo qualche settimana fa. Molto dobbiamo a questi discreti signori che spiano moscerini, allevano topi, seguono la vita di una tartaruga, tampinano lo scorpione africano perché hanno intravisto qualcosa. Sono persone che non solo hanno una testa (!!!), ma ce l’hanno che rimbomba di domande: come? Perché? E nel cercare una risposta costruiscono un mondo che può illudersi di essere migliore (dove chi studia sta al timone e chi non sa nulla prende ordini senza fiatare).

P.S.
L’ultima parentesi mi è scappata dalle mani, ma fate finta di niente…

Più ingiustizia per tutti

Da decenni viviamo in una quarta dimensione in cui vige, indecente, l’illusione che tutto sia possibile se solo lo vogliamo. Cittadini al governo come liberazione dalla disonestà della politica, scienziati del web che deridono scienziati delle università, promulgatori della violenza come atto di nonviolenza, elargizioni a pioggia a chi non ha intenzione di lavorare e se lavora lo fa in nero (in modo da avere un doppio stipendio), dilettanti sul ponte di comando e professionisti umiliati a vogare, premialità senza merito, ultima parola al più prepotente, applausometri dell’odio, killer della speranza travestiti da monaci della Nuova Verità Rivelata.  
Siamo circondati da parole finte, drogate, ingannevoli.
Si tenta in ogni modo di farci credere che la verità sia anfibia, quando anche un bambino sa che così non può essere: la verità anfibia è un inganno sopra e sotto il livello del mare. È la violenza strisciante del “sì però”: di fronte a un evento incontestabile e indiscutibile nel quale c’è da ammettere solo una sconfitta, si erge il totem del “sì però” a rimestare nelle certezze per alzare polvere o impastare fango.
Non è vero che è sempre stato così. Così come non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. Però è vero che il livello di mistificazione politica e sociale negli ultimi trent’anni è cresciuto esponenzialmente.

Per questo un Nobel come quello al professor Giorgio Parisi (tra parentesi un uomo bellissimo nel suo candore fisico e intellettuale) oggi è una pietra nello stagno ghiacciato.
Perché provoca e rompe, consola e squassa.
Perché ci accarezza i pensieri con un’antica certezza: il merito conta ancora, il merito vince, il merito non è demerito. E andando controcorrente rispetto alla politica maggioritaria di questo paese, ci dice che un fisico che si è fatto un mazzo così per tutta la vita può ancora valere di più dell’improvvisatore social che decide di farsi un nome sposando idee balzane, salendo su palchi balzani, contando su intervistatori balzani e conquistando l’intestino retto dell’Italia.
Servono unità di misura e metri attendibili.
Serve una dittatura del merito in cui sta avanti chi sa. Gli altri dietro (possibilmente in silenzio).
Se dare la parola a tutti significa che tutti possono ciarlare impuniti, serve un po’ di ingiustizia: meno libertà, anzi “libertà”, per tutti.

Questo significa per me il Nobel a un grande fisico italiano nell’anno di grazia 2021.

Il non perdono e le cicatrici dell’anima

salvatore quasimodoLa decisione del figlio di Salvatore Quasimodo di vendere il premio Nobel del padre per un’antica e irrimediabile offesa affettiva farà storcere il muso a molti. A me invece sembra un’incantevole e poetica vendetta, solidamente giustificata. La vicenda è semplice nel suo banale congegno: invitato alla cerimonia di consegna dei Nobel, Quasimodo non andò a Stoccolma con moglie e figlio ma con un’altra donna (che tra l’altro non fu ammessa in sala e alla cena di gala perché sconosciuta al cerimoniale). Continua a leggere Il non perdono e le cicatrici dell’anima

Non ci sono più i morti di una volta

Non esistono più le grandi scomparse di una volta, quelle morti che facevano un buco nella storia.
Fate una prova, elencate gli scrittori, i musicisti, i cantanti, i pittori che non ci sono più e cercate di misurare il grado di mancanza che sono riusciti a generare con la loro dipartita.
Oggi mi pare che tutto sia diverso. Dico mi pare perché è ovvio che siamo in un ambito in cui vige la dittatura della soggettività.
Di fatto, per quel che è la mia percezione, Steve Jobs se n’è andato qualche giorno fa e, a parte qualche fiore davanti a un Apple store, il dibattito è tutto sulla sua eredità tecnologico-sociale e sulle colpe degli iPhone addicted. Due anni fa è morto Michael Jackson e se ne parla ancora solo perché c’è un mistero sulla sua fine. La scorsa settimana hanno dato il Nobel per la medicina a uno che era morto tre giorni prima.
Storie diverse, ovviamente. Ma con un sottotesto comune. La ferita si rimargina presto, come per effetto di una polvere miracolosa.
Quando mori Jimi Hendrix, la sua Fender “mancina” divenne un simbolo del rock. Leonardo Sciascia è ancora un autore da bestseller. La grandiosità di Antoni Gaudì non è stata offuscata dalla sua fine grottescamente misera.
Insomma il personaggio oggi non vive più nel mito delle sue opere, ma al contrario sono le sue opere a seppellirlo.

Uno spunto di riflessione

Scrive Christian Rocca:

In soli due anni, il Nobel per la Pace
ha triplicato il numero dei soldati americani in Afghanistan;
è ancora in Iraq;
ha bombardato circa 200 volte il Pakistan;
sta bombardando la Libia.
(E ha fatto bene)

Siamo ancora in grado di cedere ingenuamente alla distinzione tra buoni disarmati e cattivi con le bombe in tasca o le pistole in pugno?

Il Nobel inconsapevole

Mi fa una certa impressione leggere le notizie che arrivano dalla Cina, dove c’è un premio Nobel in galera che non sa ancora di essere stato premiato e dove il governo ha messo il filtro a tutte le comunicazioni. Anche (e soprattutto) quelle private.
Il paese più popolato del mondo si batte quindi per sterilizzare l’immensa catena neuronale del suo cervello collettivo. E-mail, sms, comunicazioni via web sono controllate con un intento che se non fosse reale, sembrerebbe figlio di una verosimiglianza zoppicante: questo povero Liu Xiaobo non deve sapere di essere un simbolo eletto da quella porzione di mondo che non è il suo paese (con qualche eccezione tipo Cuba).
La vicenda, in piccolo, mi ricorda la storia di un mio amico di infanzia che, coinvolto in una inchiesta giudiziaria, aveva una sola preoccupazione: tenere all’oscuro di tutto gli anziani genitori. Non era ancora epoca di internet quindi l’operazione non era impossibile.
Dato che la notizia del suo coinvolgimento era sulla cronaca di Palermo del Giornale di Sicilia, lui pensò bene – nottetempo – di partire per la Valle dei Templi per procurarsi un’edizione di Agrigento che fece trovare a casa dei suoi la mattina dopo. Poi andò sul terrazzo e staccò il filo dell’antenna della tv. Infine fece sparire l’unica radio che c’era.
Trattenne il fiato per 48 ore e gli andò bene. In fondo l’inchiesta in cui era coinvolto era roba da poco.

Il Papa, la vita e il suo contrario


Il Vaticano ha attaccato il nuovo premio Nobel, il pioniere della fecondazione in vitro. E’ un ulteriore passo verso lo scollamento definitivo della Chiesa dal mondo dei vivi. L’anatema equivale, senza incorrere in complessi sillogismi, al seppellimento di una realtà di figli, esseri viventi, nati grazie al progresso della medicina di cui Robert Edwards è alfiere.
Questa classe di porporati, inopinatamente catapultati in un secolo che fingono di non conoscere, ritiene di dover scacciare il demonio da ogni laboratorio: per questi oscuri figuri, il seme del male sta nei vetrini e nelle provette, mica nelle mutande di certi preti.
Adesso ogni cattolico è legittimamente autorizzato a chiedere al Papa, o a chi blatera per lui: sei per la vita o per il suo contrario? Come riesci a essere contemporaneamente contro l’aborto e contro il suo contrario? Come fai a propalare tutto e il suo contrario?
Lo so, queste domande fanno un po’ slogan da partito dell’amore, però Ratzinger non è personaggio da sottovalutare solo perché c’è un Berlusconi che racconta più barzellette di lui.

Papale papale

Non so voi che ne pensate, ma a me ‘sta cosa di candidare internet al Nobel della pace mi pare ‘na scemenza.

Modestie

berlusconi-obama

Binario

di Daniela Groppuso

Obama, a proposito di se stesso: “Il nobel? Non sono sicuro di meritarlo”.

Berlusconi, a proposito di se stesso: “Credo di essere di gran lunga il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni”.

Nobel

barackobama

La Storia ha i suoi tempi. Non vi pare che con l’ottimo Obama si stia correndo un po’ troppo?