La barzelletta che non fa ridere

Se non fosse realtà sembrerebbe una barzelletta. E se fosse una barzelletta non farebbe ridere.
La vicenda della norma salva-Fininvest contenuta nella finanziaria ricorda l’escamotage della lima dentro la torta da consegnare al detenuto che sta progettando l’evasione. Solo che poi, forti della debolezza di tutta la messinscena, gli stessi che ci avevano provato sono rimasti di stucco nel vedere il loro capo mettere da parte, e anzi ritirare, il codicillo incriminato.
Come se il detenuto riconsegnasse la torta con tutta la lima al secondino.
Una barzelletta che non fa ridere, appunto.

Lo Strega che non strega

 Poche parole

di Raffaella Catalano

Ieri mi sono inflitta l’annuale autoflagellazione e ho seguito il Premio Strega in tv. Tutto come da programma. Si mormorava da tempo che ci sarebbe stato un testa a testa tra “Acciaio” di Silvia Avallone e “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, e così è stato. Poi Pennacchi ha vinto. Un tomo Mondadori/Berlusca per la quarta edizione consecutiva. Anche qui nessun “oohhh” di sorpresa. L’unico ad accennare a una presunta combine, Paolo Sorrentino. Ma i benpensanti diranno, come sempre: l’invidia di un perdente. Che però, aggiungo io, scala le classifiche.
A parte questa (solita) solfa, ne ho notata un’altra, non meno ricorrente: i brani dei libri letti durante la serata finale, da quando ho ricordi, sono sempre scampoli di temino di scuola media. Quattro-righe-quattro, insulse, piatte e senza stile.
Magari i romanzi in cinquina allo Strega sono tutti immancabilmente banali. Chissà. Oppure si fa un’accurata selezione per declamarne in Rai gli stralci peggiori. Ri-chissà. E una deleteria stoccata la assestano anche le interpreti, attricione decotte, attricette tettute o sciacquine parvenues che siano: leggono i contemporanei con un’enfasi che risulterebbe demodé persino in un teatrino amatoriale di provincia. Se in finale ci andasse un redivivo Dante sporgerebbe denuncia per danni. A sé e soprattutto alla voglia di leggere.

Se il giornalista non sa neanche copiare

Leggo su Repubblica che a Palermo vendono l’iPad da 64 GB wifi 3G a 699 euro (al Mondadori Multicenter). Siccome è lo stesso modello che aspetto io e che è stato acquistato online a 799 euro, salto in moto e mi precipito in negozio. Penso, da buon parsimonioso, che un risparmio di cento euro val bene una disputa con l’Apple Store internettiano.
Invece, arrivato in loco, la commessa mi gela: “E’ un errore di Repubblica, il nostro prezzo è quello imposto da Apple, 799 euro. Ovviamente”.
E’ quell’ovviamente che mi gela.
Ovviamente il collaboratore di Repubblica non sa né leggere né tantomeno copiare. Altro che riassuntini

Il lettore non è imbecille per default

L’ultima questione nazionale innescata dal quel mattacchione del presidente del Consiglio è adesso una questione tra Saviano e la Mondadori. Cioè tra un autore che può scegliere a casaccio (nel mondo) un editore con cui pubblicare col miglior profitto, e una casa editrice che può scegliere a casaccio (nel mondo) un autore da pubblicare col miglior profitto.
E’ la degna conclusione italiana di una polemica in cui chi lancia la pietra è anche stagno e acqua.
Il problema – mi pare – non è Roberto Saviano, che apprezzo per tutto ciò che non è  Gomorra, ma un principio sacrosanto: quello del buon gusto.
I presidenti Berlusconi, padre e figlia, rivendicano il diritto di critica: l’uno in chiave istituzionale, l’altra in chiave anagrafico-aziendale.
Lo scrittore ne fa una questione di principio. Della serie: ok mi pagano, ma io sono nudo e puro.
Nello scenario letterario italiano il suo verbo conta più di quanto pesi sulle borse internazionali una riforma economica di Obama. Quindi tutti lì a strattonarlo: vieni con noi, passa dalla nostra parte, abbandona le file del nemico…
Il buon gusto, dicevamo.
Quando sono in atto operazioni milionarie, come quelle di Gomorra, bisognerebbe inventarsi una zona franca.

Prendete fiato perchè la frase che segue è lunga e contorta (e implora perdono per la strage di relative).

Ci vorrebbe uno spazio di compensazione in cui lo sventurato (e)lettore dovrebbe trovare la serenità di chiedersi come e perché il presidente del Consiglio che è padre del presidente della Mondadori arriva a stigmatizzare il successo di un romanzo edito da sua figlia che lo difende a seguito di un attacco dell’autore del romanzo che si erge a tutore della libertà contro quella stessa azienda-famiglia che ha pubblicato il suo romanzo rendendolo famoso nel mondo.

E poi dicono che lettori ed elettori sono in calo.

P.S.
Silvio Berlusconi era Silvio Berlusconi molto prima che Roberto Saviano diventasse Roberto Saviano.
Traduco: al momento di scegliere con chi pubblicare
Gomorra, lo scrittore sapeva benissimo con chi si univa. Io e molti altri lettori, che pure non abbiamo nessuna simpatia per Berlusconi, non gliene abbiamo mai fatto una colpa.
Però,
lettore non è sinonimo di imbecille.

La prossima volta, una telefonata

di Tanus

Ecco l’ultima uscita del capo: la mafia e la camorra sono famose grazie a “La Piovra” e a “Gomorra”.
Peccato che, come gli ha ricordato Michele Placido, le sue reti abbiano contribuito all’infame causa con fiction come “Il Capo dei Capi” e “Ultimo”.
Per quanto riguarda “Gomorra” non passerà inosservato un dettaglio: il libro è edito da Mondadori.
E sapete di chi è la Mondadori? Sicuramente .
Insomma anzichè una pomposa dichiarazione pubblica sarebbe bastata una telefonatina a Piersilvio e Marina.

La sabbia che resta

La foto è di Daniela Groppuso
La foto è di Daniela Groppuso

di Giacomo Cacciatore, Raffaella Catalano, Gery Palazzotto

Lo scenario: eravamo in vacanza alle Eolie, l’estate scorsa. Tramonti in terrazza, con il mare davanti: Panarea e Stromboli di fronte e Lipari a destra. Aperitivi a portata di mano. Ci siamo abbandonati sulle sdraio e abbiamo cominciato a cazzeggiare. Su un pelosissimo psicologo indiano che fa le sedute in kaftano rosa, su un avvocato in pensione con l’eloquio demodè e la denuncia facile, su un giornalista sgrammaticato che inciampa nello scoop della sua vita, su un magistrato che non si godrà mai la sua ultima vacanza.
L’esito: a giugno uscirà “Salina, la sabbia che resta”, un romanzo che avrà due editori, Dario Flaccovio per le librerie e Mondadori per l’edizione da edicola.
La prima notizia, oltre a quella più scontata, ossia che si tratta (almeno per noi) di una bella storia con dei personaggi divertenti, è che lo firmiamo tutti e tre.
La seconda notizia, in risposta alla domanda che più spesso i nostri amici ci pongono quando parliamo di questo romanzo, cioè “come avete fatto a scrivere in gruppo?”, è che non lo sappiamo come abbiamo fatto, ma ci siamo divertiti moltissimo.

Un giallo coi baffi

Maurizio Costanzo è il nuovo direttore della collana “Il giallo Mondadori”.

Chi mente sui libri?

"Il libro della giungla", foto di Cinzia Zerbini (da Flickr)
"Il libro della giungla", foto di Cinzia Zerbini (da Flickr)

Ieri al Tg1 delle 13,30 Gian Arturo Ferrari, direttore generale della divisione libri del gruppo Mondadori, ha detto che il settore librario non risente della crisi economica. Il parere è diametralmente opposto a quello di altri operatori del settore, agenti ed editor (peraltro non intervistati dal Tg1), che rimbambiscono gli autori con previsioni catastrofiche.
Ora dal momento che il sottoscritto (come molti protagonisti di questo blog) campa di scrittura, sarebbe utile scoprire chi è che dice bugie.

Una semplice vendetta

Dietro il primo caso della storia moderna in cui un primo ministro stila un programma politico in base alle sue diatribe familiari, c’è probabilmente meno strategia di quanto si possa pensare.
Silvio Berlusconi ha accusato la moglie Veronica Lario di essersi lasciata ubriacare dalla stampa di sinistra. Molti commentatori hanno letto nelle dichiarazioni della signora un’insofferente stanchezza per le gesta napoleoniche di un consorte umanamente piccolo piccolo.
A voler volare rasoterra invece c’è solo una parola che racchiude tutto: vendetta.
Vendetta per un’unione consacrata solo alle sempre più rare foto ufficiali, magari da mostrare a Gheddafi su carta patinata con marchio Mondadori.
Vendetta per l’impossibilità razionale di sperare in un divorzio che non pregiudichi la serenità (?) della guida di una nazione.
Vendetta per una condotta – quella del consorte – che travalica in modo grottesco i limiti dell’età biologica.
Vendetta per quello che i giornali chiamano gossip, ma che invece, fatta la tara di caste e ruoli, è rubricabile come tipico naufragio sentimentale tra persone ormai mature.
Vendetta per salvare il salvabile dal tritacarne mediatico: figli, porzioni di famiglia, onorabilità, faccia.
Non credo a chi intravede un disegno strategico (magari orchestrato dallo stesso marito-condottiero-higlander) dietro le sortite di Veronica Lario.
Il suo è un archetipo di genuina, radicale, dolorosa opposizione domestica non addomesticata.