Una maratona in famiglia

L’ordine lo ha impartito mia moglie in pieno agosto: il prossimo anno corriamo una maratona insieme. Ed io, che sgambetto da qualche decennio, sono rimasto a bocca aperta davanti alla sua determinazione. Anche perché lei, nonostante sia una sportiva di ottimo livello, non si era mai cimentata nella corsa (è forte, ad esempio, nel nuoto e mi infligge certe umiliazioni di cui vi parlerò un’altra volta).
E’ così che abbiamo cominciato a preparare la nostra maratona: il sogno è New York 2012, ma qualcosa prima la faremo. Continua a leggere Una maratona in famiglia

Soldi e fegato

“Ma un uomo che vuole divorziare, può arrivare a uccidere?”

Lorella Landi, a L’estate in diretta pone questo inquietante interrogativo. Senza tener conto dell’ambito in cui la domanda è stata posta, proviamo a suggerire delle risposte.

Sì, se il prete, durante la cerimonia delle nozze, avesse sbagliato il nome della moglie.
No, appena riconquistata la libertà sarebbe da scemi farsi incarcerare.
Sì, se si avvertisse una pulsione omosessuale nei confronti di Massimo Picozzi.
No, se solo si riflettesse sulla vacuità della domanda.
Sì, se si lavorasse in polizia e si volesse approfittare di un caso da risolvere brillantemente.
No, se si avessero i soldi per pagare un patto con la moglie, ma mancasse il fegato per comprare un killer.

La domanda sull’abbigliamento/2

Per dovere di cronaca registro un’importante variante a proposito della famosa domanda sull’abbigliamento di cui abbiamo parlato qualche tempo fa da queste parti.
Stessa scena.
Mia moglie si presenta a me con due scarpe spaiate e chiede: quale ti piace di più?
Io la guardo con la solita apprensione perché so che ho il 50 per cento di probabilità di dare la risposta sbagliata.
“Quella”, dico indicando la scarpa di sinistra.
E lei se ne esce con un colpo di teatro, chiedendo: “Perché?”.
Ecco, la richiesta di motivazioni ufficiali dinanzi a un giudizio estetico è per me una rivoluzione copernicana.

Il colpevole perfetto/2

C’è un inaudito accanimento mediatico nei confronti del marito della povera Melania Rea, trovata morta il 20 aprile scorso in un bosco del Teramano.
Salvatore Parolisi, così si chiama il vedovo, è stato eletto come vittima ideale dal Sommo Sistema Accusatorio Parallelo che macina giudizi sommari esclusivamente a favore di telecamera o di taccuino.
Non sono un esperto della vicenda, però per giudicare mi basta astrarmi dalla foga giornalistica e constatare i fatti: questo signore è stato interrogato per ore e ore, vivisezionato nei suoi alibi, com’è giusto che sia. L’altra sera, addirittura, Porta a Porta ha imbastito un’intera puntata sul fatto che questo povero diavolo era rimasto in questura per otto ore di seguito. Chi ha visto la puntata saprà dipingere meglio di me la delusione rabbiosa di Bruno Vespa quando  si è reso conto di aver imboccato la strada sbagliata (almeno per quella sera): la giornalista inviata in loco, davanti al luogo in cui si svolgeva l’interrogatorio di Parolisi, è stata premiata come Vittima Sacrificale del Ventennio (unico precedente illustre, Paolo Brosio davanti al tribunale di Milano negli anni Novanta).
Il resto, almeno fino a ora, è tutto un assemblaggio di nulla: Parolisi interrogato, Parolisi si presenta con un sacchetto di plastica, Parolisi prende il caffé in procura di notte (giuro!), Parolisi non è indagato e resta parte offesa (come se uno al quale hanno ammazzato la moglie usurpasse questo triste status). Il tutto con titoloni su giornali e tg.
E perché tanto accanimento?
Perché c’è un sottotesto borghese e perbenista che andrebbe snocciolato senza ipocrisie.
Salvatore Parolisi è un adultero. E vabbé, direte voi, in questo Paese potrebbe essere quasi un titolo di merito. No.
Parolisi è un adultero debole, perché è vittima di una tragedia, perché appartiene alla oscura provincia italiana e perché il suo caso non può essere leva per nessuna istanza politicamente utile.
E’, insomma, un presunto (molto presunto) colpevole comodo per salire di grado nella scala della colpevolezza collettiva: un criminale plausibile perché fedifrago senza ragion di Stato.
C’è una differenza tra gli scopaioli di rango (o di censo eletto)  e quelli qualunque: i primi, se scoperti, pensano a chi dovranno farla pagare; i secondi pensano a chi gliela farà pagare.

Ai confini della realtà

Nel lungo elenco di fenomeni inspiegabili e/o soprannaturali sui quali si interrogano fior di scienziati dovrebbe occupare un posto di riguardo il comportamento che mia moglie adotta, due volte alla settimana, la sera prima che venga la nostra collaboratrice domestica.
Dopo cena infatti, a casa scatta l’allarme pulizia. Tutto deve essere lindo, soprattutto in cucina. Io inutilmente cerco di spiegare che certo non mi sognerei di lasciare i piatti sporchi, ma almeno la lucidata dei fornelli ce la potremmo risparmiare. Lei niente, tira dritto con severa determinazione. Olio di gomito e Smac Brillacciaio.
Risultato, l’indomani mattina la signora delle pulizie arriva e trova parte della casa come l’aveva lasciata. Forse per questo ci vuole molto bene.

Io, mia moglie, l’Ikea

 

C’è qualcosa che sta prima di me e che mi sopravviverà nella mente e nel cuore di mia moglie. Lo so da prima di sposarla e lei non me l’ha confessato, ha lasciato che lo scoprissi con meno traumi possibili.
Quel qualcosa è la passione per Ikea.
Sino a ieri ho ignorato colpevolmente una delle maggiori soddisfazioni che avrei potuto regalare alla mia consorte: portarla all’inaugurazione di Catania. L’ho fatto per pigrizia e per una orgogliosa (presunta) lungimiranza: perché affannarsi quando tra qualche settimana non ci sarà più l’assalto dei visitatori?
Lei ha taciuto sull’argomento più scottante, quello dell’emozione. L’ho vista raggiante, un mese fa a Ginevra, mentre facevamo il nostro pellegrinaggio alla sede svizzera della multinazionale: girava tra i reparti annotando, stilava la lista ecumenica dei desiderata, si lanciava in paragoni tra varie sedi. Sembrava una bambina felice in quel paese delle meraviglie dove un divano si chiama come il personaggio di un romanzo di Stieg Larsson e dove il fai-da-te è molto vicino alla masturbazione mentale (se non lo sapete, Ikea ha forse il migliore sito internet commerciale del mondo).
Comunque so che mia moglie mi avrebbe detto: “Apre Ikea a Catania e io devo esserci!”
Non l’ha fatto perché è di una delicatezza deliziosa e perché sa che l’avrei accontentata con una litania intollerabile di brontolii.
Ovviamente tutto ha un prezzo e io conosco il mio destino.
La prossima settimana, missione catanese con licenza di acquisto illimitata (l’Ikea è l’unico posto al mondo in cui si rischia la bancarotta con le banconote di piccolo taglio) e pranzo compreso: mia moglie ha già studiato il menù.

P.S.
Vi racconterò.

La domanda sull’abbigliamento

La vita è fatta di lampi.
L’altra sera mia moglie mi si presenta con due stivali spaiati. “Qual è meglio?”, chiede.
Io rispondo: “Quello di sinistra”, senza alcun sottotesto politico.
Lei sollevata: “Bravo!”.
In quel momento ho percepito la solidità di un sospetto che nutrivo da tempo. Quando le nostre mogli\compagne\fidanzate ci chiedono un consiglio che riguarda l’abbigliamento o, in generale, il look (che termine desueto, eh!), in realtà ci stanno sottoponendo a un quiz. Non è un parere quello che ci viene richiesto, ma una domanda secca. La risposta può essere esatta o, purtroppo, sbagliata.

Rallentare

Sono giorni di superlavoro, per quel che sapete e anche per altro. Ieri sera ero a cena con mia moglie e la ammiravo di fronte a me, sempre forte e bella. Io invece mi vedevo un po’ meditabondo e ricurvo sui pensieri che le andavo illustrando.
Tra le altre cose, le dicevo che quando ero ragazzo lavoravo anche quindici ore al giorno e non volevo mai fermarmi, tiravo dritto a ogni incrocio della vita e me ne fregavo se a letto crollavo senza spegnere la luce.
Ora invece è diverso. C’è più gusto ad andar piano, perché sennò sfuggono molti dettagli. C’è il fisico che reclama la sua dose di prudenza. E soprattutto c’è lei, mia moglie, che merita il meglio. Quest’ultima frase non gliel’ho detta perché nel pacchetto che mi comprende (una specie di offerta speciale) c’è pure una dose esagerata di timidezza mista a coglionaggine.
Ne approfitto per dirglielo adesso e per esortarvi a rallentare, voi tutti, se avete qualcuno da amare.

Tranquillo, so cosa mettermi

ballata 4
L'illustrazione è di Gianni Allegra

Avete finito di lavorare e siete a casa. Stasera avete un appuntamento.
Gli amici vi aspettano, mettiamo, per le 20,30.
Sono le 20.
La vostra compagna/moglie ha giurato (o, purtroppo, ribadito) che il suo tempo di preparazione è di 30 minuti. Ciò significa che in 1.800 secondi lei sarà in grado di:
– fare doccia e shampoo;
– rispondere, gocciolante, alla telefonata dell’amica che non sente da mesi;
– imporsi un trattamento con creme, emollienti e affini;
– effettuare un primo passaggio di phon;
– lavarsi i denti;
– sostare per una pausa di riflessione davanti al cassetto della biancheria intima;
– passare in rassegna il settore calzature;
– sciacquarsi la bocca con un quarto di litro di collutorio;
– effettuare un secondo passaggio di phon;
– lamentarsi perché il collutorio è troppo forte;
– rispondere all’sms dell’amica di prima che si complimenta per averla sentita felice;
– chiudere il cassetto della biancheria intima;
– cercare il telefonino;
– girare nuda per casa lamentandosi del freddo che fa;
– confutare l’evidenza imposta dal termostato che segna 25 gradi: “Vabbé, è scassato”;
– indossare una maglia civetta che serve soltanto a creare l’illusione che finalmente ci si avvii verso la vestizione;
– chiedere di chiamarla al telefonino per capire dov’è finito il suo cellulare;
– riaprire il cassetto della biancheria intima;
– recuperare il telefonino adagiato tra le mutande;
– effettuare un terzo passaggio di phon perché i capelli non vanno proprio;
– argomentare che al 16° giorno del ciclo una convergenza tra Giove, la finale di X-Factor e il progesterone crea un buco nero nella struttura pilifera femminile con conseguenze tricologiche che meriterebbero uno studio del Cnr;
– togliersi la maglietta civetta e indossare l’abito prescelto;
– sostare davanti allo specchio;
– calzare due scarpe diverse;
– sostare ancora davanti allo specchio;
– chiedere: “Sta meglio il tacco 12 o l’anfibio?”;
– respingere ogni forma di risposta;
– affliggersi: “Non ho nulla da mettermi”;
– eludere la domanda: “Da metterti ai piedi o addosso?”;
– ignorare la piramide di calzature e la selva di vestiti nelle quali si è persa l’ultima donna di servizio (la cercano ancora due inviati di Chi l’ha visto? e i carabinieri dell’Aspromonte);
– lasciarsi consolare, con occhio attento allo specchio;
– scoprire che l’abito può andar bene se il capospalla è adeguato;
– lanciarsi alla conquista di un capospalla adeguato;
– rispondere alla telefonata degli amici, che aspettano già da 20 minuti, dicendo: “Stiamo arrivando”;
– chiedere (a chiamata conclusa): “Sta meglio la giacca nera o quella nera-nera?”;
– apprezzare il grugnito di risposta come segno d’amore;
– tirare le somme ed apparire, come sempre, bella e impeccabile mentre si dà l’ultima mandata alla porta di casa;
– far finta di dimenticare la frase con cui vi ha tranquillizzato, ore prima: “Tranquillo, tanto so cosa mettermi”.

Moglie destabilizzante

Secondo Vittorio Feltri, donna Veronica è pericolosa per il Paese. Quale paese? Quello dove dovrebbe essere mandato lui.