Party e parti (lese)

Ci pensavo ieri mentre correvo (penso sempre quando corro, infatti mia moglie dice che dovrei correre ancora di più): questa storia delle ragazze di Arcore considerate dai giudici come “parti lese” è abbastanza ridicola.
Tralasciando le argomentazioni più trite – dalla partecipazione volontaria alle feste, alla remunerazione  – mi è venuto in mente un collegamento ideale con l’ormai celebre passaggio parlamentare in cui si sanciva che Ruby era la nipote di Mubarak.
Due cazzate simili e opposte non si annullano a vicenda, ma possono fornire nuovi orizzonti.
Se è possibile che un’aula di deputati imponga alla nazione una ricostruzione cialtronesca, è legittimo che un’aula di giustizia suggerisca alla stessa nazione una ricostruzione grottesca. Tutto logico, idealmente conseguenziale.
Basta sterilizzare tutto con una risata.

Uno contro 60 milioni


Il dilemma italiano sta tutto nelle seguenti frasi.
“Amo la vita e le donne”.
“Il premier è malato e fuori controllo”.
Sapete tutto.
La prima frase è la giustificazione di un tale che non ha ancora deciso se studiare da statista o invecchiare da viveur.
La seconda affermazione è di un settimanale cattolico che esprime il disagio della platea verso quello che un tempo era il suo attore preferito.
Tra l’amore per la vita e l’ossessione patologica c’è uno spazio largo quanto un Paese spaesato da colpi di scena ambientati all’ombra di una gran quantità di sottane. Ci sarebbe solo un modo per ricomporre il tutto. Pacificarci nel nome della separazione delle carriere: gli anziani miliardari che vogliono governare con la stessa disinvoltura con la quale vogliono scoparsi tutte le minorenni che incontrano, da un lato; il resto della popolazione dall’altro.
Insomma sarebbe una separazione netta: uno solo contro 60 milioni di persone.

Contraddittorio zero

Ieri i telegiornali hanno dato conto della colorita replica del nostro premier alle nuove accuse di reiterata disinvoltura sessuale (con minorenni).
Come al solito, il raffinato Berlusconi se n’è uscito con una battuta. Della serie: non replico e faccio come Annozero, cioè contraddittorio zero.
Tutti a ridere con lui, Bertolaso in testa; molti a indignarsi, nel resto del mondo.
Anche i bambini conoscono la differenza tra la televisione e la politica. Il primo è il mondo del relativo (ma non diteglielo così ai bambini sennò vi guardano male), il secondo è il mondo dell’assoluto.
Mai sentita una verità in tv, mai visto un dubbio sulle labbra di un politico.
Quando il premier godereccio si rifiuta di rispondere alle domande dei giornalisti, offende innanzitutto i suoi elettori, poi tutti gli altri (dei quali gli importa poco, ma che esistono). E il paragone con una trasmissione giornalistica è uno strafalcione logico di cui, in un paese civile, gli si dovrebbe chiedere conto in Parlamento.
I giornalisti e i politici non hanno niente in comune, e per fortuna. Sono distanti negli articoli di legge, nella somma Costituzione, nei contratti e nei privilegi. Se Santoro non rispetta il contraddittorio (berlusconiano) – una regola discutibile perché imposta con clausole che sono state studiate proprio per essere impossibili da rispettare – può andare incontro a una sanzione. Se non lo rispetta il capo dell’esecutivo, c’è un tetto che si sbriciola sopra le nostre teste. Ed è il tetto sotto il quale alberga una cosa che si chiama democrazia.