Un film “de paura”

videocracy
L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sono stato a vedere Videocracy, il documentario su non-vita, morte e miracoli della “telecrazia” berlusconiana che Rai e Mediaset mi hanno fatto il favore di ignorare (c’è chi ha usato un altro termine: censurare. Niente trailer e poco più che qualche notiziola sfrecciante sulla proiezione dell’opera a Venezia). Dico “favore” perché io sono come i bambini: più cerchi di nascondermi le cose – e più sono “certi” personaggi, a nascondermele – più corro a curiosare. Tra l’altro, mi vanto di aver sempre pensato (dai tempi spensierati di Drive-in) che i danni culturali inferti dalla Berlusconeide al nostro paese non siano secondi a quelli istituzionali. Mi dico: una serata al cinema che fa per me.  Così, eccomi alla prima della pellicola di Erik Gandini, italiano naturalizzato svedese. Tralascio le notazioni di colore (atmosfera divertente, pubblico ciarliero, quattro gatti in sala. Molti in sandali e calzoni rossi. Qualcuno persino scalzo: esiste anche il trucco e parrucco di cripto-sinistra, ahimé). Primi fotogrammi, e penso: Gandini ci ha azzeccato. Fotografia livida, colonna sonora “cardiaca”, tutta battiti, bassi e suggestioni à la Bernard Hermann di Taxi Driver. Insomma, se Videocracy non è proprio un film dell’orrore, ci andiamo vicini. Con punte di splatter nel bagno di Fabrizio Corona che si specchia nudo, a pisello sciolto, dopo la doccia, e nei primi piani di un Lele Mora-zombie, di bianco vestito ma con l’anima di un Darth Vader (non vi levo la sorpresa di scoprire che cosa suona nel suo blackberry).
Dilemma: c’era altro modo per raccontare quello che è andato storto nelle teste (e negli occhi e nelle anime) di moltissimi italiani negli ultimi vent’anni di storia? Secondo me no. Scena da ricordare: quella finale, del gruppo laocoontico di aspiranti veline che balla al ralenty su un palchetto arrangiato in un centro commerciale. Musica che non va d’accordo con i loro sorrisi e le loro contorsioni, montaggio in parallelo con Silvio e la sua truppa che marcia in grande spolvero tra due ali di folla. L’effetto è raggelante. Una notazione negativa (ma indipendente dalle qualità del regista): ho l’impressione che qualunque film sul fenomeno Berlusconi sia già vecchio prima ancora di essere proiettato, tanto la cronaca sopravanza la riflessione, la possibilità di storicizzare in modo efficace.
D’altronde, è una regola dello spettacolo anche questa: un colpo di scena al giorno leva la consapevolezza di torno.

Tg d’assalto

Poche parole

di Raffaella Catalano

Forse leccare non paga.