Ti salvo io

C’è questa canzone che ogni anno in questi giorni riprende vita. La canzone è September degli Earth Wind & Fire e risale al 1978. Pensate, non ebbe neanche un album tutto suo dal momento che, assieme al rifacimento (peraltro fantastico) di Got to Get You into My Life dei Beatles,  era inclusa in un album di successi già pubblicati. September è un inno alla dance di quegli anni in cui tutto ci sembrava spensierato. Ballavamo e cantavamo, addentavamo la nostra adolescenza senza curarci del mondo che intorno a noi macinava le stesse tragedie di sempre – l’omicidio Moro e il disastro aereo di Punta Raisi, solo per restare in Italia –  e che, nonostante la lente deformante dei social di oggi, non era troppo diverso da quello in cui galleggiamo oggi. Le cose accadono, sono sempre accadute.
Comunque è dell’effetto September che voglio dire.
C’era questo sottile cinguettio di chitarre, il coro gioioso di femmine e falsetti, la sbornia di fiati. E poi c’era lui, Maurice White. Di una grandezza per noi incommensurabile, allora. Una grandezza di quelle di cui uno si accorge quando viene a mancare. Accade così con certi miti viventi: gli affibbiamo un ruolo talmente totalizzante che li mettiamo fuori dal tempo, dall’ordinarietà. E, ascoltando questa canzone, come mai vi potrebbe venire in mente il concetto di morte? È già accaduto con molti nostri punti di riferimento e accadrà ancora perché, come sappiamo, la vita è una infinita malattia mortale. L’unico antidoto – e lo dico dall’alto dei miei tot anni – è ballare, cantare e affidarsi a quelle quattro note incatenate che sopravvivono alle maree del mondo tendendoci una mano, come si fa coi naufraghi: stai tranquillo, ti tiro su io, nessun’onda, neanche quella sperimentata dal capitano Shackleton, potrà mai fermare la musica.
Vivi, sopravvivi. Balla.  

Senza Maurice White

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Senza Maurice White non avrei ballato coi miei amici tutti i sabato pomeriggio in una malfamata discoteca dietro casa, credendo di essere allo Studio 54 di New York.

Senza Maurice White non avrei finto di essere malato per non andare a scuola la mattina in cui, per una strana convergenza astrale, in tv davano un concerto degli EWF.

Senza Maurice White non avrei consumato la puntina Shure del giradischi sino a renderla inutilizzabile.

Senza Maurice White non avrei cantato a squarciagola durante i viaggi di istruzione.

Senza Maurice White nelle orecchie, le mie gambe si sarebbero rifiutate di correre per chilometri e chilometri.

Senza Maurice White molti panorami sarebbero stati meno belli.

Senza Maurice White non avrei conosciuto la più bella canzone del mondo, che è That’s the way of the world.

Senza Maurice White non avrei cantato in coda al supermercato.

Senza Maurice White certe serate al Malaluna sarebbero state noiose.

Senza Maurice White molti innamoramenti adolescenziali sarebbero stati meno innamoramenti e meno adolescenziali.

Senza Maurice White non avrei potuto rimpiangere così facilmente la musica degli anni settanta.

Senza Maurice White non avrei avuto un conforto per i momenti di tristezza.

Senza Maurice White non avrei avuto un ritmo per celebrare il buon umore.

Senza Maurice White la chitarra tra le mani sarebbe stata più pesante.

Senza Maurice White la mia vita non avrebbe avuto una colonna sonora meravigliosa.