Chi osa dare la colpa a Monte Pellegrino?

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Un estratto dall’articolo di oggi su la Repubblica.

La montagna ce la mette tutta pur di fare il suo mestiere. Sovrasta, abbraccia, svetta, minaccia. Ogni tanto lascia cadere un masso, altre volte sutura da sola le sue ferite. La montagna odia essere ignorata dall’uomo e il suo mestiere è ricordarglielo.
Monte Pellegrino sta lì da prima che qualcuno di noi se ne accorgesse. Per molti palermitani è solo un enorme piedistallo per antenne e ripetitori televisivi, per altri è un aggrovigliato nastro di strada che non porta da nessuna parte, per altri ancora è un gruviera di grotte preistoriche e gallerie dell’amore clandestino. Sul dorso sconnesso del gigante che attentò alla lucidità del freddo Goethe c’è pure un santuario di cui gli abitanti di Palermo si ricordano solo quando hanno un debito di riconoscenza da saldare con la Santuzza o col suo Principale. E poi i pic-nic tra lecci e carrubi, con le sedie sdraio ben allineate sui rifiuti che ormai non sono più semplicemente abbandonati, ma stratificati. (…)
Ora ci si accorge che da Monte Pellegrino cadono le pietre, ignorando che per una montagna quasi in riva al mare non cedere sarebbe come non esistere. I massi da quelle pareti sono sempre caduti, lo sanno bene i cacciatori, i villeggianti che su quelle stesse pietre hanno eretto centinaia di villette, gli arrampicatori che lì negli ultimi decenni hanno mappato falesie note a tutto il mondo fuorché ai palermitani.
Quindi più che limitarsi a chiudere una strada, bisognerebbe aprirsi a una considerazione: il problema di una frana non è solo chi ci sta sotto. Ma soprattutto a che titolo.