Sovranisti in salsa sicula

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

C’è un po’ di sovranismo all’orizzonte delle prossime elezioni a Palermo. E c’è coi toni più o meno sfumati che una campagna elettorale non ancora decollata consente. Un sovranismo di bandiera, diciamo. Questa tesi politica che si barcamena tra la strenua difesa dell’identità di un popolo e la strizzatina d’occhio ai temi più populisti in termini di sanità pubblica (leggasi vaccinazioni e green pass) e di immigrazione (leggasi qualunque tweet di Salvini) ha in Marianna Caronia e Francesca Donato due rappresentanti di buon livello. Ora, senza cedere alle personalizzazioni, è bene tenere a mente un paio di cose quando si accosta la parola sovranismo alla parola Sicilia.
Nella complicata geografia emotiva di una terra dai sentimenti così variabili, c’è bisogno di aprire, di aprirsi. Serve ricordare che gli slogan ammuffiscono, mentre le idee no. Che per rompere col passato e proporsi come novità, come alternativa, bisogna aver tenuto in perfetto ordine l’armadietto in cui stipiamo coerenza, senso civico, tolleranza. 

Il sovranismo che conosciamo in Italia – per non parlare di quello estero che ha portato, tipo, alla Brexit – coltiva il latifondo del risentimento e non si cura nemmeno di raccogliere gli scarsi frutti, poiché certi terreni e certi semi sono fatti per evitare che attecchisca altro: magari di diverso. E “diverso” è una parola che spaventa a certe latitudini politiche. Nella Sicilia in cui l’unica vera idea di devolution anti-nazionale ha storicamente qualche attaglio con Cosa Nostra, abbiamo imparato a nostre spese che l’unico porto che serve è quello aperto, che l’unica legge che funziona è quella che si rispetta, che l’unica scienza dinanzi a cui ci si inchina è quella che ci salva.
Così, per dire. 

La spending review applicata alla grammatica