Let’s tweet again / 3

Da Twitter, ieri.

Ragazzi, quando leggiamo delle cronache di Bossi ricordiamoci che per molto meno Craxi si prese le monetine in testa. Ci vuole memoria…

@dariofromitaly La moglie di Bossi: “E’ stato terribile, erano in quindici tutti meridionali, due ci tenevano sotto scacco e gli altri ristrutturavano…”.

@StefaniaPetyx Ho capito: In sicilia si diventa governatore per concorso… esterno.

Nervosismo negli studi di Radio Padania. Fede al confronto era un putto.

@peppecalcaterra Lo spot con la #Sandrelli è l’immagine del lavoro in Italia. Una 65enne che si ostina a far cose che spetterebbero a chi ha 30 anni in meno.

C’è un solo aspetto positivo nella fuga dei cervelli: Lippi che va ad allenare in Cina.

@VeccRicchia Ferrandelli non si presenta al dibattito sulla cultura: “Io non ci andressi nemmeno se mi costringerebbero”.

La bandiera dove la metto?


di Tony Gaudesi

Se le maledizioni fossero proiettili il bel giubbotto rosso di Lippi avrebbe più buchi di una montagna di gruviera.  Bossi, Trota e cronista di Radio Padania a parte, l’Italia tutta si è unita nel nome di ct. Dal medico al fruttivendolo, dal professionista al venditore di tricolori sotto casa mia, che tra una bestemmia e l’altra arrotola le bandiere alle aste, giurando di  sapere dove potrebbe infilarle.
Eppure Lippi è stato di parola. Non farà salire nessuno sul carro dei vincitori, come aveva promesso. Ci salirà lui, sul carro. Quello funebre, che riporterà in Italia i tanti cadaveri visti in Sudafrica.
E dire che alla Fiat, secondo Marchionne, avrebbero scioperato per vedere la Nazionale. Chissà, c’è da chiedersi, quanti italiani sarebbero pronti a scioperare per vedere la Nazionale, quella Nazionale, lavorare alla Fiat. Magari a 1300 euro al mese.
Parlare col senno del poi, si dirà, è operazione sempre facile. Meglio, comunque, che allenare col senno del mai, ignorando i colori del campionato per diramare convocazioni quasi esclusivamente in bianco e nero. Che avrà fatto mai la Juventus, si chiederanno da Los Angeles a Shangai, per emigrare quasi in massa in Sudafrica? Tutto! Ha sbaraccato a metà campionato, ha fallito l’Europa che conta (e pure quella che non conta). Ha mancato coppe e coppette. Zero tituli, ma primato nella lista del ct, alla faccia di chi i gol li ha fatti a grappoli, incantato, deliziato  (Miccoli, Cassano Balotelli, etc), della stampa, dei tifosi, dei 50 milioni e passa di commissari tecnici nostrani.
Si torna pertanto prematuramente e meritatamente a casa. Contro tutti i pronostici (i bookmakers pagavano la vittoria della Slovacchia 7 volte la posta) e con buona pace di tutti. Anche del venditore di tricolori sotto casa mia, che sbaracca e ribadisce, bandiera dopo bandiera: “So io dove la metterei questa”.

La faccia, il culo e il metodo Lippi

Non riesco a pensare allo sport, penso all’economia. Nel senso che la figuraccia dell’Italia ai Mondiali non può essere liquidata con il volemose bene del “ci rifaremo la prossima volta” o il luogo comune del “tanto è un gioco”, ma va inquadrata in un contesto in cui gli equilibri economici e i flussi di moneta stanno alla base di ogni scelta.
Perdere una partita o essere eliminati da una competizione è fisiologico, altrimenti non si chiamerebbero gare ma conviviali. Perdere senza mai giocare ed essere eliminati ancor prima di scaldarsi, specie se si ha il titolo di campioni del mondo, è grave e, addirittura, patologico.
Di malattia si tratta, infatti.
Il calcio italiano, quello impersonato da Marcello Lippi, è molto malato. Soffre di schizofrenia: il paese che non ama gli stranieri li strapaga se sanno dare due calci a un pallone. Soffre di emiparesi: i club meno blasonati si muovono e producono nuove leve, quelli più ricchi dettano le leggi, sono immobili e producono animali da gossip.
Il succo del problema sta tutto nella dichiarazione di Fabrizio Miccoli. Di una squadra come il Palermo – tanto per fare un esempio – Lippi non sa nulla e, quel che è peggio, non vuole sapere nulla.
Perché?
Siamo alla materia economica.
Il Palermo ha giocatori giovani che hanno un valore che cresce sul mercato internazionale. Un’altra squadra a caso, la Juventus, ha giocatori decotti che dopo l’ultima stagione deludente, avevano bisogno di essere rivalutati.
E quale migliore occasione di un Mondiale? Dentro gli juventini e fuori i palermitani.
Ne avevamo parlato qualche tempo fa, ne aveva discusso l’Italia intera. Il metodo Lippi, ammantato da quel fascino evanescente che solo nel nostro Paese riescono ad avere – inspiegabilmente – le operazioni di cui è facile non capirci un tubo, consisteva nell’assemblare giocatori anziani e spacciarli per giocatori imbattibili. Errore gravissimo perché, soprattutto nello sport, l’età non è sempre sinonimo di qualità: pensateci, Gattuso non è un Barolo.
Quel teatrino di conferenze stampa fatte di spocchia, risolini, certezze ostentate come se fossero assi nella manica e frecciate ai detrattori, aveva già dato fastidio a chi, come il sottoscritto, riteneva la missione Mondiale una questione seria, come seria è qualsiasi competizione in cui una Nazione ci mette la sua faccia e il suo culo. Ecco, questa è la lezione che Lippi porta a casa oggi. Quando si ha il privilegio di rappresentare faccia e culo di un intero popolo bisogna evitare di confondere le due parti del corpo. Cioè di avere la prima come il secondo e, in fondo, esserne anche un po’ orgogliosi. Perché alla fine, quando ti hanno gonfiato la prima e imbottito il secondo, non basta chiedere scusa. No, serve un surplus di umiltà che da qualche parte deve essere stato accumulato e che per Marcello Lippi è qualcosa di lontano, anzi sconosciuto.

Sviste mondiali

Suocerando

di Abbattiamo i termosifoni

Durante Italia-Nuova Zelanda, una telecamera Rai inquadra un uomo con una testa fitta di capelli bianchi, un paio d’occhiali, un mezzobusto vestito di color porpora.
Mia suocera chiede: “Ma che ci fa il papa allo stadio?”.
Era Marcello Lippi.

Fenomenologia di Marcello Lippi

Fenomenologia di Marcello Lippi. Si mostra soddisfatto quando c’è da essere allarmati (pur non essendo allarmisti). Mastica rabbia perché il popolo non condivide, con un’unica ola da Aosta a Pachino, le sue scelte. Rimanda perennemente a una resa dei conti coi suoi detrattori dimenticando che lui è solo un allenatore di calcio e non un presidente del consiglio. Preferisce mettere in squadra i soliti noti piuttosto che dare spazio ai nuovi fuoriclasse. Ostenta il suo appeal di antipatico come se fosse una rockstar. Non è ancora cosciente della fortuna che, quattro anni fa, lo ha portato a vincere il Mondiale.
Si crede l’unico mister della nazionale di calcio in un Paese che ne conta più o meno sessanta milioni.

I mondiali della Juventus

L’Italia è l’unico paese al mondo con sessanta milioni di allenatori della nazionale di calcio che si sentono titolati e irripetibili a dispetto dell’evidenza: l’unico sono io.

La vecchia battuta di padre ignoto non deve trarre in inganno.
E’ vero che ci sentiamo tutti mister, ma è anche vero che ci sono mister che dovrebbero calarsi nei nostri panni di tecnici improvvisati e capirci quando ci sentiamo spaesati.
Il caso di Marcello Lippi è emblematico.
Capisco il carattere e la schiena dritta, ma un allenatore che imbottisce il contingente mondiale con  una maggioranza di giocatori presi da una squadra decotta come la Juventus, qualche spiegazione al suo pubblico la dovrebbe.
Invece niente.
Messa da parte la foga rosanero, anche se Sirigu e Cassani sono tra i convocati (assordante l’assenza di Fabrizio Miccoli), resta il dubbio espresso qualche giorno fa da Paolo Villaggio: non sarà che con la missione sudafricana si cerca di drogare il valore di giocatori (e di club) le cui azioni sono in picchiata?
Prendiamo un appunto e parliamone a Mondiali terminati. Sarò felice di essere smentito.

Errori mondiali

E’ chiaro il progetto di Lippi: portare al mondiale giocatori juventini il cui valore è crollato negli ultimi anni, nella speranza che possano risalire le loro quotazioni. Non portare Miccoli e Cassano in Sud Africa è un delitto imperdonabile.

Paolo Villaggio su Livesicilia.