Le elezioni e il fattore C

L’altro giorno ho pubblicato sui social questo post, a proposito dell’appoggio di personaggi con precedenti penali pesanti a candidati a sindaco nella mia città, Palermo.

Se incontro Totò Cuffaro per strada lo saluto, così come lui saluta me. Se capita ci scambio pure quattro chiacchiere perché è persona con la quale può essere piacevole conversare. Anche di politica ovviamente. In passato ho scritto cose molto dure nei suoi confronti ma mi è capitato anche di difenderlo quando mi è sembrato che fosse il caso: siamo uomini e mai la nostra dignità deve essere calpestata, mai. Però se oggi lui mi offre il suo appoggio per una mia candidatura politica lo ringrazio ma mi guardo bene dall’accettarlo: è molto semplice.

Nei commenti contrari, tutti peraltro civili a conferma che ognuno ha le timeline che si merita, prevale la seguente tesi: siccome Cuffaro e Dell’Utri (i due personaggi in questione) hanno espiato la loro pena, adesso sono liberi di esprimere il loro pensiero, democraticamente. Il che è giusto e non collide con la mia tesi.
Il problema è facilissimo da intuire, complicatissimo da esporre senza cadere nelle trappole del qualunquismo o del cosiddetto fascismo di sinistra, roba dalla quale cerco di tenermi lontano da sempre.
È provato che questi signori hanno interagito in modo non occasionale con la mafia. Ed è intuibile che una fetta del loro elettorato sia riconducibile a quegli ambienti. Del resto lo stesso Cuffaro ha dichiarato a Repubblica: “Ai candidati chiedo che facciano esattamente il contrario di quello che ho fatto in passato. Non clientele, non prebende, non rapporti che possono rivelarsi pericolosi”. Un elettorato che quindi era in parte di clientele, di prebende, di rapporti pericolosi.
È questo il punto. Io posso credere nel ravvedimento di Cuffaro (di Dell’Utri niente so in tal senso) e posso apprezzare i suoi sforzi di riabilitazione, di concentrarsi su ciò che prima guardava con distrazione (a voler essere benevoli). Ma non penso che in un candidato sindaco che dovrebbe rappresentare il nuovo (senza ridere, eh!) ci dovrebbe essere spazio per mere questioni di numeri: prendersi gli elettori potenziali di Cuffaro, chiunque essi siano.
Perché gli “elettori di Cuffaro chiunque essi siano” non possono avere ancora la possibilità di indirizzare la politica di questa città già massacrata e sconfitta. C’è una base elettorale di Cuffaro seria e onesta che capirebbe da sola a chi dare il proprio voto, senza il placet di nessuno e senza suggerimenti dell’ultima ora. La vera politica non ha bisogno di ammiccamenti e ruffianerie: è immediata come un pensiero dritto, convincente come un semplice ragionamento di buon senso. Dici qualcosa nel presente che mi piace nel futuro, che fa bene a tutti senza oltraggiare il passato: e io ti voto.
La memoria non si evoca e non si sbandiera a convenienza, si usa e basta.

Squadretta antimafia

L’articolo di oggi su Repubblica Palermo.

Il primo passo Gianfranco Miccichè l’ha fatto appena insediato Ars, nella sala di Palazzo dei normanni intitolata a Piersanti Mattarella: ha invitato gli imputati nel processo sulla trattativa Stato-mafia Mario Mori e Giuseppe De Donno, e li ha celebrati come eroi e testimoni di ingiustizia. Senza neanche darsi la pena di sfogliare il solito bignamino di post-garantismo, che dal sommo padre Berlusconi all’indomito alfiere Sgarbi punta all’assoluzione preventiva di amici e compagni di partito, Miccichè ha lanciato una nuova linea di lotta civile alla criminalità organizzata, l’antimafia prêt-à-porter. Basta col repertorio classico di Leoluca Orlando, lord di Grande inverno (un tempo era primavera, ma le stagioni cambiano) nel Game of Thrones di Sicilia, signore dell’antimafia di maglio e spada e unico detentore delle chiavi di un Valhalla nel quale riposano ex compagni d’armi come Pippo Russo e Carmine Mancuso (perché con le stagioni cambiano anche le fioriture di militanza). Oggi il sospetto si è scocciato di fare anticamera per la verità e, nell’Isola di un centrodestra che rinasce non dalle ceneri ma dalla cipria, ha scelto l’eremitaggio in qualche aula semideserta del Palazzo di giustizia dove si celebrano processi di cui tutti parlano e che pochissimi seguono. Continua a leggere Squadretta antimafia

Dell’Utri, Cuntrera e una cronista invidiosetta

Senza titolo

Questa storia mi è tornata alla mente oggi, mentre mi documentavo sul caso del latitante Marcello Dell’Utri.
Ormai diversi anni fa, nel maggio 1998, il boss Pasquale Cuntrera fuggì dall’Italia alla vigilia di una cruciale sentenza. Il Giornale di Sicilia, dove ancora lavoravo, diede la notizia prima degli altri facendo un scoop mondiale che fece traballare il governo Prodi. Qualche giorno dopo una cronista su la Repubblica scrisse una brutta frase, fingendo stupore per una notizia che lei non aveva, ma qualcun altro sì. In casi del genere tra colleghi ci si complimenta, lei invece rosicò e tradì un’invidia che per fortuna è ancora ben visibile, a futura memoria, negli archivi telematici del giornale. Della serie: ecco come non si fa.

Il Marcello viaggiatore

Fermo restando che bisogna attendere ancora il timbro della Cassazione (l’ennesimo), che la presunzione di innocenza fa di lui un illustrissimo galantuomo, che il suo partito è perseguitato da un branco di giudici assetati di sangue berlusconiano, vi siete mai chiesti dove sarebbe adesso uno qualunque di noi con un decimo dei suoi trascorsi penali?

Qualche mese fa su diPalermo mi sono posto questa domanda. Oggi è arrivata la risposta: uno qualunque di noi sarebbe in galera, lui è all’estero.

Dell’Utri il furbo

Non sono per le manette a Marcello Dell’Utri, sono per una giustizia che non faccia sconti a furbi e protetti.

Forza Italietta

Silvio Berlusconi non contento degli sfaceli ottenuti con “Forza Italia” ha deciso di fondare un nuovo partito degli onesti chiamato “Italia Pulita” che porterà un ventata di aria fresca nel noioso panorama politico italiano zeppo di professori che non raccontano manco una barzelletta e di ministre che non hanno neanche un calendario alle spalle e che raggrupperà volti nuovi possibilmente attaccati a corpi sinuosi ispirandosi a valori come l’onestà e la rettitudine di cui notoriamente lo stesso Berlusconi è portabandiera nazionale insieme con l’angelico Marcello Dell’Utri che ha confezionato il nuovo prodotto elettorale e l’integerrimo Guido Bertolaso che sarà il talent scout della nuova formazione che visti i presupposti avrebbe potuto benissimo essere chiamata “Italia Punita”.

Dell’Utri a piede libero

Garantismo a parte, a me fa un certo effetto fa vedere libero e relativamente tranquillo uno che ha definito eroe un delinquente come Vittorio Mangano (e che per di più dice di essere molto soddisfatto).

Eletti dagli italiani

La giustificazione che, dalle parti della maggioranza, viene ripetuta in modo ossessivo appena qualcuno solleva il dubbio sulla liceità delle azioni del premier e dei suoi sodali è: “Sono stati eletti dagli italiani”. Come se il fatto di essere in carica dopo un voto democratico non escludesse la possibilità di commettere reati o di adottare comportamenti poco consoni al ruolo che si ricopre.
Una persona “eletta dagli italiani” non è migliore degli italiani, non sta al di sopra delle leggi che riguardano gli italiani. Non rappresenta nemmeno gli italiani, ma qualche italiano: ad esempio, io che non voterei mai per Dell’Utri non ripongo alcuna speranza nella sua azione politica, al contrario ho votato in modo che qualcuno possa contrastarla.
Discorso opposto per il buon gusto e l’educazione che, sì, devono accomunare tutti i deputati e senatori: la correttezza dovrebbe essere il principio fondamentale. Soprattutto per i membri del governo.
Avete visto il ministro della Giustizia lanciare la sua tessera della Camera contro i banchi dell’Idv? Avete sentito il ministro della Difesa mandare a quel paese il presidente della Camera? Che colore hanno questi gesti? Non sono né rossi, né neri, né azzurri. Sono di una tinta opaca e indefinita come la mediocrità. Perché forse, più che buttarla in politica, è il momento di arrenderci all’evidenza. Siamo governati da gente da poco. Molti di questi signori, se non fossero stati imbarcati nell’Arca della politica, sarebbero oscuri venditori, traffichini, impiegati assenteisti, pataccari da autogrill, professionisti pregiudicati. Anche se “sono stati eletti dagli italiani” li dobbiamo giustificare quando mettono i piedi nel piatto?

Testimonial dei 10 comandamenti

  1. Non avrai altro Dio al di fuori di me, disse Berlusconi avvolto dalla luce (stroboscopica).
  2. Non nominare il nome di Dio invano, disse Sandro Bondi a Gianfranco Fini.
  3. Ricordati di santificare le feste, disse Lele Mora a Emilio Fede prima di dare il via alle danze.
  4. Onora il padre e la madre, disse Pietro Maso uscendo dal carcere.
  5. Non uccidere, disse Michele Miseri alla figlia Sabrina.
  6. Non commettere atti impuri, rispose Sabrina.
  7. Non rubare, disse una voce perduta in un’intercettazione inutilizzabile.
  8. Non dire falsa testimonianza, disse Marcello Dell’Utri colpendo con la punta del naso un occhio del giudice.
  9. Non desiderare la donna d’altri, disse Giampaolo Tarantini mettendo mano al portafoglio.
  10. Non desiderare la roba d’altri, disse Morgan mostrandosi generoso.

Lasciate parlare Dell’Utri

Secondo me Marcello Dell’Utri ha diritto di parola in un pubblico consesso, come tutti. Persino Totò Riina, Michele Greco e Leoluca Bagarella (tanto per fare esempi non a caso) hanno potuto dire la loro mentre erano agli arresti.
E sapete perché la penso così? Non per questioni legate alla libertà di parola o ad altre menate che ormai stanno sui libri e non nella vita, ma per un motivo prettamente pratico.
Dell’Utri, come chiunque altro, fornisce con le sue parole un giudizio di se stesso molto più aderente alla realtà di qualunque inchiesta giornalistica o giudiziaria. Insomma più parla, più noi capiamo perché parla.
Quanto ai contenuti, che si tratti di patacche, di reperti storici, di Mangano, di eroi di mafia o di panini con la milza, non ce ne frega un tubo.