L’highlander al fast food

Suocerando

di Abbattiamo i termosifoni

Man mano che il tempo passa, mia suocera ringiovanisce. E’ una specie di highlander femmina. L’ultima sua trovata è in stile Happy Days: con un paio di fuseaux, i calzini corti e un foulard al collo, proprio come le ragazze che nel telefilm americano frequentavano il mitico Arnold’s, questa indomabile ottantenne ha preso l’abitudine di fare due pellegrinaggi bisettimanali. Non, come farebbero tante pie vecchiette, a San Giovanni Rotondo o – per restare in zona – al santuario di Santa Rosalia. Lei da qualche mese va da Mac Donald’s. Dove non era mai stata prima.
Alla sua età ha scoperto il fast food. Con la badante al seguito, si accomoda ai tavolini, beata tra bambini che schiamazzano lanciandosi patatine fritte, musica a palla e puzza di grassi non meglio identificati, e ordina. Rigorosamente un Happy meal. Quello o nient’altro: e non per il panino che c’è dentro – sul contenuto non ha preferenze, purché sia vagamente commestibile nonostante la sottiletta arancione e tutto il resto – ma perché vuole la sorpresa: orsetti, giraffe, delfini di plastica, robot, peluche. Purché non siano viola. Per carità! E’ superstiziosissima e se pesca un gadget di quel colore, protesta e se lo fa cambiare.
In proposito, proprio oggi mi ha raccontato che giovedì scorso le hanno dato (testuale) “il panino con la giraffa”…
Ho sempre pensato che il ripieno dei prodotti Mac Donald’s fosse di dubbia natura, ma non fino a questo punto.
L’unico problema, la prima volta che mia suocera è stata nel suo nuovo paradiso artificiale (è il caso di dirlo, basta appunto guardare la carne che usano), è stato capire dove avesse imposto alla badante di portarla.
“Francesca, dove hai cenato?”, le ho chiesto.
“Da Marco Macchi”, ha risposto senza esitazione. Io ho pensato che fosse il nome di battesimo di un ristoratore che non conoscevo.
La seconda volta non è andata meglio:
“Sono stata da Macchi Macchi”, ha trillato.
“Ah…”. L’interpretazione, per me, si faceva più complessa.
Poi, un giorno, è tornata con un palloncino in mano. Alcune promotrici del Conad che sta accanto al suo Mac Donald’s preferito avevano regalato ai clienti del fast food palloncini pubblicitari gialli, attaccati a un bastoncino. Sulla plastica, in rosso e con caratteri così grandi da non sfuggire nemmeno alle cataratte più accanite, c’era il nome del supermercato.
Così Mac Donald’s, nel vocabolario di mia suocera, è diventato Conàid. Due giorni dopo riadattato in Conàld.
Quando questa bizzarra donna cena lì, da Marco Macchi o da Conàld che dir si voglia, mangia sempre quello che lei chiama l’“amburgo”.
Mastica di certo molti “amburgo”, ma poco, pochissimo, l’inglese.