A proposito di iPad

Qui una discussione interessante sull’iPad e il futuro della rete. Buona domenica a tutti.

L’occasione fa l’uomo comodista

Primo comunicato ufficiale riguardo alla convivenza con uno strumento chiamato iPad.
Ho preso confidenza con lo schermo-tastiera, io che detesto tutto ciò che sia touch-screen. Mi trovo molto bene se uso lo strumento come dispositivo di lettura, meno se devo navigare. Mi aspettavo di peggio con le e-mail.
Sto provando la connessione con la “3” e mi sembra molto lenta: del resto – direte voi – che ti aspetti con cinque euro al mese? Per fortuna che a casa l’adsl viaggia a velocità sufficiente.
Le varie applicazioni non mi entusiasmano, e il fatto che molte di esse siano gratuite non me le rende più affascinanti (nonostante la mia tircheria biblica). Non sono il tipo che si mette a smanettare tra giochi e utility. Ho scaricato giusto quello che serviva a soddisfare il mio spiccatissimo senso del superfluo: mappe, home recording, sky tg24.
Mi piace guardare video e ascoltare musica con l’Ipad anche se so che l’effetto novità ben presto mi porterà a utilizzare strumenti più consoni, più comodi e più pratici. Ad esempio, uno dei quattro televisori o uno dei tre iPod…
Però, tutto sommato, sono soddisfatto. E mi piace che, in fondo, l’aspetto più affascinante sia per me quello meno tecnologico: che goduria la mattina avere tutti i giornali a letto con un solo clic, insieme al caffè e a un bacio di buongiorno!

Se il giornalista non sa neanche copiare

Leggo su Repubblica che a Palermo vendono l’iPad da 64 GB wifi 3G a 699 euro (al Mondadori Multicenter). Siccome è lo stesso modello che aspetto io e che è stato acquistato online a 799 euro, salto in moto e mi precipito in negozio. Penso, da buon parsimonioso, che un risparmio di cento euro val bene una disputa con l’Apple Store internettiano.
Invece, arrivato in loco, la commessa mi gela: “E’ un errore di Repubblica, il nostro prezzo è quello imposto da Apple, 799 euro. Ovviamente”.
E’ quell’ovviamente che mi gela.
Ovviamente il collaboratore di Repubblica non sa né leggere né tantomeno copiare. Altro che riassuntini

Vi autorizzo a sputarmi in faccia

L’attimino fuggente

di Giacomo Cacciatore

Sono tre giorni che sto male. Mi sveglio perseguitato da un pensiero fisso. Cerco di strozzarlo, stringo le dita e mi tremano le mani. Trovo scampo in un libro (cartaceo). Spesso il rifugio di pagine mi crolla addosso al primo alito di vento internettiano. Rido di cose che non fanno ridere. Mi distraggo con la qualità della luce di prima mattina o verso il tramonto. Qualsiasi sciocchezza mi sembra preziosa: tiene a distanza dal bilico.
Credo di stare subendo una crisi di astinenza.  Lo capisco dalla foga con cui chiamo a raccolta tutte le mie forze, fisiche e psichiche, per arginare l’assalto. Quando ci riesco, mi sento più solido. Ripeto a me stesso che è questione di tempo, caparbietà e temperanza. Con l’esercizio, il sacrificio diverrà consuetudine, la rinuncia un atto spontaneo, il senso infantile di ingiustizia che mi assedia un attestato di stupidità. La necessità, al contrario delle vere crisi di astinenza, non è legata a qualcosa di cui ho già fatto abuso, ma a un desiderio non ancora realizzato. Che è anche peggio: ciò che conta non è la meta, ma gli impulsi sgradevoli e sublimi che ti spingono a perseguirla. So già che, raggiunto l’obiettivo, ottenuta la gratificazione nel modo più sofferto possibile (e immediato: l’intensità del desiderio sollecita perversamente l’urgenza), me ne stancherò subito. Vorrò altro. Vorrò di meglio.
Signori, sono tre giorni che io voglio un iPhone o un iPad (o tutti e due, non nello stesso ordine).
E allora – non fosse altro che per rivalsa verso me stesso, per l’orrore che può suscitare tanto spreco di energie da parte di una persona emancipata e sensibile nei confronti di un oggetto inanimato – vi dico: qualora mi vedeste entro sei mesi con un gadget di tal fatta in mano, vi autorizzo a sputarmi in faccia.  Per dirla col conte Mascetti.

In caso di futuro

Ho letto con grande interesse i vostri commenti sull’iPad. Però a tutti quelli che discutono soltanto dell’utilità dello strumento – e sono molti, qui e altrove – mi permetto di far presente che il prodotto in questione non è una lavastoviglie, non è da giudicare per le prestazioni (chili di bucato, consumi, rumore). L’iPad è un’invenzione che offre spunti agli amanti del design, agli appassionati di tecnologia, ai guardoni della comunicazione, agli appassionati della futurologia, ai curiosi in generale. Spunti per elogi o per critiche, naturalmente.
Tempo fa vi raccontai di una persona che, in virtù di una fallace folgorazione,  propose di non scrivere la parola internet sui giornali perché, ne era certo, si trattava di un fenomeno passeggero.  Era qualcosa di più di un giudizio affrettato.
Ora a naso credo che quello dell’iPad sia un tema da trattare con le pinze, da non liquidare come una moda aggirabile. Si può essere più o meno attratti dalle novità (io ho una sorta di patologia per quelle tecnologiche, ma non è un pregio), però coi sintomi del futuro bisogna essere cauti.
Meglio dire “al momento non lo comprerò”, piuttosto che recensirlo come “inutile giocattolo”.
I giocattoli non sono mai inutili se finiscono nelle mani giuste.

Video via Pazzo per Repubblica.

Sorprese

Poi, dopo cena, spunta un iPad.

iPac

Grazie a Giacomo Cacciatore.

A che serve? Non mi interessa

Ieri ho avuto il primo incontro ravvicinato con un iPad. Di questa bestiola tecnologica è stato già scritto tutto da persone molto più esperte e titolate di me quindi vi risparmio le impressioni per così dire tecniche.
Da detentore di un MacBook Air sono abituato alle forme sottili e alla piacevolezza della tecnologia levigata. Ecco, in questo l’iPad è davvero emozionante.
Nella mezzora in cui l’ho avuto tra le mani, ho suonato, ho aggiornato il blog, ho letto una pagina di un libro, ho cercato una parola che non capivo nel dizionario, ho consultato il New York Times, ho ammirato la scena di un film di guerra, ma soprattutto sono stato molto molto attento a non farmelo scivolare dalle mani. Perché è questo il pericolo maggiore: un oggetto di design, che starebbe benissimo anche da spento in salotto, non è prensile.
L’iPad è un apparecchio che ha un fascino pericolosissimo in persone come me: quello di un oggetto utilissimo che può dimostrarsi assolutamente inutile.

Un libro non è un telefono

Sono ipersensibile davanti a qualunque innovazione tecnologica che abbia tasti e schermo (a eccezione dei telefonini touch screen che confliggono con le mie zampe da orso).  Se potessi, comprerei quote della Apple solo per il gusto di collaudare prototipi e riempire casa mia di arnesi modernissimi, per farne che non so (del resto il vizio – perché di vizio si tratta – non si alimenta di vantaggi, ma solo di controindicazioni).
Eppure la presentazione dell’iPad mi lascia insoddisfatto per una serie di motivi.
Primo. La tecnologia avanzata per molti di noi snob quasi cinquantenni non è show, bensì élite. Le coreografie e i megascreen vanno bene per le convention del Pdl, non per l’ultimo parto artificiale dell’intelligenza naturale.
Secondo. Se un telefono serve anche per leggere libri e giornali, evidentemente ci sono problemi di dimensioni: i libri non sono fatti per infilarsi nel taschino della giacca e i cellulari non devono essere tenuti necessariamente con due mani.
Terzo. In Italia si dice: “Fare le nozze coi fichi secchi”. Cioè, senza i mezzi necessari non si va da nessuna parte. La Apple si muove, con molte buone ragioni,  in un’ottica anglofona che non tiene conto della realtà del nostro Paese dove è quasi impossibile trovare contenuti di qualità, ben assortiti e soprattutto tricolori, per un lettore multimediale come l’iPad. Corriere e Repubblica si stanno muovendo, ma l’immensa realtà delle aziende editoriali locali (che condiziona in modo determinante l’audience) è ancora guidata da direttori col telefono a disco e il televideo fisso a pagina 101.
Quarto. I costi sono elevati. A parte lo strumento (prezzo minimo 499 dollari per la versione base), resta l’incognita delle connessioni telefoniche legate ai singoli gestori. Il che, con i chiari di luna che ci sono dalle nostre parti, significa che per farsi un arnese del genere bisogna ricorrere alla cessione del quinto dello stipendio.
Insomma sono tentato comunque di lanciarmi nell’acquisto (le famose controindicazioni del vizio…), ma aspetterò. Perché in fondo la debolezza nei confronti della tecnologia non è indice univoco di imprudenza.