Invidiosi

Tra i molti sentimenti che lastricano di cadaveri la miastrada di relazioni ce n’è uno che conosco solo in quanto vittima. Cioè non lopratico, ma lo subisco, l’ho temuto e infine sterilizzato.

È l’invidia. È l’unico dei vizi capitali che mi manca: glialtri li conosco benissimo, con varie gradazioni di intensità che, per decenza,qui tralascio.

L’invidia è il sentimento nel quale mi sono imbattuto piùspesso, non penso per predisposizione personale ma perché probabilmente è ilpiù subdolo, quello che si annida nell’ordinaria denigrazione. In fondo l’invidiosoè uno che, parafrasando Paul Valéry, si consola col disprezzo per una felicitàche non ha, una libertà che non si concede, un vantaggio che gli manca. E anzichéprendersela con se stesso – sfigato o incapace che sia – se la prende con chivorrebbe essere, e non sarà mai.  

Al di là degli slogan da camionista tipo “la tua invidia èla mia forza”, in realtà col tempo ho scelto un approccio ecumenico al tema.

Tipo: quando si invecchia si tende a ridicolizzare i giovani,errore da non commettere mai.

Oppure: l’invidia è l’unica trappola che inchioda chi laprepara.

Poi c’è un sortilegio perverso che mi rincuora.Statisticamente l’invidioso è un perdente, è qualcuno che certifica inconsapevolmentela superiorità altrui.

Ho conosciuto molti invidiosi e di altri ho solo subodorato qualcosa, poiché una caratteristica abbinata al vizio di volere essere un altro senza esserlo è la vigliaccheria. Molto raramente l’invidioso si manifesta apertamente: il più delle volte striscia, si mimetizza, mangia fango pur di nascondersi (perché in fondo, lui non lo sa, ma ha vergogna di sé). E in questo umiliante barcamenarsi affligge la sua anima, come una carie maleodorante e antiestetica. Ehi, avete mai osservato attentamente il sorriso di un invidioso?

Ritratto dell’invidioso

Tra i milioni di difetti che mi ritrovo non c’è, credo, quello dell’invidia*. E non per virtù, ma per praticità. L’invidioso è un concorrente mancato, un rompicoglioni in contumacia, un onanista della lamentela: uno che spaccia la noia per riflessione, salvo addormentarsi nei momenti più “creativi”. Insomma non è un polemista, ma un mestatore solitario.
Ci pensavo ieri mentre leggiucchiavo qualcosa su internet. Scarseggia, nei blog, il materiale originale – quello che propone, suggerisce, testimonia – mentre crescono i contributi di rivalsa personale: io sono migliore di te, il mio sito è bello e inarrivabile (mentre si suppone che quello del vicino, a dispetto dell’erba, sia meno verde), io a questa cosa ci ho pensato prima degli altri.
L’invidia ha sul web forme variopinte, estremamente divertenti. Se l’invidioso non può competere con il suo avversario, perché non ha le capacità, la struttura tecnologica, la storia, allora assume altre forme, si incarna in altri corpi e si cimenta in altri codici che, badate bene, saranno sempre riconoscibili a una mente mediamente lucida. Perché l’invidioso, in fondo, è anche un po’ scemo.
Il soggetto in questione trafficherà con mezzi analoghi a quelli del suo competitor, senza mai scendere in diretto conflitto: altrimenti non sarebbe un concorrente mancato, sarebbe una persona normale. Si manifesterà sotto altre spoglie, non muoverà mai una guerra diretta, parlerà a mezza bocca, farà incetta di amici tra i nemici del suo bersaglio, rinnegherà pensieri e parole pur di assemblare nuovi pensieri e parole che giustifichino la sua minima esistenza.
In più utilizzerà tutti i mezzi al di sotto della cintola per colpire l’avversario, infischiandosene dei regolamenti che richiamano il regime del rapporto causa-effetto. L’invidioso non trova più l’origine del suo rancore già cinque minuti dopo l’evento che lo ha messo in agitazione.
Se avete la sventura di incontrarne uno che ce l’ha con voi, e siete in uno stato di grazia, provate a chiedergli qual è il motivo di tanto astio: ne ricaverete una risposta confusa, tanto più rarefatta e delirante quanto abissale è la qualità della vita che vi divide. Perché – dettaglio che non può passare in sordina – l’invidioso fa una vita peggiore della vostra. E lo status sociale non c’entra nulla, si può vivere male a qualunque longitudine lavorativa e reddituale. Solo che l’invidioso non ha aspettative di miglioramento, altrimenti gli verrebbe a mancare il terreno sotto i piedi. E lui ci tiene a calpestare il fango giusto.

* ma posso sempre sbagliare.

Il quarto vizio capitale

 

L’attimino fuggente
di Giacomo Cacciatore

Su “Vanity Fair” Elisabetta Canalis parla finalmente (finalmente?) del suo rapporto con George Clooney. E ne approfitta anche per rispondere alle critiche sul suo esordio da attrice negli Stati Uniti – in un telefilm intitolato “Leverage” – sollevate da un blog americano e prontamente riprese dai giornali italiani. Proprio ai connazionali la bella sarda si rivolge, tacciandoli di inveterata (indovinate che?) invidia.
Non che mi aspettassi originalità, ma qualche riferimento in più a campagne d’odio che sfigurano il tenue azzurro-cielo dell’amore, quello sì. Non disperiamo. Ci siamo quasi. Prima o poi anche Elisabetta saprà mettersi al passo con i tempi.