Ignoranza digitale al potere

L’articolo pubblicato su Repubblica Palermo.

Sino a pochi giorni fa il governatore Musumeci protestava indignato in tv, sui giornali, sui social perché il Tar aveva sospeso la sua ordinanza sui migranti senza nemmeno ascoltare la Regione. Poi si è scoperto che la e-mail con la quale chiedeva l’audizione era stata inviata alla persona sbagliata. Per dirla con le parole dell’ufficio stampa della Giustizia amministrativa “la richiesta audizione è stata sì formalmente presentata, ma ad un indirizzo telematico errato, non idoneo alla ricezione degli atti processuali, e comunque tardivamente, sicché, per fatto imputabile alla stessa Regione Siciliana, tale richiesta non è stata tempestivamente acquisita nel fascicolo processuale”. Qualche anno fa il “New Yorker” scoprì che gran parte dei giudici della Corte Suprema degli Usa, il massimo organo giudiziario del Paese chiamato a dirimere anche questioni di tecnologia, non aveva mai usato la posta elettronica. Quindi Musumeci è, diciamo, in buona compagnia. Solo che qui l’imperizia telematica, magari non direttamente del governatore ma degli uffici preposti che comunque rispondono a lui e per lui, è in perfetta sintonia con una mancanza di attenzione e una sciatteria che concorrono a trasformare un errore in una figuraccia. Se un minimo della grinta e della determinazione impiegate per inventarsi un legame tra i migranti e un aumento del rischio sanitario in era di Coronavirus (legame, allo stato, categoricamente smentito dal giudice) fosse stato messo in campo per digitare il corretto destinatario di un’istanza, probabilmente non saremmo qui a ridere amaro di un’istituzione che non sapendo che pesci prendere, si inventa il complotto di agosto. Sarà il caldo.  

Odio per odio

A mia memoria è una delle vicende più difficili da digerire, elaborare, sulla quale cercare di raggranellare i pensieri senza perdere il filo. Perché quella della Sea Watch e della sua capitana Carola Rackete è purtroppo una storia perfetta di odio elargito come se fosse oro, di disfattismo un tanto al chilo e di confusione istituzionale ben orchestrata.

Il braccio di ferro tra un ministro razzista, rappresentante di un’Italia infelice e feroce, e una ragazza fragile negli anni e nel ruolo (proviamo noi tutti a capire cosa significa avere una simile responsabilità, davanti ai denti aguzzi del mondo) è il simbolo di una realtà grottesca in cui tutte le bilance sono state truccate: quelle della giustizia, dei valori, della politica.

La capitana, sfiancata da diciassette giorni di attesa in mare, mica all’hotel delle terme, ha ceduto al più umano degli errori: sbagliare mentendo a se stessa, credendo cioè di avere ragione. E ha consegnato la partita ai suoi avversari, che hanno vinto a tavolino. Da lì, il finale tragicamente scontato: il fiume dell’odio si ingrossa, travolge tutto e tutti, basta ascoltare le parole di quei quattro delinquenti di Lampedusa che hanno vomitato sul comandante Rackete (che qualche coglione maschilista chiama Carola, come se fosse sua sorella) lo schifo dello schifo. Il rischio è che restino solo queste impronte sulla sabbia di un deserto di umanità che ci procurerà vergogna eterna, e spariscano i segni dell’altruismo di chi salva disperati in mare, il coraggio di chi addenta i propri trent’anni e va a lavorare dove nessuno vuole andare, il bel gesto di Sinistra Italiana, Pd e Radicali che, sfidando la derisione di questo Paese di merda, hanno difeso un principio universale salendo e restando sulla Sea Watch (facendo realmente qualcosa di sinistra).

Se resteranno solo i tweet del ministro razzista e le urla dei quattro derelitti sgrammaticati di Lampedusa (un’isola che non li merita) la storia dovrà essere raccontata in un altro modo. C’era una volta la terra della civiltà che, rapinata dei suoi valori e turlupinata dai signori dell’ignoranza, credette di diventare culla di un nuovo diritto e invece morì nella solitudine dell’odio.      

Prima i migliori

L’articolo di oggi su Repubblica.

C’è una cosa che tendiamo a sottovalutare quando, risvegliatici dalla nostra ordinaria disattenzione, scopriamo che l’Università di Palermo ha accolto il primo immigrato ancora non regolare tra i suoi studenti, consentendogli di iscriversi al corso di Scienze umanistiche. Ed è la stessa cosa che dovrebbe indurci a guardare il mondo senza pregiudizi: quel ragazzo del Camerun, arrivato con un barcone, parla l’italiano meglio di molti di noi e avrà la possibilità di diventare migliore di noi. Perché la classifica della buona volontà non si stila con una legge. Il “prima gli italiani” è declinabile in mille aberranti maniere: prima i fuoricorso italiani, prima i fannulloni italiani, prima i depressi italiani e via primeggiando. Questa cosa che sottovalutiamo e che ci renderebbe impermeabili a certi assolutismi del “pensiero social”, tipo quelli che mettono in concorrenza la munnizza con il trionfo di un evento culturale o, nello specifico, i disagi amministrativi di un ateneo con una sua iniziativa coraggiosa e lungimirante ha un nome semplice. Si chiama sensibilità.    

Elogio del dissenso a 5 stelle

L’articolo di ieri su la Repubblica.

La nascita delle correnti all’interno del M5S siciliano, di cui scriveva su Repubblica  Antonio Fraschilla, segna una tappa fondamentale oltre la linea Maginot di una presunta diversità del partito di Di Maio. O forse rappresenta qualcosa di più importante poiché solo coltivando un sano dissenso si arriva a sagge decisioni. Pensate alla vera emergenza politica italiana, quel Salvini che mette i piedi in ogni minestra che trova, che discetta su tutto dai Rom ai vaccini, che incita all’odio e traveste vecchi fantasmi in nuovi nemici. Il Movimento 5 stelle rischia di essere fagocitato da questo cattivismo incolto. Paradossalmente la sua salvezza dipende proprio dalla capacità di saper mettere a frutto il dissenso interno. Le voci dissonanti, quelle ad esempio che credono nell’accoglienza degli immigrati e che sono contrarie alla chiusura dei porti, riconciliano con l’idea di una vera politica che parte dal basso, attenta ai temi sociali, nella tutela dei più deboli. È la vera scommessa da vincere quando le stelle non stanno solo a guardare.

Ipocrisie che rimarranno

Ipocrisie che rimarranno. Il Salvini e il Di Maio che davano aria ai denti dicendo, a proposito degli immigrati clandestini, “aiutiamoli a casa loro” fanno finta di dimenticare che quando in Italia, qualche mese fa, si decise per una missione in Niger che serviva a governare sul campo – e non sui social – i flussi migratori, la Lega non votò a favore, e il Movimento 5 Stelle votò contro.
Poi vale la pena di ricordare che tre anni fa il Consiglio di giustizia europeo ha stilato un piano di ricollocazione per 160 mila profughi che erano arrivati in Italia e Grecia. Tra i paesi che non hanno accolto manco mezzo profugo, c’erano i principali alleati di Salvini e Di Maio in Europa: cioè Ungheria e Polonia, orgogliose del loro “zero profughi”.
Ma non è finita. A tutti quegli orecchianti del “ma perché ce li dobbiamo accollare tutti noi?” va detto che in Europa i paesi più accoglienti, rispetto al numero di abitanti, sono la Svezia e Malta, e che Francia e Germania sono sopra di noi in questa classifica.
Infine quando questi loschi figuri – sempre il Salvini e il Di Maio – parlano di emergenza insostenibile, va sbattuto loro in faccia il dato, aggiornato a fine maggio, secondo il quale rispetto allo scorso anno gli arrivi via mare in Italia sono diminuiti, grazie a una politica vera e non grazie a un paio di selfie, del 78 per cento. Ripeto: meno 78 per cento.
Queste sono le ipocrisie che rimarranno in un’Italia senza memoria, senza cultura e senza ritegno.

Fan, Fini, fine

L'home page del sito del Fini fans club di un anno fa

Esattamente un anno fa registravo che il Gianfranco Fini fan club mugugnava per le aperture del presidente della Camera sugli immigrati e per le prese di posizione nei confronti di Bossi e di Berlusconi.
Oggi molte cose sono cambiate – o, come scrisse un celebre cronista siciliano, molta acqua è passata sopra i ponti (e certo, con certe alluvioni…) –  però abbiamo due certezze: primo, Fini ha portato all’estremo il suo dissenso da B&B; secondo, quel fan club non esiste più.

P.S.
Se internet ha un vantaggio è quello di favorire una memoria collettiva. Approfittiamone.

Tolleranza

Si fa un gran parlare di tolleranza. Verso gli immigrati, verso gli altri, verso quelli che riteniamo diversi. E nel discuterne si ammanta il termine, e soprattutto il concetto, di un significato quasi sacro quindi assiomatico. Bisogna essere tolleranti perché è giusto esserlo e perché non esserlo rappresenta un danno a se stessi e alla società.
In realtà tutto sarebbe più semplice se si riuscisse a far passare una considerazione elementare: la tolleranza è un atto di estremo egoismo, un sano pensare a sé fingendo di pensare al prossimo.
Ad essere tolleranti si guadagna in salute, si perde meno tempo in pensieri inutili.
Al giorno d’oggi il tollerante è un furbo travestito da altruista.