Il governo dei siciliani in fuga

L’articolo pubblicato su la Repubblica.

Lucia Azzolina, nuova titolare del ministero della Scuola, è l’ennesima siciliana ad entrare nel governo Conte bis. Va in squadra con Alfonso Bonafede, Giuseppe Provenzano e Nunzia Catalfo. E ad accomunarla ai colleghi di cui sopra non c’è solo il brivido dell’avventura politica, ma il fatto che (ad eccezione della catanese Catalfo) anche lei ha abbandonato da tempo la Sicilia. Nata a Siracusa, anni fa è dovuta volare a La Spezia per trovare un lavoro come insegnante, mentre Bonafede originario di Mazara vive a Firenze e Provenzano nativo di Milena si è trasferito da tempo a Roma. Sappiamo bene che partire è vincere una partita contro la pigrizia, e che alle nostre latitudini la pigrizia è spesso un fantasma che si materializza nelle vite dei giovani disoccupati, complicandole non poco. Però c’è più di un simbolismo evocativo nella realtà di questi siciliani d’esportazione che brillano altrove, talvolta per meriti acquisiti (la politica premia con regole e meccanismi non universalmente riconosciuti): Azzolina e compagni sono l’efficace riassunto di una Sicilia da cui si fugge quasi per default. In una regione in cui la spesa non si pianifica ma si rabbercia, in cui il precariato è l’unica certezza, in cui l’orizzonte è un muro che non protegge ma isola, anche i nuovi simboli della politica si adeguano. La nostra vocazione ad emigrare, cementata dal celebre detto “cu nesce arrinesce”, non ha più la dimensione eroica della valigia di cartone e delle 20 ore di treno per raggiungere un nowhere di speranza. Oggi si fugge e basta: non c’è un nuovo mondo in cui entrare, ma solo uno da cui scappare.

Governi domiciliari

L’argine contro l’imbarazzo

Non accettiamo ultimatum di nessuno, men che meno che da Renato Brunetta.

Non sono uno affascinato da Renzi, però quel che mi aspetto da un premier che vuole ricostruire un paese raso al suolo dalla corruzione e dalla protervia dei potenti è esattamente questo. Un muro contro i ricatti. Un argine contro l’imbarazzo di dover sottostare ai diktat di personaggi come Brunetta.
Ci piaccia o no, Matteo Renzi è in questo momento la sola strada percorribile in una giungla di ingovernabilità e di populismo. Ci piaccia o no, dobbiamo lasciarlo fare. Del resto in un passato mai troppo lontano (e purtroppo indimenticato) abbiamo dato fiducia a imbonitori, giocolieri, prestigiatori, ci siamo lasciati incantare come topi da pifferai in playback, abbiamo affidato il nostro destino a soubrette travestite da onorevoli e a onorevoli che non valevano manco mezza soubrette.
Ora mi piace credere – senza avere mezza certezza, per carità –  che finalmente ci sia qualcuno che va avanti seguendo fedelmente un programma in cui rischia il culo, il suo. Sino a qualche tempo fa era solo il nostro.

Renzi e il timone dei desideri comuni

matteo renzi fiducia senato

In un Paese sfibrato dalle promesse a vuoto e rimbecillito da decenni di politici imbonitori che non erano né politici né imbonitori ma solo truffaldi di quart’ordine, Matteo Renzi ha un’occasione unica: ridare senso alle parole. E lui che ne maneggia di semplici e ruffiane, può riuscire nell’impresa a patto di mantenere saldo il timone dei desideri comuni.
La politica come la conosciamo in Italia ha sempre giocato con le pulsioni del desiderio condiviso. Tutti sognano ricchezza, salute, felicità e tutti i precedenti governi hanno promesso prosperità e salvezza gratis. In realtà sappiamo, da cittadini del mondo, che per avere una minima patente di attendibilità bisognerebbe dire innanzitutto a cosa si dovrà rinunciare per ottenere quel che si è promesso: ad esempio, meno spese militari e più mostre e concerti pubblici; oppure meno tasse e più servizi sanitari a pagamento.
Qualche anno fa ci fu uno che, qui da noi, promise addirittura di abolire il cancro ancor prima dell’Imu. E non si era che a un piccolo capitolo del grande libro dei sogni non già irrealizzabili, bensì improponibili. Eppure gli credettero.
Le cazzate da noi hanno un effetto anestetico, ma solo se sono enormi. Non perdoniamo le inezie, siamo inflessibili sugli strafalcioni lessicali, ma quando si tratta di immense mistificazioni tipo quella della crisi che non c’è , tutti lì ad annuire, a lasciarsi sedurre dal fascino della panzana stratosferica. Perché se questa intercetta il desiderio comune, scatta una sorta di moratoria della buona creanza.
Ed ecco Renzi. A parte le riforme e la necessità di rimuovere le macerie sociali di un Paese che vive un’infinita sfilza di day after, il nuovo premier ha il dovere di dire innanzitutto cosa non potrà fare. La plausibilità di un progetto politico che si rispetti ruota attorno al perno di parole congrue. Non più sogni che nascondono incubi, non più padroni che si fingono operai. Ma concetti semplici per capire se siamo vivi o morti, se puntiamo alla sopravvivenza o se confidiamo ciecamente nella resurrezione.

Voglia di novità

Matteo Renzi primo ministro.
Arisa vincitrice di Sanremo.

Se anche fosse viceversa, questo Paese non avrebbe sussulti.

Fugace coerenza

Fugace promemoria in quattro fugaci atti della fugace coerenza di Silvio Berlusconi.

Il governo Letta ha forti probabilità di durare (17 maggio 2013).
Se mi fanno cadere, il {it_lost_sign}  |  Il Mio Conto  |  DepositaWilliam Hill Casino is downloading. governo Letta è finito (30 agosto 2013).
Berlusconi: nessun ultimatum, Letta vada avanti (31 agosto 2013).
Berlusconi pronto alla crisi: non si va a letto col nemico (5 settembre 2013).

C’era un pericoloso ottimismo

Uno ce la mette tutta a farseli piacere, pur di togliere fiato alle trombe del centrodestra e alle alleanze posticce di angeli e orchi. Uno si dice: voterò ancora una volta a sinistra perché non voglio finire in fondo a destra. (…) Dateci la possibilità di sognare una rinascita rispetto a questa politica clientelare e fascista. Dateci un minimo di soddisfazione e non ammazzateci persino i preliminari.
Quando nel settembre scorso scrissi questa cosa qui, credevo di averne viste di tutti i colori a sinistra. Ma evidentemente peccavo di ottimismo.

Il fossato

berlusconi-bersani

C’è qualcosa di inesorabilmente antico e di tremendamente irritante nella maniera in cui Bersani e Berlusconi, e non solo loro, scandiscono i tempi della crisi della politica italiana. E’ come se tra noi cittadini – preoccupati e incazzati – e loro politici – furbetti e ridanciani – il fossato si allargasse sempre di più, divenendo prima fiume e poi lago e riempiendo una distanza che solo coccodrilli e altre bestie feroci possono costringerci ormai a mantenere. E’ infatti ormai chiaro che tra un qualunque lavoratore onesto di questo Paese e un Bersani o un Berlusconi, si è marcata la differenza cruciale: da un lato l’urgenza di avere risposte, dall’altro l’inadeguatezza a fornirle. A rendere tutto tristemente esilarante c’è poi questa gara a chi è più nuovo, a chi esibisce la migliore verniciatura, a chi si è inventato prima risolutore di problemi.
Bersani e Berlusconi sono le due facce toste di una medaglia fasulla, personaggi che non distinguono una trattativa politica da un giro nei giardinetti. Mentre la casa brucia, anziché sbracciarsi con gli idranti stanno lì a mostrare muscoli che non hanno litigando su chi debba riscuotere l’eventuale polizza assicurativa dell’immobile.
Dicono di voler salvare l’Italia, quando l’esigenza più urgente è che l’Italia si salvi da loro.

Lo spettro della piazza

berlusconi con gli occhiali

Nell’ira, con conseguenziali minacce, di Berlusconi c’è tutto il suo concetto di democrazia. “La sinistra punta al governo”, accusa come se avesse detto “la sinistra ruba”, o “la sinistra pratica la pedofilia”.
Le regole e i numeri non si truccano facilmente. In politica come nella vita, i giochi di potere hanno bisogno di un supporto etico che li legittimi. Berlusconi ha fatto sempre a meno di tale supporto e anzi ha mostrato un’insofferenza crescente verso chi ha cercato di frenare questa sua disinvoltura.
Ora che è in difficoltà, il Caimano agita spettri di piazze in rivolta (o rivoltanti?) per difendere ciò che invece andrebbe perseguito: una legge non uguale per tutti, una democrazia on demand, un governo fantoccio, una politica clientelare, un’economia di pochi. E fa proseliti con la sua logica da supermercato: per tutto c’è un prezzo (e uno sconto).

Dite a Grillo che sono preoccupato

beppe grillo

Dove vuole arrivare Beppe Grillo? La domanda la pongo a me stesso e non ai militanti del Movimento 5 stelle che, come telecomandati, mi risponderebbero: “Ad azzerare il sistema attuale”. Che poi sarebbe anche una risposta che mi convince se solo intravedessi i passaggi elementari di una strategia così dirompente. Perché – lo dico pubblicamente – io il movimento di Grillo l’ho votato: mi sentivo di dare fiducia ai giovani, alle facce nuove, alla politica pulita, alla democrazia low-cost.
Però adesso sono allarmato perché non ci capisco niente.
Grillo mostra, almeno nelle prime battute, di muoversi con schemi vetusti, lui che si pone come il grande rinnovatore. La logica di schieramento rigida e inscalfibile è roba da partito comunista di quarant’anni fa, chi ha la mia età se la ricorda. La blindatura delle dichiarazioni non concordate e l’accentramento del sistema di comunicazione è un’invenzione di Berlusconi, anno di grazia 1994. La ruggine del “chi non è con me è contro di me” è l’elemento che ha distrutto movimenti di popolo come la Rete, ed è passato qualche decennio. Continua a leggere Dite a Grillo che sono preoccupato